
Per molti secoli i sogni sono stati un mistero. Un mondo dentro il cervello che mi ha sempre affascinato. Anche per esperienze personali. Quando anni fa intervistai lo psichiatra e neuroscienziato John Allan Hobson all’indomani dell’uscita suo bellissimo The Dreaming Brain (in italiano La macchina dei sogni, Giunti)che acquistai a New York appena uscito, mi resi ulteriormente conto che la ricerca sul sogno era a una svolta epocale. Grazie alle moderne tecnologie di visualizzazione del cervello in attività si sarebbe finalmente potuto indagare, con metodi scientifici, quel mistero vecchio di secoli, se non di millenni.
L’anno prossimo saranno passati giusto settant’anni da quando, nel 1953, Eugene Aserinsky e quello che allora era ancora uno studente e oggi è considerato l’iniziatore degli studi scientifici sul sonno, Nathaniel Kleitman, scoprirono che i movimenti oculari rapidi sotto le palpebre chiuse erano associati alle fasi in cui il cervello sogna, le famosi fasi Rem (da “rapid eye movement”). Il concomitante studio di queste fasi del sonno Rem e non-Rem grazie all’unico mezzo allora disponibile, l’elettroencefalogramma (EEG) che registra l’attività elettrica del cervello, permise di delineare i vari stadi del sonno. La scoperta delle fasi Rem è fondamentale non solo per la ricerca sul sonno ma, come si sta dimostrando, anche per lo studio complessivo del cervello. La nota curiosa e paradossale è che molti ricercatori hanno negato l’importanza delle fasi Rem, considerandole alla stregua di azioni casuali, forse per mantenere le palpebre lubrificate.
Ma cosa avviene nel cervello durante questi movimenti rapidi degli occhi associati alle esperienze oniriche? Sono davvero casuali seppure associate ai sogni? Già da anni si era ipotizzato che i movimenti degli occhi seguissero le scene allucinatorie del sogno. Ma non c’era mai stata una dimostrazione scientifica di questa presunta attività percettiva-cognitiva. In una recente ricerca sperimentale, con tecnologie di ultima generazione, da parte di Yuta Senzai e Massimo Scanziani del Dipartimento di Fisiologia e dell’Howard Hughes Medical Institute Università della California, San Francisco, si sono potute osservare le cellule della “direzione della testa” (le cosiddette “place cells”) nel cervello dei topi che sperimentano anche il sonno Rem. Queste cellule agiscono come una bussola e la loro attività mostra ai ricercatori in quale direzione il topo percepisce se stesso come direzione.
Il team ha registrato simultaneamente i dati da queste cellule sulle percezioni di direzione del topo monitorando i suoi movimenti oculari. Confrontandoli, hanno scoperto che la direzione dei movimenti oculari e della “bussola interna” al cervello del topo erano allineati con precisione durante il sonno Rem, proprio come quando il topo è sveglio e si muove. Inoltre Il team di Scanziani ha scoperto che le stesse, molteplici parti del cervello interessate si coordinano sia durante il sogno che durante la veglia, dando credito all’idea che i sogni sono un modo per integrare le informazioni raccolte durante il giorno.
Il sogno è alla base della creatività?
Si tratta di una ulteriore dimostrazione del fatto che, durante il sogno, il nostro cervello riorganizza le memorie, sia del corpo che della mente, assembla elementi della vita quotidiana con altri totalmente inventati. E forse tutto ciò potrebbe essere alla base della creatività.
Quando diciamo che una certa arte o un certo cinema sono “onirici” e “visionari”, vedi ad esempio pittori come Hieronymus Bosch o Salvador Dalí, oppure registi come Fellini, Terry Gilliam o David Cronenberg, stiamo forse ipotizzando qualcosa che ha davvero un riscontro nel funzionamento complessivo del nostro cervello, sia durante la veglia che durante il sonno? Del resto è dimostrato anche per altre vie il fatto che staccarsi dalla realtà quotidiana, isolarsi dalle distrazioni del mondo circostante, e magari transitare in uno stato modificato di coscienza, possa favorire i processi creativi. Del resto, lo stesso John Allan Hobson, citato all’inizio, scrisse un intrigante saggio con lo storico dell’arte Hellmut Wohl, dal titolo piuttosto esplicito: Dagli angeli ai neuroni. L’arte e la nuova scienza dei sogni (Edizioni Mattioli 1885).
Ed è pure noto, dalle biografie di artisti, scienziati e musicisti, che certe intuizioni possano arrivare in sogno, oppure nelle fasi iniziai dell’addormentamento o del risveglio: nei cosiddetti stati ipnagogici e ipnopompici. Fu lo stesso chimico tedesco August Kekulé a narrare di avere scoperto, anzi “visto” come un serpente che si morde la coda (il mitico Uroboro), la formula di struttura del benzene; il giornalista ungherese Lazlo Biro che sogna una sfera intrisa di inchiostro che scorrendo sulla carta scrive e inventa la penna a sfera; il compositore Giuseppe Tartini che sogna il suo celebre “Trillo del diavolo”; Robert Louis Stevenson che sogna il fulcro del suo racconto “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, ma pure Mary Shelley col suo “Frankenstein”. E non è certo un caso che opere letterarie come queste, che intrigano sia la parte conscia che inconscia della nostra mente, rimangano come pietre miliari nel storia della letteratura e abbiano ispirato così tanti film, rappresentazioni teatrali, opere musicali e fumetti. L’ipotesi è che la mente creativa prosegua il proprio lavoro anche durante gli stati di sonno con sogno, assemblando memorie ed elementi insoliti, fino a quel momento inesistenti. Il sogno sarebbe dunque una sorta di laboratorio virtuale in cui mettere in campo cose nuove, soprattutto per cervelli abitualmente al lavoro nella produzione creativa durante la vita di veglia.
Massimo Scanziani, uno dei due autori della ricerca che citiamo qui, è dello stesso avviso riguardo i rapporti tra sogno e creatività, tanto che parla di “cervello generativo”. «Questo lavoro ci offre uno sguardo sui processi cognitivi in corso nel cervello addormentato e allo stesso tempo risolve un enigma che ha suscitato la curiosità degli scienziati per decenni”», dice Scanziani. E ancora: «È importante capire come il cervello si aggiorna sulla base delle esperienze accumulate. Capire i meccanismi che ci consentono di coordinare così tante parti distinte del cervello durante il sonno ci darà un’idea di come quelle esperienze diventano parte dei nostri modelli individuali di cosa è il mondo e come funziona. Uno dei nostri punti di forza come esseri umani è questa capacità di combinare le nostre esperienze del mondo reale con altre cose che non esistono al momento attuale e potrebbero non esistere mai. Questa capacità generativa del nostro cervello è la base della nostra creatività».
Siamo partiti parlando del mistero dei sogni per approdare ad un altro, eterno dilemma: quello della creatività. Forse le ricerche presenti e future ci permetteranno di comprendere che sogno e creatività sono strettamente imparentati e magari che il mistero è unico. Sottolineo infine l’importanza del concetto di “cervello generativo”, differente da “cervello creativo”, di cui, ne sono certo, sentiremo ancora parlare.
Vedi anche:
La telepatia che fece scoprire i ritmi cerebrali e l’EEG
Il cervello elettrico: intervista a Simone Rossi
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Sonno ed emozioni. Intervista a Carolina Lombardi
Se le emozioni sono alla base del nostro vissuto, è dato comune che influenzino non solo i nostri comportamenti ma, alla lunga, nei casi di ansia o stress cronici, anche possibili alterazioni del nostro organismo. E’ dato ormai accertato il ruolo dello stress cronico, ma pure dell’ansia, nelle alterazioni e patologie cardiovascolari. Ecco perché queste ricerche, di stretto interesse tanto di neurologi che cardiologi, suscitano attenzione in ambito medico.
Sul significato da attribuire alle recenti ricerche di Walker e collaboratori, abbiamo rivolto alcune domande a Carolina Lombardi. Medico e neurofisiopatologo, Carolina Lombardi ha conseguito il dottorato di ricerca in medicina del sonno presso l’Università di Bologna, lavorando con il padre fondatore della disciplina in Italia: Elio Lugaresi. Carolina Lombardi è attualmente coordinatrice del Laboratorio di medicina del sonno dell’Istituto Auxologico di Milano.
Come giudica questo lavoro e, in generale, le ricerche del gruppo di Walker e dello Sleep and Neuroimaging Lab dell’Università di California, Berkeley, su sonno e fase Rem?
Mi sembra un lavoro molto interessante, condotto con metodica rigorosa e sicuramente il gruppo ha esperienza sull’argomento e pubblicazioni solide.
Ci sono degli aspetti metodologici di questo lavoro che sono pubblicati a parte (parlano di “supplemental files”) e non ho avuto modo di vederli. La cosa più importante da verificare è come sono state registrate le polisonnografie (condizioni ambientali, montaggio, adattamento, ecc.) che potrebbero essere bias importanti e devono essere assolutamente standardizzate per trarre delle conclusioni di neurofisiologia così fine.
Però dalle caratteristiche della stesura del lavoro, dall’esperienza del gruppo e dall’impact factor della rivista su cui è pubblicato il lavoro penso che siano stati rigorosamente controllati.
Questo lavoro, a suo parere, dà anche indicazioni cliniche, oltre che conoscenze di base?
A mio parere sicuramente, nel senso che non fornisce da solo dirette indicazioni sul trattamento dell’ansia, ma può essere la base su cui fondare una nuova consapevolezza, cioè che i disturbi del sonno riferiti da pazienti con disturbi dell’umore non sono l’effetto solamente dell’ansia in quanto tale, ma probabilmente originano da una base neurotrasmettitoriale comune. Questo come è intuitivo, può rappresentare una svolta nell’approccio terapeutico in tali pazienti.
Se una buona qualità del sonno depotenzierebbe l’attività dell’ amigdala riguardo la reattività emozionale, e l’ippocampo nel consolidare emozioni negative, avendo perciò un ruolo “benefico” su ansia e stress, come si spiega che nei depressi risulti benefica la deprivazione controllata del sonno?
La mia opinione è che questo conferma come ansia e depressione, pur essendo spesso comorbigene, hanno in realtà meccanismi neurochimici diversi.
Consideriamo anche che nei depressi è descritta una latenza Rem ridotta e che gli antidepressivi in genere aumentano la latenza Rem. Viceversa succede negli insonni (molto spesso con un livello d’ansia elevato), anche se la letteratura sull’insonnia, spesso mette insieme insonnie di diversa natura, non ben caratterizzate dal punto di vista polisonnografico.
Quindi la mia spiegazione di queste osservazioni si basa su:
° meccanismi neurochimici diversi anche se potenzialmente sovrapponentisi tra ansia e depressione
° l’intervento diverso viene fatto su una struttura ipnica diversa in partenza e quindi il significato dell”intervento deve essere “giudicato” partendo dalla alterazioni iniziali
° il sonno è un processo attivo che si basa su equilibri dinamici e su una composizione ed alternanza funzionale di gruppi neuronali che si orchestrano, in fisiologia, in maniera armonica. Data questa interazione continua, gli effetti di interventi apparentemente diversi su un punto della catena (privazione controllata di sonno e quindi “cosmesi” della
struttura del sonno, oppure potenzialmento di alcune fasi selettive di sonno) finiscono in una via comune (uguale consolidamento di una “corretta” struttura ipnica, che si basa su specifiche caratteristiche elettriche corticali e sottocorticali, corretta modulazione autonomica, rispetto dell’alternanza NRem-Rem). E necessariamente sono il risultato non solo diretto di quella modificazione, ma della reazione a catena che quella modifica genera. Quindi, per capirne esattamente i percorsi…c’è ancora molto da lavorare.
La speculazione affascinante in questo ambito che si ricava dallo studio è che, in un futuro cybernetico, si andrà verso una “personalizzazione” della struttura del sonno puntando ad ottimizzare non solo in termini di quantità, ma soprattutto di qualità, la macro e microstruttura ipnica. Sarà sempre più vera l’affermazione: “fammi vedere come dormi e ti dirò chi sei”.
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