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La scienza della magia


magiaokokok002Come ho avuto modo di dire e scrivere altre volte, la psicologia, le scienze cognitive e le neuroscienze stanno da alcuni anni studiando la magia (nel senso di prestigiazione, illusionismo, mentalismo) in quanto miniera di conoscenze sugli inganni della mente. La magia è di fatto, oltre che forma di spettacolo antica quanto l’uomo, una scienza empirica. Una scienza che, per tentativi ed errori, utilizza trucchi ed espedienti per ingannare e manipolare la percezione, la memoria, le emozioni.

Si tratta di trucchi ed espedienti che costituiscono un vero e proprio corpo di test proiettivi, oltre che percettivo-cognitivi. Un corpo di test sviluppato non in laboratorio, ma bensì nella vita reale, nell’arco di secoli. Ecco dunque che oggi, psicologi, psichiatri e neuroscienziati, che magari sono allo stesso tempo prestigiatori professionisti, o cultori della materia, si fanno promotori di una neonata “scienza della magia”. Più nell’area anglo-america che non europea o italiana. Anche se pure in Italia la disciplina viene seguita da alcuni psicologi e psichiatri, esperti o addirittura praticanti di illusionismo.

A tal proposito, ecco quanto scrivono gli psicologi e ricercatori francesi Cyril Thomas e André Didierjean nel loro articolo “La magia in laboratorio” pubblicato dal numero di questo mese (gennaio 2017) della rivista “Mente & Cervello”: «Il mago può manipolare alcuni processi cognitivi molto simili a quelli che i ricercatori hanno evidenziato. Ma il mondo della magia offre probabilmente un terreno di gioco molto più ampio, ricco e complesso di quello già esplorato. Siamo certi che lo studio approfondito dei trucchi più moderni porterà alla luce nuovi meccanismi mentali ancora sconosciuti. E siamo anche sicuri che i maghi non abbiano finito di soprenderci…».

Aggiungo di mio che i maghi non hanno di certo finito di sorprenderci, perché, come ho già scritto, la magia è darwiniana, evolutiva. Se è durata così tanto attraverso i secoli, resistendo pure alla magia di altre forme di spettacolo, come ad esempio il cinema, è in ragione del fatto che i maghi utilizzano trucchi ed espedienti vecchi come il mondo, ma nello stesso tempo li attualizzano continuamente e inglobano l’uso di conoscenze scientifiche e delle tecnologie disponibili. Oggi, ad esempio, si fanno illusioni magiche anche con smartphone e tablet. Inoltre, ritengo che lo studio della magia sia molto utile anche per la psicologia dell’inganno, rispetto alla conoscenza di come si mettano in atto truffe, imbrogli e raggiri o, in senso sociologico e di storia e filosofia delle religioni, sui meccanismi culturali e psicologici alla base della formazione delle credenze.

Vedi anche:

La magia funziona perché la coscienza è imperfetta

Psicologia e scienza della magia

Psicologia e scienza della magia: intervista a Gustav Kuhn

Psicologo e mago: a lezione da Anthony Barnhart, in arte Magic Tony

Guardare e non vedere: la cecità attentiva in uno sketch dei Monty Python

Enzo Soresi: “Grazie ad un verme, siamo diventati Homo Sapiens”


file1370265425_20_longevitàVenerdi 20 settembre ho partecipato  al congresso della Fondazione Veronesi a Venezia, il tema era la longevità e gli spunti che ne ho tratto sono stati molteplici ed interessanti sia per uso personale che nell’interesse dei miei pazienti. Piena conferma, ahimé, da parte di molti ricercatori, della restrizione calorica (almeno 30 % di in meno di cibo) per ridurre le malattie ed aumentare la sopravvivenza. Due studi fondamentali, uno sui topi ed uno sulle scimmie, hanno confermato questa triste verità. In un mondo occidentale ricco di obesi e persone in sovrappeso, in cui le città d’arte sono diventate uno squallido mangificio,  la scienza ci dice  che meno si mangia (entro certi limiti) e più e meglio  si campa. Non solo, il segreto per evitare di ammalarsi è diventare vegetariano mangiando cibi di qualità. Questa osservazione deriva da uno studio randomizzato sulle scimmie in cui il gruppo che si nutriva di cibi vegetali naturali si ammalava meno di quello nutrito con cibi industriali, sempre vegetali.

Estremamente stimolante è stata , abbandonando il tema del cibo, la relazione del prof. Seth Grant, neuroscienziato dell’Università di Edimburgo, che ha spiegato l’importanza delle sinapsi nella evoluzione del cervello precisando che nel contatto sinaptico si possono liberare fino a 1000 tipi di sostanze proteiche che sono esattamente uguali a quelle liberate dalla prima cellula  in contatto con l’ambiente qualche milione di anni fa. Ha precisato poi che la nascita del sistema nervoso la si deve ad un doppio colpo di fortuna , analoga a quella di vincere per due volte consecutive ad una lotteria. Infatti, un nostro antenato, denominato PICAIA (un piccolo verme), nel suo processo evolutivo ha raddoppiato per due volte il suo genoma e questo ha fatto nascere le strutture nervose. Il prof Grant è fondatore del  programma G2C, un consorzio internazionale di ricerca e formazione per lo studio delle malattie cerebrali, in quanto le sue scoperte  hanno confermato l’importanza delle sinapsi  in queste patologie e la relazione fra geni, comportamento e malattie cerebrali.

Il prof. David Sweatt, neurobiologo dell’Università dell’Alabama, ha spiegato l’importanza della metilazione e della acetilazione nei meccanismi di formazione della memoria a breve e lungo termine confermando l’importanza della alimentazione nell’invecchiamento del cervello. Già qualche tempo fa su questo blog avevo spiegato l’importanza dei metili nella stabilizzazione del DNA.  Sweatt ha ricordato che le cellule neuronali, a differenza delle altre cellule, non si deteriorano con il passare degli anni mentre quella che si riduce progressivamente è la produzione di dopamina così importante per l’attività motoria ed il tono dell’umore. A questo proposito, sempre su questo blog, vi ho spiegato l’importanza della molecola adenosina metionina , scoperta da un italiano negli anni ’50, nel favorire la liberazione di questa sostanza in grado di stimolare la liberazione di dopamina ed ottimizzare la sensibilità all’insulina.

Grande rilievo  infine è stato dato dal prof.  Giovanni Scapagnini agli isocianati, contenuti in grande quantità nei mirtilli e nei lamponi, che per la loro caratteristica di idrosolubilità attraversano la barriera ematoencefalica sviluppando una importante protezione sul micro-circolo vascolare cerebrale ed in generale su tutto l’apparato cardiovascolare.

Logica conclusione di questo congresso:  stamane colazione con latte di soia, pane integrale  ed una tazza di yogurt magro con mirtilli (post di Enzo Soresi).

“Perché non esiste la pillola magica anti-obesità e l’obesità non è questione di volontà”. Antonio Liuzzi risponde a Repubblica


Articolo a tutta pagina sulle pagine scientifiche di Repubblica di giovedì 1 marzo: “Dieta. Se una pillola ordina al cervello di perdere peso”. Chiusa del pezzo a firma dell’inviato da New York Angelo Aquaro: “Domanda: ma se tutto dipende dal cervello, non basterebbe un po’ più di volontà? Assolutamente sì. Peccato che il grasso, in tutti noi, è solo lì che non cola”.

Chissà perché quando si parla di obesità, si tende a semplificare. E a ridicolizzare. Per quanto si faccia per diffondere corrette informazioni, allestire incontri pubblici (ad esempio quello recente del Comitato Italiano per i diritti delle persone affette da obesità e disturbi alimentari dedicato giustappunto allo “stigma” dell’obesità), pubblicare volumi in tema già sei anni fa (Sesto rapporto sull’obesità in Italia. Cervello e obesità: neurobiologia e neurofarmacologia), niente da fare. Per quanto ci si sforzi di far capire che l’obesità è una malattia e non quindi una colpa o una questione di volontà (quantomeno non solo e non semplicemente), le vecchie convinzioni resistono. E si fa tra l’altro confusione tra sovrappeso, obesità grave e obesità complicata. Soprattutto non si dice  che l’obesità non è un monolite, ma ne esistono varie forme.

Sentiamo allora  cosa risponde Antonio Liuzzi, endocrinologo ospedaliero e ricercatore che da quindici anni combatte la sua strenua battaglia non solo per capire cosa sia l’obesità sul piano scientifico, cosa si possa fare per curarla, ma pure come si possa far comprendere a giornalisti e grande pubblico di cosa si tratti veramente.

Perché è così complesso mettere a punto una terapia farmacologica per l’obesità?

Le cause dell’accumulo di tessuto adiposo che porta all’obesità sono molteplici: tra queste forse la più importante è la alterazione dei meccanismi che controllano la introduzione delle calorie attraverso gli alimenti in rapporto armonico con la  spesa energetica. Se il nostro cervello non è in grado di mantenere in equilibrio il sistema e introduce più calorie del necessario, le scorte di tessuto adiposo aumentano e si diviene obesi. I meccanismi che nel sistema nervoso centrale e periferico intervengono in questi processi sono straordinariamente complessi e possono essere modificati da fattori genetici, ormonali, ambientali. In particolare numerosi sistemi di neurotrasmissione sono implicati e gli studi con la risonanza magnetica funzionale hanno messo in evidenza sostanziali differenze di attivazione o di repressione dei vari centri nervosi tra il normopeso e l’obeso. Da questa premessa derivano due conseguenze sostanziali. Prima, una terapia efficace e causale della maggior parte dei pazienti obesi non può che essere farmacologica. Seconda, proprio la molteplicità dei meccanismi coinvolti rende difficile il trovare una sola “pillola” efficace per tutti i casi.

Quali caratteristiche dovrebbe avere la pillola per l’obesità? Il farmaco che verrà rimesso in  commercio in America non era stato bandito in precedenza ?

C’è da sottolineare appunto che questa mitica medicina dovrà essere efficace per periodi indeterminati: nessuna persona seria direbbe che un farmaco per combattere l’ipertensione non può essere considerato efficace perché alla sospensione la pressione torna a salire. Ma l’argomento che il farmaco  non è efficace perché alla sospensione il peso risale, è stato usato largamente per i vari farmaci antiobesità sperimentati negli ultimi anni. Recentemente gli esperti della Food and Drug Administration americana (Fda)  hanno raccomandato, dopo un precedente parere negativo, la messa in commercio di un farmaco: il Qnexa che è l’associazione di due molecole, la fentermina ed il topiramato.

La Fda pare aver finalmente compreso che, viste le gravi conseguenze dell’obesità, si deve accettare che il farmaco possa avere effetti collaterali e sia quindi messo in commercio se questi sono contenuti in limiti tollerabili, attentamente monitorati. Soprattutto, il farmaco va autorizzato per pazienti con elevato  rischio di sviluppare complicanze. Nonostante il parere favorevole  del comitato, peraltro con due voti  contrari, sono stati  fortemente raccomandati attenti studi post-marketing di sorveglianza soprattutto in relazione a possibili effetti cardiovascolari. Gli effetti di stimolo sul sistema nervoso centrale e cardiocircolatorio dei derivati anfetaminici, quali appunto la fentermina sono ben noti. Il topiramato è un farmaco usato nella terapia della epilessia e della cefalea che possiede un rilevante effetto di riduzione dell’appetito. Gli effetti collaterali della molecola derivabili dalla scheda tecnica, sono numerosi basterà ricordare quelli a livello psichiatrico: aggressività, agitazione, depressione, insonnia.

Qual è in definitiva il suo parere sul farmaco in questione? E su come è stata diffusa la notizia al grande pubblico, ha qualcosa da commentare?

Gli effetti della nuova associazione sono stati studiati in alcuni studi clinici di buon  livello che ne hanno dimostrato la efficacia in termini di perdita di peso con effetti collaterali accettabili. Lo studio di maggior durata, 108 settimane,  ha dimostrato in particolare una riduzione della ipertensione ed un miglioramento di parametri metabolici in poco più di cento pazienti con effetti collaterali non differenti dal placebo. La buona tolleranza della associazione può essere attribuita alla bassa dose dei due farmaci rispetto a quelle in uso quando somministrati da soli.

La disponibilità del Qnexa, questo il nome commerciale del preparato, è quindi un evento favorevole anche da un punto di vista culturale nel panorama terapeutico dell’obesità. Tuttavia, la scarsa numerosità dei soggetti trattati e soprattutto la breve durata dei trattamenti impongono una ovvia cautela. 

Esplosioni di enfatico entusiasmo come quelle comparse sulla stampa  (“Abbiamo impiegato l’ultimo secolo per abbattere quella barriera che l’evoluzione ci aveva regalato: il grasso. L’attesa è finita arriva la pillola che ci renderà più leggeri. Addio obesità. L’annuncio è più che storico. Il mondo (sic!) aveva bisogno di questa attesissima pasticca dimagrante”) sono un esempio di cattiva informazione e vanno evitate.

La strada per combattere efficacemente l’obesità è questa ma la via è ancora lunga: gli obesi non sono colpevoli della loro condizione ma sono pazienti che vanno individualmente aiutati tenendo conto delle varie cause che possono aver determinato l’aumento di peso. Sicuramente il controllo della assunzione di cibo è fondamentale e la sua patologia va ricondotta, come si è detto, ad alterazioni di meccanismo neuroendocrini.  Se alla domanda: “ma se tutto dipende dal cervello non basterebbe un po’ più di volontà (badate solo un po’ più)?” rispondiamo “assolutamente sì”, non abbiamo capito nulla del complesso problema delle cause della cosiddetta epidemia dell’obesità. Qualcuno si sentirebbe di proporre come cura della depressione l’esortazione: coraggio che la vita è bella?

Aggiornamenti – Paolo Marzullo, endocrinologo e ricercatore dell’Auxologico intervistato da Marta Buonadonna sul farmaco anti-obesità introdotto in USA (lorcaselina, nome commerciale Belviq) e che sarà in sperimentazione in Italia (“Nuova pillola anti-obesità approvata negli Usa”, Panorama.it). 

 

Gli errori di Darwin secondo Massimo Piattelli Palmarini


News: Massimo Piattelli Palmarini presenta Gli errori di Darwin mercoledì 12 maggio 2010, ore 18,  alla Libreria Feltrinelli di Piazza Duomo a Milano.

Intervista a Massimo Piattelli Palmarini sui contenuti del libro Gli errori di Darwin e le polemiche suscitate

A un secolo e mezzo dalla pubblicazione delle sue prime opere sull’evoluzione biologica, Darwin fa ancora notizia. Anzi, infiamma gli animi e scatena polemiche. L’ultima, in ordine di tempo, è motivata dall’imminente pubblicazione di Gli errori di Darwin (Feltrinelli), annunciata per il 21 aprile, dopo altrettante polemiche suscitate negli States dall’edizione originale. Il volume, che ha richiesto tre anni di lavoro, è scritto a quattro mani da due scienziati di livello internazionale.

Uno dei due autori, vanto italiano, è Massimo Piattelli Palmarini, docente di Scienze cognitive all’Università dell’Arizona, dopo una permanenza al Mit di Boston e successivamente al San Raffaele di Milano dove ha creato il dipartimento della sua disciplina. L’altro, Jerry Fodor, è anch’egli un’autorità nelle scienze cognitive, insegna filosofia del linguaggio alla Rutgers University del New Jersey. Ancor prima di uscire nel nostro Paese, il volume di Piattelli Palmarini e Fodor sta riempiendo le pagine culturali e scientifiche dei nostri giornali, con pepati botta e risposta tra scienziati che si occupano di queste tematiche.

Ho raggiunto Massimo Piattelli Palmarini a Venezia, durante una sua parentesi italiana,  per un ciclo di seminari universitari. Gli ho chiesto di spiegarci le ragioni di così tanto scalpore per aver controbattuto alcune presunte idee “errate” del darwinismo.

Professor Piattelli Palmarini, ci spiega perché queste reazioni, anche emotive, al libro che ha scritto con Jerry Fodor?

Ci sono varie spiegazioni. Una è che la selezione naturale, il darwinismo, combina le due spiegazioni centrali della nostra vita e della nostra psiche. Che sono la spiegazione di tipo meccanicistico e quella di tipo finalistico. La spiegazione di tipo meccanicistico è quella che applichiamo nella vita di tutti i giorni, nelle cose inanimate, le cose inorganiche. Le spiegazioni finalistiche le applichiamo nelle cose umane. Si spiega quanto è successo nelle vicende storiche e nelle biografie di certi personaggi ricostruendo i loro scopi, le loro intenzioni, i loro progetti. La selezione naturale mette assieme queste due forme fondamentali di spiegazione. Fornisce una spiegazione meccanicistica a qualcosa che sembrerebbe di tipo finalistico.

Non c’è dubbio che l’idea di Darwin sia geniale e abbia conquistato gli scienziati. In fondo, se si guarda all’evoluzione biologica si nota questo emergere di forme sempre più complesse nel tempo. Il “match” che si verifica tra le forme e i tratti biologici degli ambienti in cui crescono. Tutto ciò suggeriva, tradizionalmente, qualcosa di finalistico. E con l’idea della sezione naturale si spiegherebbe questa parvenza di “disegno” in modo meccanicistico. Questa è una idea molto forte che ha conquistato molti, e non intendono abbandonarla.

Questo atteggiamento non assomiglia un po’ alla resistenza degli psicoanalisti quando, ad un certo punto, dovettero confrontarsi con le neuroscienze e con la psicofarmacologia? Certi saperi rischiano di costituirsi, da un certo punto di vista, come “chiese laiche”.

In un certo senso sì. Ma è accaduto in diversi ambiti, non solo per la psicoanalisi. E’ successo, ad esempio, pure per il marxismo. Quando una dottrina è ritenuta “forte”, si coagulano attorno ad essa consensi altrettanto resistenti al cambiamento, e si costituisce una sorta di credenza indiscutibile.

C’è quindi una valenza anche filosofica della teoria dell’evoluzione che incide molto in questo dibattito.

Certo. Perché si tratta di una spiegazione meccanicistica di fenomeni che avevano l’aria di essere finalistici. Non c’è dubbio che questa sia un’idea forte.

Qual è invece l’idea forte del libro che ha scritto con Fodor?

L’idea forte è che, ovviamente, l’evoluzione è un fatto. L’appartenenza nel tempo dell’evoluzione di specie simili ad antenati comuni anche questo è un fatto. Tutte le ricerche degli ultimi anni relative a ciò che tecnicamente viene definito “evo-devo” (cioè l’evoluzione biologica vista insieme allo sviluppo dell’embrione, dall’uovo fecondato fino all’adulto), ha mostrato che i geni sono sostanzialmente gli stessi. Dal moscerino della frutta fino a noi. I geni sono sempre i medesimi. L’evoluzione è un fatto. L’appartenenza delle specie l’una all’altra nella filogenesi, è anch’essa un fatto. Quello che noi contestiamo è che la selezione naturale sia il meccanismo che spieghi la comparsa di specie nuove e di tutte le forme biologiche esistenti. Questo è ciò che noi contestiamo.

Quindi contestate e lasciate un interrogativo aperto. Voi mettete sul piatto dei dubbi, delle perplessità riguardo la possibilità di spiegazione onnicomprensiva delle teorie darwiniane.

Sì, proprio così. Non pensiamo che la teoria universale della selezione naturale debba essere sostituita da un’altra e diversa teoria onnicomprensiva. I meccanismi sono molteplici, i livelli dei cambiamenti biologici nel tempo sono molteplici e quindi si tratta di un processo complesso, articolato, eterogeneo. Siamo ben lungi dall’aver scoperto tutti i fattori in gioco. Occorreranno molte altre ricerche, probabilmente per molti decenni.

In termini un po’ ironici, giocando sui vostri rispettivi doppi cognomi, Cavalli-Sforza ha esemplificato recentemente su “Repubblica” la questione dell’evoluzione culturale e l’adattamento alle necessità ed ai gusti della specie umana. Lasciando intendere tra le righe che lei e Fodor non siete dei genetisti e quindi non avete gli strumenti concettuali  per affrontare tali tematiche.

Sì, però Cavalli-Sforza parla di linguaggio e non è un linguista. I fenomeni linguistici che egli sottolinea sono assolutamente marginali. E’ lo stesso problema: Cavalli-Sforza parla di piccole modifiche cumulative che si verificano nel tempo, all’esterno della lingua. Da parte mia sottolineo invece che da cinquant’anni, da Chomsky in poi, viene riconosciuta l’importanza delle strutture interne della lingua. Quindi, lingue tra loro remote geograficamente e storicamente che hanno fatto le stesse scelte sintattiche. E nulla rende l’organizzazione sintattica del giapponese più funzionale nelle isole del Giappone, né quella dell’inglese più funzionale nelle isole britanniche. Non c’è questo tipo di funzionalità che spieghi alcunché. I vincoli e i fattori sono interni, non ambientali.

Voi siete per una teoria che comprenda anche questi aspetti.

Una teoria che enfatizza molto le strutture “interne”. E i cambiamenti endogeni delle strutture interne, sia nel campo della linguistica che della biologia. L’organizzazione interna dei geni: come possano riorganizzarsi. Come la fisica e la chimica – con componenti di autorganizzazione – organizzano e strutturano in parte gli esseri viventi. Noi enfatizziamo questa componente interna.

Il neo-darwinismo è una dottrina “esterna”: è l’ambiente che filtra e plasma le strutture e i fenomeni biologici. C’è anche quello, però non è una componente così importante. E’ molto più importante la componente interna.

A quale corrente “revisionista” del darwinismo vi rifate, perciò?

Steve Gould e Richard Lewontin sono stati dei pionieri, importantissimi. Ma oggi vi sono, oltre ai revisionisti, anche dei biologi che vanno oltre, che considerano la sintesi moderna (cioè il neo-darwinismo, la fusione di genetica e evoluzionismo darwiniano) decisamente superata. Per esempio Eugene Koonin, Carl Woese, Lynn Margulis, Gabriel Dover, Stuart Newman, Leonard Kruglyak e altri. Siamo dalla loro parte e li citiamo nel libro.

Lei ha lavorato anche all’interno di strutture, come il San Raffaele, in cui le sarà capitato di dibattere con colleghi dell’area medica. Cosa pensa delle teorie darwiniane applicate alla medicina e alla psicologia?

La medicina darwiniana è una sciocchezza. Dello stesso genere dell’ “estetica darwiniana” e dell’ ”etica darwiniana”. Applicazioni senza senso del darwinismo. Una piccola corrente senza importanza. Non vedo il clinico o il chirurgo che quando fanno le diagnosi o eseguono un intervento si rifanno alla teoria darwiniana. Non è il caso. Mi sembra un aspetto decisamente marginale destinato a scomparire. Nelle scienze cognitive, c’è invece la psicologia evoluzionistica che ha centri di ricerca che sono appunto il bersaglio della nostra critica. Infatti nel libro c’è una appendice con svariate citazioni tratte da questi psicologi evoluzionisti i quali sostengono che “tutto cambia, tutto diventa chiaro quando si applica la teoria dell’evoluzione” e così via. Secondo noi è sbagliatissimo.

Le cosiddetta “sacra triade” di studiosi (Dennett, Dawkins e Pinker) oggetto delle vostre critice, secondo Cavalli-Sforza non sarebbe poi così “sacra”, ovvero non così autorevole nelle ricerche relative all’evoluzione biologica. Quindi non meritevole di così tanta attenzione.

Sono comunque studiosi di queste problematiche con cattedre prestigiose, che fanno anche divulgazione. Sono studiosi qualificati e influenti, considerati dei maestri. Mi fa piacere che Cavalli-Sforza ed altri dicano: non state a preoccuparvi di loro dal punto di vista scientifico. Benissimo. Ma non è che non siano autori ininfluenti e di nessun interesse. Sono personaggi con posizioni accademiche ben consolidate. Sono anche autori di prestigio.

A chi è venuta l’idea di questo libro? A lei, a Fodor, ad entrambi parlando di questi temi?

E’ venuta a tutti e due. Io presentai quattro anni fa quella che ora costituisce la “parte prima” del libro alla  City University of New York. E Fodor, con il quale siamo intimi amici da decenni, mi esortò a scriverne, perché le riteneva cose importanti. Mi invitò a ripetere la mia conferenza il giorno dopo ai suoi studenti alla Rutgers University. E insistè che dovevo pubblicarla. Io ribattei che non c’era nulla da scrivere, perché si trattava di dati e scoperte già pubblicate sulle riviste scientifiche. Fodor insistè, dicendo che però era importante riunirle tutte assieme, spiegarle in modo accessibile e discuterle criticamente. Abbinando e integrando queste scoperte della biologia con un’analisi concettuale critica rigorosa delle idee centrali del neo-darwinismo. Così è nata l’idea di scrivere questo libro. Ci siamo divisi i compiti: la prima parte l’ho scritta io e la seconda Fodor. Poi ovviamente ognuno ha letto la parte dell’altro, aggiungendo e integrando la rispettiva divisione del lavoro. Abbiamo impiegato circa tre anni a completarlo, ovviamente alternando questo lavoro agli altri impegni.

Avete seguito anche l’ottima regola, soprattutto americana, di sottoporre i capitoli ad altri esperti, in corso d’opera?

Sì, e un lettore molto importante è stato il grande biologo e genetista Richard Lewontin. Ha suggerito vari cambiamenti che abbiamo adottato. Il suo contributo è stato determinante. Importante anche la critica benevola, ma serrata, di Gabriel Dover e quella amichevole, ma molto dissenziente, di Charles Randy Gallistel, eccellente amico personale sia di Fodor che mio, un critico spietato e micidiale del comportamentismo (che noi citiamo nel nostro libro), ma assai restio a criticare il neo-darwinismo. Altri lettori sono stati filosofi, biologi e altri colleghi che ci hanno fornito suggerimenti e critiche.

Restando su Lewontin, com’è stato che qualcuno abbia avuto l’idea di fare una “petizione” contro di lei? Lewontin, come lei ha detto, l’ha informata di questa curiosa iniziativa.

Sì, è partita dal genetista Giorgio Bertorelle, il quale si vide rispondere da Lewontin “I urge you to desist” (La invito caldamente a desistere). Ma lui ha insistito e, pur senza la firma di Lewontin, ha fatto circolare la petizione e  sostiene che i più prestigiosi evoluzionisti hanno firmato un manifesto contro di me. Un manifesto di condanna contro le mie idee, mi sembra una cosa da inquisizione.

Detto in senso ironico: non è uno dei motivi che l’hanno indotta a tornarsene negli Stati Uniti, dopo la parentesi al San Raffaele di Milano? Metti caso che mi brucino come Giordano Bruno, avrà pensato.

No, ero già in America. E neppure in America sono teneri su certe cose. Sono tornato negli Stati Uniti per tornare a fare lo studioso e non soltanto l’organizzatore.

Si attende altre reazioni dall’uscita del libro nel nostro Paese?

Penso di sì. Appena il libro comincerà a circolare ed essere letto, vi saranno certamente altre reazioni.

Vi farà però piacere: in fondo riapre un dibattito su questioni un po’ ferme tra religione e laicismo.

Noi ovviamente non abbiamo nulla da dire sulla religione. E’ bene che la scienza non dica nulla sulla religione, e viceversa. Sono due settori distinti.

Anche se in Rete, alcuni pensatori religiosi, cominciano ad annoverarvi tra i loro “paladini”.

Lo so, ma cosa possiamo farci? L’importante è che non ci considerino parte di loro. Né che facciano credere ai lettori che stiamo dalla loro parte. E questo per ora non lo fanno. Anzi, sottolineano: questi sono due atei e perfino (sottolineano il perfino) loro criticano il darwinismo. Il che è vero. Quindi, ne facciano l’uso che credono. Qualcuno anzi ci aveva avvertito: non scrivete queste cose perché poi saranno strumentalizzate. Ma noi abbiamo scritto ciò che ci sembra giusto e vero. E poi sull’uso che ne verrà fatto, sarà quel che sarà.

* Su VideoScienza parte dell’audio della conversazione con Piattelli Palmarini.

* Leggi anche una delle più interessanti e pacate repliche a firma del genetista Mauro Mandrioli (Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Biologia animale) su Pikaia (il portale dell’evoluzione diretto dal filosofo della scienza Telmo Pievani).

* La simpatica e divertente intervista a Piattelli Palmarini di Serena Dandini e Dario Vergassola a Parla con me (1 giugno 2010).

Gli errori di Darwin


Ci risiamo. Su Repubblica di lunedi 29 marzo intervista di Angelo Aquaro al prof. Massimo Piattelli Palmarini noto sostenitore del programma genetico come unico verbo del nostro divenire…

L’intervista fa riferimento ad un nuovo libro scritto dal più noto cognitivista del mondo ( così cita l’articolista ) assieme a Jerry Fodor filosofo e studioso del linguaggio. I due autori hanno fatto a pezzi la selezione naturale ed il libro verrà pubblicato da Feltrinelli con il titolo, appunto, Gli errori di Darwin. Se crolla la selezione naturale , secondo Piattelli Palmarini, crollano anche le traduzioni culturali del darwinismo e crolla la sacra triade : Daniel Dennet, filosofo americano, Richard Dawkins, biologo inglese e Steven Pinker psicologo ad Harvard. Questi autori infatti ritengono di potere spiegare tutto con la selezione naturale  mentre, dato per scontato che l’evoluzione è un dato acquisito, il problema sono i neo darwiniani che con l’evoluzione pensano di potere spiegare tutto. In sintesi i geni sono da milioni di anni quasi sempre gli stessi e noi dividiamo tutto non con i babbuini  ma con i moscerini ed i topi. Questo fatto è legato ai vincoli interni che quanto più  sono importanti  tanto più condizionano la struttura genetica che determina  lo sviluppo. In conclusione secondo gli autori la selezione  naturale esiste ma non è il motore dell’evoluzione e men che meno non è il motore della creazione di  nuove specie.

La selezione naturale non spiega pertanto l’evoluzione biologica e non spiega l’ evoluzione della specie ma,  secondo gli autori , va considerata in senso metaforico come un accordatore di pianoforti e non come il compositore di sinfonie. Il compositore sarebbero invece molteplici fattori  che nel libro verranno ampiamente elencati e discussi. L’articolo si conclude con una critica pesante al libro the The God Delusion di Dawkins definito infame ed alla semantica evoluzionistica del linguaggio di Dennet  definita una balla. Aspettiamo con ansia la pubblicazione del libro per aprire un dibattito sul nostro blog.