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Enzo Soresi: a proposito di zuccheri e salute


guarire-con-la-nuova-medicina-integrata-libro-1Sul supplemento del Corriere della Sera, Io Donna, del primo settembre 2018, in un breve articolo,  titolato  “Occhio all’indice glicemico” si legge che la guerra ai tumori si combatte e si vince a tavola: i cibi  ad alto indice glicemico, come pane e pasta non integrali, dolci, biscotti, alcol, aumentano di circa il 50% la probabilità di ammalarsi di tumore al colon ed alla vescica. Con Edoardo Rosati ed il coblogger Pierangelo Garzia,  nel libro edito da Sperling & Kupfer nel 2012 dal titolo Guarire con la nuova medicina integrata, avevamo affrontato, in un capitolo, il principio della glicazione e dell’importanza di una alimentazione il più possibile lontana dagli zuccheri per ridurre il principale fattore di rischio di tutte le malattie che è l’infiammazione.

Gli studi sulla metformina 

Sulla  base di questo principio, sono in corso alcuni studi scientifici  che propongono l’assunzione di un farmaco antidiabetico, noto come metformina, la cui finalità è quella di ridurre la concentrazione di insulina proprio al fine di ridurre i fattori di rischio legati al carico di glucosio. Obbiettivo di questi studi, la cui risposta verrà data fra qualche anno, è quello di dimostrare che, con questo farmaco, unitamente ad una dieta di tipo mediterraneo si potrà vivere di più ed ammalarsi di meno. Approfitterò di questo blog per sviluppare meglio questo tema che da anni mi affascina per le sue enormi implicazioni in medicina.

Come clinico di fronte a pazienti asmatici o affetti da broncopatie croniche correlate al fumo o all’inquinamento, la prima cosa che consegno ai pazienti è una sintesi di una alimentazione antinfiammatoria, il più possibile lontana dagli zuccheri. Quindi la prima regola della nostra alimentazione sarà quella di abbandonare la via metabolica del glucosio per attivare quella a minor rischio del fruttosio. La dieta mediterranea di conseguenza, ricca di carboidrati,  non mi sembra oggi la migliore via da percorrere, a  parte quella dell’uso dell’olio di oliva, sempre più alimento da proporre in ogni tipo di alimentazione.

Quando mangiamo un piatto di 100 grammi di spaghetti, l’80% del loro peso è costituito da amido che,  nell’arco di circa 3 ore viene trasformato in zucchero . Questo carico di zuccheri induce un innalzamento della glicemia e questo comporta un immediata increzione di ormone insulina la cui finalità è quella di eliminare lo zucchero con una serie di strumenti che cosi si possono riassumere: 1° indurre nel fegato la produzione di scorta di glucosio (intorno ai 70 grammi ) 2° stimolare le cellule muscolari, in particolare alcuni tipi di fibre, note come fibre bianche, ad assimilare più zucchero possibile, 3° indurre il fegato a produrre Vldl (Very Low Density Lipoprotein) che poi diventeranno le LdL del cosiddetto colesterolo cattivo.

Quando qualche anno fa, giunto all’età di 73 anni, in sovrappeso, eseguii  per la prima volta il dosaggio  dell’insulina nel sangue, il valore che risultò fu di 21, cioè ai limiti massimi dei valori previsti (2-20). Ero quindi un perfetto modello di sindrome metabolica, sovrappeso, con ormone insulina elevato per contenere i valori della glicemia. Impostata da allora una alimentazione priva di carboidrati e zuccheri (mi concedo solo uno o due biccheri, di vino rosso) sono riuscito a riportare i valori di insulinemia ai limiti minimi riducendo i miei fattori di rischio anche a livello di colestorolemia, Ldl (colesterolo cattivo)  ed Hdl (colesterolo buono). Il trucco quindi è quello di tornare ad una alimentazione che segua la via del fruttosio come avveniva nei nostri antenati  prima che nascesse l’agricoltura.

Carne, pesce, frutta, vegetali, con aggiunta di olio d’oliva. La via del fruttosio è quella seguita dai nostri antenati basata essenzialmente sul consumo di questo zucchero. Il giornalista Adriano Panzironi, in cui mi sono imbattuto durante gli zapping televisivi notturni, propone una piramide alimentare nel suo libro Vivere 120 anni  molto lontana da quella classica della dieta mediterranea ma che a mio avviso rientra in pieno nel principio di abbandonare la via della glicazione allo scopo di ridurre il più possibile l’infiammazioneMitocondrio nei nostri tessuti. Alla base della piramide troviamo carni e pesci  più olio d’oliva da assumere ad ogni pasto, poi verdure ed uova quindi una porzione di frutta fresca più frutta secca, quindi  formaggi stagionati ed alla fine vino rosso, cioccolato fondente e dolci in minima quantità. Una rivoluzione alimentare che cozza contro i vegetariani, i vegani e gli animalisti, ma che è da prendere in seria considerazione in un momento in cui l’obesità, nel mondo occidentale,  si sta rivelando come una vera e propria epidemia. Su queste basi però ricordiamoci che il nostro libro Mitocondrio mon amour (Utet) ne è un documento fondamentale, l’importanza di una attività fisica non stressogena ma adeguata, anch’essa entrata a buon diritto nei percorsi di  prevenzione dalle malattie infiammatorie e neoplastiche.

Una dieta con grassi fa bene al cuore, ai muscoli ed al cervello


Pagine-da-Saturated-fat-is-(post di Enzo Soresi) Molto scalpore ha suscitato un recente articolo, ripreso da più parti, del cardiologo interventista londinese Aseem Malhotra in cui ha ribaltato  tutti gli ultimi anni di suggerimenti affermando che sono più dannosi i carboidrati dei grassi saturi. Secondo questo medico è ora di distruggere il ruolo negativo  che i grassi saturi avrebbero nella insorgenza di malattie cardiache. Già alcune nazioni come ad esempio  la Svezia stanno adottando linee guida che incoraggino una dieta ricca di grassi e povera di carboidrati.

L’avere eliminato burro, panna e cibi grassi può avere fatto più male che bene per quanto riguarda l’insorgenza di malattie cardiache. Gli esperti dicono che milioni di persone sono state curate erroneamente con le statine sulla base di studi scientifici scorretti. Il cardiologo Aseem Malhotra, specialista in cardiologia interventistica presso l’ospedale universitario di Croydon a Londra,  sostiene che l’avere tagliato da 4 decadi in modo drastico i grassi saturi che si trovano nel burro, nella panna e nella carne meno magra hanno paradossalmente aumentato i nostri rischi cardiovascolari. Questo errore nasce da uno  studio degli anni ’70  che dimostrava l’esistenza di un legame fra malattia cardiaca e livello di colesterolo nel sangue correlato con le calorie apportate dai grassi saturi. Uno dei primi lavori scientifici sull’obesità pubblicato su Lancet nel 1956 che paragonava gruppi a dieta con prevalenza di  carboidrati, verso gruppi a dieta con prevalenza di grassi, aveva dimostrato che questo secondo gruppo perdeva peso in modo più significativo del primo.

Uno dei possibili fattori di rischio nella sindrome metabolica, che può portare a sviluppare un diabete di secondo tipo, è rappresentato proprio dai carboidrati raffinati. La dieta mediterranea,  secondo questo cardiologo,  ricca di olio d’oliva è molto più cardioprotettiva delle statine. Gli zuccheri complessi  fanno molto più male dei grassi ed in generale un buon cibo fa bene a tutti. Il fatto che il livello di  colesterolo elevato sia la causa primaria delle malattie cardiache è il peggiore errore dei nostri tempi  e personalmente aggiungo di avere numerosi pazienti anziani  con colesterolemia elevata che godono di ottima salute ed hanno carotidi con minimo accenno di arteriosclerosi.

Alla base di queste affermazioni, aggiungo ancora io, c’è che l’insorgenza della malattia arteriosclerotica  è correlata  al processo infiammatorio dell’endotelio vascolare e l’infiammazione è a sua volta correlata allo stile di vita. Ecco perché i pazienti fumatori o i pazienti stressati  sono i più penalizzati. Il tanto decantato libro The China Study che demonizza i valori di colesterolemia manca completamente di una correlazione fra livelli di colesterolo e stile di vita della popolazione cinese su cui si è svolta l’indagine epidemiologica, ed è noto a tutti che i cinesi sono pesanti fumatori.

Se inoltre consideriamo che muscoli e cervello si nutrono di grassi saturi possiamo serenamente ritornare al nostro pane e burro come colazione del mattino senza però fumarci una sigaretta dopo ma anzi uscendo a fare due passi o andando in ufficio a piedi.

Riferimenti:

Aseem Malhotra, interventional cardiology specialist registrar, Croydon University Hospital, London, Saturated fat is not the major issue, BMJ 2013;347:f6340

 

Enzo Soresi: “Grazie ad un verme, siamo diventati Homo Sapiens”


file1370265425_20_longevitàVenerdi 20 settembre ho partecipato  al congresso della Fondazione Veronesi a Venezia, il tema era la longevità e gli spunti che ne ho tratto sono stati molteplici ed interessanti sia per uso personale che nell’interesse dei miei pazienti. Piena conferma, ahimé, da parte di molti ricercatori, della restrizione calorica (almeno 30 % di in meno di cibo) per ridurre le malattie ed aumentare la sopravvivenza. Due studi fondamentali, uno sui topi ed uno sulle scimmie, hanno confermato questa triste verità. In un mondo occidentale ricco di obesi e persone in sovrappeso, in cui le città d’arte sono diventate uno squallido mangificio,  la scienza ci dice  che meno si mangia (entro certi limiti) e più e meglio  si campa. Non solo, il segreto per evitare di ammalarsi è diventare vegetariano mangiando cibi di qualità. Questa osservazione deriva da uno studio randomizzato sulle scimmie in cui il gruppo che si nutriva di cibi vegetali naturali si ammalava meno di quello nutrito con cibi industriali, sempre vegetali.

Estremamente stimolante è stata , abbandonando il tema del cibo, la relazione del prof. Seth Grant, neuroscienziato dell’Università di Edimburgo, che ha spiegato l’importanza delle sinapsi nella evoluzione del cervello precisando che nel contatto sinaptico si possono liberare fino a 1000 tipi di sostanze proteiche che sono esattamente uguali a quelle liberate dalla prima cellula  in contatto con l’ambiente qualche milione di anni fa. Ha precisato poi che la nascita del sistema nervoso la si deve ad un doppio colpo di fortuna , analoga a quella di vincere per due volte consecutive ad una lotteria. Infatti, un nostro antenato, denominato PICAIA (un piccolo verme), nel suo processo evolutivo ha raddoppiato per due volte il suo genoma e questo ha fatto nascere le strutture nervose. Il prof Grant è fondatore del  programma G2C, un consorzio internazionale di ricerca e formazione per lo studio delle malattie cerebrali, in quanto le sue scoperte  hanno confermato l’importanza delle sinapsi  in queste patologie e la relazione fra geni, comportamento e malattie cerebrali.

Il prof. David Sweatt, neurobiologo dell’Università dell’Alabama, ha spiegato l’importanza della metilazione e della acetilazione nei meccanismi di formazione della memoria a breve e lungo termine confermando l’importanza della alimentazione nell’invecchiamento del cervello. Già qualche tempo fa su questo blog avevo spiegato l’importanza dei metili nella stabilizzazione del DNA.  Sweatt ha ricordato che le cellule neuronali, a differenza delle altre cellule, non si deteriorano con il passare degli anni mentre quella che si riduce progressivamente è la produzione di dopamina così importante per l’attività motoria ed il tono dell’umore. A questo proposito, sempre su questo blog, vi ho spiegato l’importanza della molecola adenosina metionina , scoperta da un italiano negli anni ’50, nel favorire la liberazione di questa sostanza in grado di stimolare la liberazione di dopamina ed ottimizzare la sensibilità all’insulina.

Grande rilievo  infine è stato dato dal prof.  Giovanni Scapagnini agli isocianati, contenuti in grande quantità nei mirtilli e nei lamponi, che per la loro caratteristica di idrosolubilità attraversano la barriera ematoencefalica sviluppando una importante protezione sul micro-circolo vascolare cerebrale ed in generale su tutto l’apparato cardiovascolare.

Logica conclusione di questo congresso:  stamane colazione con latte di soia, pane integrale  ed una tazza di yogurt magro con mirtilli (post di Enzo Soresi).

Epigenetica del movimento: esercizio fisico e suoi vantaggi


EpigeneticaMovimentoL’attività fisica è notoriamente  efficace su più fronti in quanto mantiene i muscoli più tonici e funzionali, rende elastiche le articolazioni, è benefica per l’apparato cardiovascolare, riduce colesterolo e trigliceridi, induce  una lieve attività antiaggregante e controlla il sovrappeso. Contrasta malattie come l’osteoporosi ed ha una attività antistress riducendo ansia e depressione.

Camminando  a passo svelto inoltre, i muscoli liberano un ormone noto come body nerve growth factor che nutre il cervello e favorisce la produzione di cellule staminali cerebrali. L’ultima novità,  che deriva da uno studio scientifico svedese eseguito dalla Lunde University Diabetes Centre, confermato successivamente da un secondo studio del Karolinska Institute ,  sembrerebbe essere la capacità da parte di un adeguato fitness di controllare l’espressione del diabete in pazienti a rischio per sovrappeso e rischio genetico, inibendo l’espressone epigenetica del gene che induce lo sviluppo di questa malattia.

Da tempo è nota l’importanza dell’alimentazione  sulla attività dei geni in particolare sul meccanismo epigenetico di questi. Si tratta in definitiva di piccoli cambiamenti,  con maggiore frequenza di metilazioni ( aggiunta al DNA di un gruppo metile costituito da 3 atomi di idrogeno ed 1 di carbonio), queste variazioni non alterano il genoma ma modificano il modo e la tempistica con cui i geni vengono accesi o spenti agendo di conseguenza sulla loro attività.

Un esempio interessante già riportato su questo blog è quello condotto su una razza di topolini obesi le cui madri, se in gravidanza vengono nutrite con pappa ricca di sostanze metilanti (la comune lattuga cruda è piena di metili), partoriscono topolini normali e non obesi in quanto viene bloccato il fattore epigenetico che induceva l’obesità.

Uno studio recente dell’ Institute for Food Research dell’Università di Newcastle in Inghilterra ha dimostrato, attraverso un prelievo di cellule dal colon di un gruppo di volontari, come la metilazione potesse essere responsabile di modificazioni del gene di tipo epigenetico correlate con alcuni nutrienti in particolare vitamina d e selenio.

Negli uomini, in particolare sopra i 50 anni ed in sovrappeso, il rischio di tumore al colon è aumentato nel caso di un eccesso  di acido folico o difetto di vitamina d e selenio.  Praticare quindi attività fisica, oltre a mantenersi più giovani,  rappresenta  un nuovo fattore di prevenzione sullo sviluppo del diabete di tipo 2 che sta diventando una malattia epidemica nei paesi occidentali sia per il tipo che per la quantità eccessiva di alimenti.

Più sale-meno sale. Più grassi-meno grassi. Paradossi della medicina


SaleSaluteDopo avere passato anni ad addestrare i miei pazienti ad usare il sale con parsimonia perché aumenta la pressione arteriosa e favorisce malattie cardiovascolari, ecco un intervento del prof. Mantovani, eminente immunologo e direttore scientifico dell’ospedale Humanitas, che mette punto, fermo restando che l’abuso crea  problemi cardiovascolari, l’importanza del sale nella difesa dell’organismo e sul suo ruolo nello sviluppo di malattie. Due diversi studi pubblicati su Nature hanno riportato la scoperta di un sensore molecolare posto nelle cellule della immunità in grado di percepire la concentrazione di sale e di innescare una risposta immunitaria che porta alla differenziazione di un sottotipo di linfociti T in grado di attivarsi in funzione degli agenti patogeni che  attaccano il nostro organismo. Questo particolare tipo di cellule, definite TH 17, in particolare combattono i batteri extracellulari quali lo streptococco e lo stafilococco. Questa osservazione confermerebbe l’importanza del sale nello sviluppo del sistema immunitario, ma nello stesso tempo aprirebbe l’ipotesi allo sviluppo di malattie autoimmuni che fa eccesso di sale. Come clinico concluderei invitando ad attuare con gli esami del sangue di routine anche il controllo del quadro elettrolitico che evidenzia i livelli ematici di sodio, cloro e potassio.

L’altro paradosso sicuramente più complicato da interpretare è quello che il sovrappeso, addirittura ai limiti della obesità,  in pazienti anziani ed anche portatori di malattie croniche rappresenterebbe un fattore di prevenzione in quanto è stata dimostrata   una minore mortalità di questo gruppo rispetto a coetanei normopeso ed in perfetta salute. Questa affermazione deriva da uno  studio inequivocabile effettuato da biostatistici del Centers for disease control di Atlanta pubblicato su Jama. Chi è in sovrappeso con un indice di massa corporea  (BMI) fra 25 e 30  ha una diminuzione del rischio di morte del 6 % rispetto a chi è normopeso, mentre chi è obeso ha un rischio morte superiore del 18 %. Le ipotesi per spiegare questa contraddizione sono molteplici ma forse la più logica  potrebbe essere quella  che molte di queste persone sono seguite più attentamente dai medici ed assumono farmaci salvavita come ipotensivi ed antiaggreganti con maggiore frequenza.

Che fatica essere un medico allopatico! A proposito di farmaci: possiamo stare tranquilli?


Vi devo raccontare due casi clinici che mi sono capitati recentemente ed in cui sono personalmente coinvolto. Qualche mese fa una mia paziente, che curavo per una broncopatia  da fumo, mi mandò i suoi esami del sangue affinché li valutassi, l’unico parametro che mi sembrava fuori range era il valore della insulinemia basale che da qualche tempo, in particolare nei pazienti portatori di neoplasia , sto richiedendo assieme alla glicemia a digiuno in quanto più è bassa l’insulina meno le cellule neoplastiche mangiano e crescono.

Chiesi alla paziente quali farmaci stesse assumendo e lei mi mandò un elenco di integratori  mentre come come unico farmaco per abbassare il colesterolo prendeva da due anni 20 mgr di torvastatina (Torvast). Le dissi di sospendere tutto e di ripetere gli esami dopo due mesi senza ipotizzare quale sostanza potesse essere responsabile di questo valore così elevato visto che l’alimentazione era corretta e la signora era normopeso.  Dopo circa 15 giorni da questo mio suggerimento mi è pervenuto un aggiornamento scientifico sul periodico “The  medical letter”  da cui si evinceva che le statine, in particolare la torvastatina e la sinvastatina, oltre ai noti effetti collaterali di danno muscolare possono favorire l’insorgenza del diabete.

Il secondo  caso mi coinvolge personalmente, avendo infatti una ipertrofia prostatica a e volendo evitare l’intervento, su consiglio  dell’urologo da circa 4 anni assumo regolarmente, dopo cena,  una compressa di Avodart (finasteride) con tutta tranquillità ed in piena fiducia. Da circa un anno mi ero accorto  di avere una raccolta di pannicolo adiposo sull’addome insolita per me e per il mio stile di vita molto attivo. Ho cominciato quindi anch’io a cercare di abbassare l’insulinemia con una alimentazione priva di zuccheri, di carboidrati raffinati e poi, su consiglio di un mio amico ricercatore, ho eseguito i seguenti esami ematologici:  TSH -glicemia- hb glicata -insulinemia -17 beta estradiolo – proteina c reattiva,  tutti i valori risultavano nei range ed in particolare l’insulinemia , con mia grande soddisfazione, era scesa a valori di 4 (2- 20).

Il valore di beta estradiolo mi sembrava normale  essendo di 59 su limiti di 20-120 ma appena  il collega ha ricevuto i miei esami mi ha contattato tempestivamente subito dicendomi  che rischiavo il cancro alla prostata, la perdita di memoria, la caduta della libido, l’obesità e la ginecomastia (leggi tette) in quanto la finasteride trasforma il testosterone in estrogeni con le conseguenze di cui sopra. Alla mia replica di non volermi fare  operare di prostatectomia  mi ha suggerito di assumere mezza compressa alla settimana di arimedex (la pillola che viene data alle donne operate di tumore al seno per azzerare gli estrogeni)  e di ripetere l’esame del beta estradiolo dopo 6 settimane al fine di farlo scendere sotto il valore di 31. Vi terrò aggiornati sulla evoluzione della mia salute avendo evitato per un pelo di diventare un bel putto castrone con in più un cancro alla prostata. Che fatica essere un medico allopatico!