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Evoluzione e relazione


(Post di Valentina Guzzardo) Cosa nutre la relazione e può tenerla in vita? Una domanda più che mai urgente in tempi di zone rosse e sirene d’ambulanza. Apos l’ha colta e, con un evento corale, ha risposto: lo stare insieme, il corredo ormonale, la biologia, la cultura, unico vero trampolino di rilancio umano e professionale. Un tempo di pensiero che ha nutrito un nuovo modo di agire e di percepire: quella che ci appare come separazione non è che una soglia, una membrana: lo spazio dove esiste possibilità di incontro e scambio. Questo campo di relazione è il punto di contatto sempre possibile.


Un senso nuovo

E’ quello emerso – tra sapere, mistero e sentire – durante le tavole rotonde del 46° Convegno Nazionale Apos, dove in qualità di moderatrice ho dialogato con il Prof. Enzo Soresi, il fisioterapista Ivan Martani, il Dott. Flavio Allegri e gli operatori Shiatsu Aldo Ricciotti e Alfredo D’Angelo (tutti ‘portavoce’ della più ampia mente collettiva in azione contemporaneamente: ad assistere c’erano quattrocento persone!). Interlocutori capaci di volare alto: scelti per la loro unione tra scientificità e umanità. “Siamo in gioco come esseri umani – ha detto Ricciotti – perché qualunque tecnica origina da noi”. Un dialogo che ridefinisce o piuttosto modella in modo nuovo, avveniristico, il ruolo e i compiti di medici e operatori del benessere. Un approccio integrato non più ovviabile nell’ottica di una Pnei (Psiconeuroendocrinoimmunologia) accomunata allo Shiatsu da una visione sistemica.

Riconoscersi umani

Cos’è una relazione dal punto di vista umanistico, somatico e neuroscientifico? Ciò che la identifica è la sua essenza: alla base della relazione c’è l’ascolto col cuore. “Relazione è la capacità di riconoscersi nell’altro come essere umano, riconoscere le emozioni, emozionarsi per le emozioni che trasmette”, risponde Allegri, dirigente della Pneumologia dell’Istituto dei Tumori di Milano, che tra un paziente e l’altro, tutte le volte che è possibile, si prende una decina di minuti d’intimità, raccoglimento, silenzio per riepilogare tra sé la storia della persona che sta per incontrare e farla sentire riconosciuta, appunto. La relazione, inoltre, ci permette di essere consapevoli che c’è qualcosa di più grande di noi a partire da noi, dall’accoglienza, primo ‘timbro’ di ogni rapporto umano, sotteso a quello terapeutico. “La disponibilità dell’altro ad aprirsi e sentirsi accolto è data dal fatto che vede in te qualcuno che può capire il suo dolore”, riflette Martani. “Se non ti riconosce come essere umano, è difficile possa farlo come terapeuta, ti delega eventualmente la parte tecnica, ma non tutto il resto”.

Accogliere

E senza empatia non può esserci effetto placebo. “La parola dell’accoglienza nutre la relazione perciò la relazione apre la porta e una parola detta prima di presentare una proposta di cura fa la differenza”, focalizza Enzo Soresi. “Per la stessa ragione non ho mai comunicato una prognosi infausta a nessuno. E’ un atto di potente presunzione e aggressività”, mentre la relazione è quella particolare interazione sociale che ci fa sentire in un posto sicuro. Toccare l’altro (manualmente o visivamente) presuppone un patto tra corpi che riconoscono una situazione di tranquillità. Neuroscienze e Teoria Polivagale confermano ciò che è vero da sempre a livello intuitivo: non posso costruire una relazione se ritengo l’altro pericoloso. Ad esempio, in tempi di pandemia, se mi sembra troppo vicino e quindi non mi fa sentire a mio agio.

La lettura delle emozioni

Ognuna di esse ha una funzione biologica e di sopravvivenza e per esprimersi deve trovare le giuste condizioni: i bodyworker possono fare molto per assicurare la fluidità della comunicazione interna attraverso il lavoro corporeo che rilascia betaendorfine.

“Le betaendorfine sono l’asse portante del nostro benessere”, spiega Soresi. “Intervengono nei concetti di fame, emozioni, dolore, cure materne, comportamenti sessuali, ricompensa alla cognizione. In senso più ampio, controllano stress e omeostasi. Le emozioni bloccate non sono altro che i recettori degli oppiacei che non sono stati ben stimolati al momento giusto. Tutta la periferia delle radici spinali è piena di recettori. Più si lavora bene su di essi, più tutto trova armonia anche a livello centrale perché il cervello è sempre frutto di ciò che avviene in periferia: il cervello si costruisce in funzione di azioni neuromotorie, di percezioni, del sentire. L’importanza di attivare il sistema dei recettori in periferia è aiutare la mente agendo sul corpo. Lavorare sul mondo biologico per ridare un senso diverso all’essere al mondo”.

I robot non risuonano

La reciprocità nutre la relazione, che è a doppio senso: mentre tocco sono toccato, da qui l’importanza di stare in ascolto di sé mentre si accoglie. Attraverso l’altro sento me e dichiarare ciò che provo – anche la mia fragilità, insicurezza o difficoltà – fa emergere un’ulteriore porta d’entrata relazionale. E’ proprio la componente umana, il coinvolgimento, a differenziare la relazione dalla semplice interazione gestita da un robot o programmabile da pc. E poi la relazione ti lascia diverso, ti cambia. Recuperando un aspetto di Neuroetica: l’ultimo step del ‘movimento empatico’ è proprio la trasformazione del Sé. Non siamo più 1+1, ma il prodotto di questo incontro, con proprietà differenti. In una semplice interazione questo non avviene, è qualcosa di puramente meccanico. “Essere sistema, insieme partecipante di parti costantemente interagenti, apre possibilità di cambiamenti che altrimenti non sarebbero possibili – medita D’Angelo – Ha a che vedere con la moltiplicazione, la dimensione in cui la trasformazione può avere luogo. Questo ha a che fare col sacro. Tutto ciò grazie alle emozioni, al risuonare come diapason.

Entanglement

“Lavorare sulla percezione, sul sentire, è come sistemare bene qualsiasi impianto hi-fi. Trovare la sintonia giusta, questo conta. Nel momento in cui ti sintonizzi entri nella neuromodulazione e ridai vita a tutto il sistema delle endorfine”, sintetizza Soresi, che chiude: “E’ la stessa fisica quantistica (un gioco di relazione tra onda e particelle), se ben compresa, a offrire una nuova visione, dove a un mondo fatto di cose materiali si sostituisce un mondo fatto di relazioni, di connessioni, che si rispondono in un inesauribile gioco di specchi, senza toccarsi. La chiave è dunque la relazione intesa come entanglement (intreccio, trama comunicante che condivide informazioni telepaticamente anche a grande distanza): tanto più mi sintonizzo, tanto più tutto si armonizza”.
E’ un meccanismo cosmico che agisce a tutti i livelli, anche in noi, a livello concreto, molecolare. Questa sintonizzazione è data dalla centratura della persona, tenendo presente che il centro non è uno, ma è una relazione tra centri, che però non deve essere autoreferenziale. Relazione è rischio (di perdere l’equilibrio personale per guadagnarne uno nuovo, che è quello della relazione), ma anche necessità per un essere vivente per perpetrare la sopravvivenza. La relazione va nutrita perché esistiamo insieme. Offrendo spazio, prendendo spazio, in vibrazione.

Conclusioni

Un dialogo a più voci in cui sono stati citati Susan Sontag, Carlo Rovelli, Emily Dickinson, Marcel Proust, Oliver Sacks, Chandra Livia Candiani, John Cage. Arte, letteratura, musica, fisica: non si può parlare dell’essere umano, e della relazione, senza integrare tutte queste forme di espressione.
“Il periodo Covid è interessante dal punto di vista culturale”, ha concluso Soresi. “Anche se manca una relazione ‘normale’ c’è un input culturale potentissimo in tutti i campi, ed è questo che porta l’uomo a evolversi, da sempre. La cultura è la premessa alla base di ogni crescita, usiamo questo tempo di limitato contatto fisico per evolvere le nostre relazioni e volare (più) alto”. Usiamo il cervello sempre meglio nella sua funzione essenziale: sentire sensazioni ed emozioni! Ci aiuterà a pensare con maggiore chiarezza, e anche a prendere decisioni!

Covid-19: la pandemia e il narcisismo


AgnesTegnell_NEUROBIOBLOGLa pandemia ci ha mostrato molti sistemi fragili. Dissoltisi come un ghiacciolo al sole. Molte criticità personali, sociali, politiche, economiche. Ma pure di attendibilità e credibilità scientifiche. Se c’è un aspetto “anche” istruttivo oltre che distruttivo nel coronavirus, andrebbe visto nella necessità di una maggiore cautela, attenzione, riflessione, confronto. Da cui dovrebbe poi scaturire una sintesi condivisa tra pari.

Proprio perché la medicina è complessa, sfaccettata e multifattoriale, in continua e quotidiana evoluzione, tra clinici e ricercatori si è soliti parlare ma soprattutto indire delle “consensus conference”: confronti spesso estesi, nazionali e internazionali, articolati, persino vivaci su come studiare, diagnosticare e trattare una determinata patologia. Su cui si raggiunge però un “consenso” di uso pubblico. Perché non è avvenuto, soprattutto a livello di dichiarazioni pubbliche, col covid-19? A parte la quotidiana conferenza stampa indetta dalla protezione civile, perché abbiamo dovuto assistere a una parata di narcisismi con informazioni contrastanti, persino dichiarazioni apodittiche più confacenti a un politico che a uno scienziato?

Si sa che apparire in tv o sui giornali, essere continuamente cercati e ricercati dai giornalisti, può dare alla testa. Capita persino ai più navigati artisti, figuriamoci a un medico o a uno scienziato, abituati a ben altre vite che a quella del palcoscenico. Al massimo al podio di un congresso internazionale. Ma per il minutaggio rigidamente concesso alla relazione, assieme a molti altri colleghi. Tutt’altra roba dalla ribalta  del palcoscenico. Qui invece abbiamo assistito, e ancora assistiamo,  a una vera e propria  “febbre mediatica”: certi medici e certi scienziati si sono calati testa e piedi nel ruolo della star, della prima donna, con tutte le bizze, le isterie e il make up del caso. Persino con un agente personale che tratta per la comparsata. Ma soprattutto ci è mancata una cosa determinante: perché nessuna di queste star si è mai sognata di chiedere scusa per le minchiate che ha detto? Per gli errori che ha fatto?

Onore e merito, dunque, all’infettivologo ed epidemiologo di stato svedese Anders Tegnell della Public Health Agency of Sweden che ha fatto ammenda per avere cannato nelle sue valutazioni della pandemia. Ha pubblicamente ammesso che la sua strategia per combattere il covid-19 ha provocato troppi decessi, dopo aver convinto il suo paese a evitare un blocco rigoroso. Ricordiamo che il tasso di mortalità in Svezia per covid è tra i MortiPer100000_Neurobioblogpiù alti a livello globale e supera di gran lunga sia quello della vicina Danimarca che quello della Norvegia. Nessun essere umano, nessuno scienziato, neanche premio Nobel, ha la sapienza e la conoscenza assolute, specie di fronte a un nuovo fenomeno. Quindi può sbagliare e commettere errori che, nel caso della sanità pubblica, possono tradursi in tragedia. Quindi ben vengano le ammende e scuse pubbliche. Ma si sa, ammettere pubblicamente i propri errori richiede coraggio più che narcisismo.

Danni mitocondriali da chinolonici: cosa fare


Antibiotics. Medical Concept with Blured Background.Dopo i precedenti scritti sui possibili danni da farmaci chinolonici, mi giungono sempre più richieste di visite e consulenze. Mi sono impegnato in tale senso e sono diventato un referente per i danni mitocondriali a livelli clinici non più valutabili. Questo blog diventa perciò anche un riferimento su tale tema.

Per chi ritiene di avere subito danni mitocondriali lievi da farmaci chinolonici suggerisco di assumere glutatione per via orale, vitamina C 500 mgr due volte al giorno e coenzima Q10.

Per chi ritiene di avere subito danni gravi e protratti il riferimento è il Centro Dino Ferrari a cui consiglio di rivolgersi: fa parte del Policlinico di Milano e si occupa anche di malattie neuromuscolari su possibile danno mitocondriale.

Smiling Depression: allegri fuori e tristi dentro


(Post a cura di Franco Zarattini, neurologo e psichiatra)

Cos’è la depressione sorridente? 

SmilingDepression_DepressioneSorridente_NeurobioblogLa ricercatrice inglese Olivia Rennes dell’Università di Cambridge in Inghilterra ha pubblicato recentemente un articolo sulla rivista online “La Conversazione” sostenendo che questa forma di depressione è diversa in quei soggetti che non riescono al alzarsi dal letto dopo il risveglio del mattino provando ansia e disinteresse per la vita da quella di individui che continuano a sorridere, mantenere le amicizie e lavorare. In questa situazione è assai difficile comprendere o far capire agli altri di avere bisogno di aiuto perché quelli che ne soffrono, benché si sentano fragili, tristi e senza speranza, riescono a vivere normalmente riuscendo a nascondere un vissuto alquanto diverso da quello apparente: in sintesi allegri fuori e tristi dentro! Questa forma di depressione può iniziare presto nella vita e durare a lungo con una differenza dalle altre in quanto nei pazienti che ne soffrono il bisogno di dormire aumenta, mentre l’angoscia tende a crescere soprattutto di sera.

Notoriamente il sintomo cardine della depressione è l’umore depresso, caratterizzato da tristezza, pessimismo e disperazione. Alcuni pazienti si sentono incapaci di provare emozioni e talora riferiscono di essere sempre meno interessati ad attività di hobby (passatempo/divertimento) che praticavano abitualmente e di non trarre piacere da esperienze considerate in precedenza gratificanti. Ne consegue spesso l’insorgenza di condotte che portano ad una compromissione del funzionamento lavorativo e sociale. Inoltre non sono da trascurare la perdita di interessi (apatia) e piacere (anedonia) quasi sempre presente con intensità variabile.

La depressione sorridente si manifesta tra il 15 ed il 40 per cento dei soggetti depressi coinvolgendo maggiormente quelli con tratti di personalità rigidi in quanto rimuginano eccessivamente sul loro passato e sugli errori commessi; inoltre difficilmente riescono a superare situazioni imbarazzanti essendo ipersensibili alle critiche.

Questa forma di depressione è difficilmente individuabile perché compare in soggetti in grado di procedere attivamente nella propria vita, salvaguardando i propri interessi senza accorgersi della sua pericolosità per l’elevato rischio di suicidio che sottende. Apparire felici ed appagati, mentre si soffre profondamente dentro, distoglie questi individui dalla consapevolezza della propria condizione affettiva in flessione ritenendo erroneamente di non avere alcun disturbo depressivo di cui preoccuparsi, dato che sono capaci di sobbarcarsi la routine quotidiana. Riconoscere pertanto le proprie difficoltà li induce a temere di essere considerati deboli non escludendo sentimenti di colpa in assenza di motivi validi. Pensare dì rivolgersi ad uno specialista psichiatra potrebbe sembrare una scelta esagerata non volendo dare l’immagine di essere molto disturbati. La sofferenza interiore verrebbe soffocata evitando di parlarne anche con persone affidabili ed esibendo un’immagine di se stessi irrealistica.

Le terapie per la depressione sorridente

Bloccare la tendenza a ridimensionare i propri problemi non ritenendoli sufficientemente gravi aiuta questi soggetti a superare una fase assai negativa della propria esistenza, tanto da renderli finalmente consapevoli che è giunto il momento di prendersi cura di se stessi, accettando l’idea che non è sempre possibile aiutarsi da soli. Ne discende per questi individui che è ineludibile la decisione di rivolgersi a specialisti psichiatri pubblici o privati convinti che rimane un loro diritto essere ascoltati e curati. Assodato che la depressione è una malattia che sconvolge l’esistenza esponendola pure al serio rischio di sopprimerla essendo vissuta come insopportabilmente dolorosa, rimane altrettanto vero che si può guarirne con una presa in carico da uno specialista psichiatra, che stabilito un rapporto interpersonale empatico, potrà prescrivere una terapia farmacologica antidepressiva integrata da una psicoterapia mirata caso per caso.

Ingannando Houdini: intervista ad Alex Stone


AlexStoneAlex Stone è una figura interessante nel panorama dell’arte magica. Perché non è solo un prestigiatore. Non è solo un illusionista addentro alle varie tecniche cartomagiche, oppure mediante monete e tutte le altre possibilità che offre di ingannare i sensi e la mente del prossimo la cosiddetta magia “a vista” (tecnicamente micromagia, in lingua close-up magic). Per eseguire questi numeri magici con efficacia occorrono anni e anni di studi teorici, ma soprattutto pratici. Allenamento continuo. Per alcuni addirittura ossessivo. Meglio se sotto la guida di maestri esperti. Professionisti magari pluripremiati nei vari consessi internazionali. Alex Stone si racconta appassionatamente, ironicamente e pure spudoratamente, in questo suo libro di memorie magiche: Ingannando Houdini. Prestigiatori, mentalisti, patiti di matematica e poteri nascosti della mente.

Una vera e propria autobiografia, unica nel suo genere, degna di un film, di cosa significhi, cosa debba affrontare chi si avventuri, da zero, lungo il tortuoso, ispido cammino, per assurgere al titolo di “mago”. In un ambiente, quello dei professionisti dell’arte magica, molto selettivo, esclusivo, geloso dei propri segreti. Alex Stone passerà infatti i suoi guai per avere svelato alcuni di questi segreti su una rivista destinata al pubblico generico. Ma proprio perché, come dicevo all’inizio, Alex Stone non è solo un illusionista. È anche un divulgatore scientifico con una formazione in fisica. Ha una mentalità da ricercatore e di sperimentatore. E del resto la magia, al pari della scienza è, al più alto livello, ricerca, sperimentazione e innovazione. Continue. Costanti. Viceversa non avrebbe potuto sopravvivere, evolversi, adattarsi ai gusti del pubblico anche attraverso le nuove tecnologie, per migliaia di anni fino ai giorni nostri.

Alex Stone si rende conto presto che la magia è anche, soprattutto, psicologia. Perché, come dice un principio assoluto della magia, “non avviene nelle mani del mago ma nella mente dello spettatore”. Se ne rende conto a tal punto Alex Stone, che per approfondire gli aspetti percettivi e cognitivi della magia incontra, impressiona con i suoi trucchi e infine collabora con la psicologa ricercatrice Arien Mack, allora direttrice del Perception Lab presso la New School for Social Research di New York,  in ricerche sull’attenzione e sviamento dell’attenzione (misdirection, la pietra miliare di tutta la magia).

La magia esiste perché i nostri sensi sbagliano. La nostra percezione è fallace. La nostra attenzione può essere sviata. La nostra memoria non è perfetta. Addirittura la nostra mente può creare false memorie. Tutto nella magia, come del resto nell’inganno e nella truffa, affonda le proprie radici nella psicologia. Come scrive Alex Stone: «Come per ogni trucco magico, la sola tecnica non è che una piccola parte dell’illusione. La psicologia è l’ingrediente segreto».

Ecco allora che i trucchi magici entrano sempre più spesso nei laboratori di ricerca psicologica e neuropsicologica: rappresentano mezzi perfetti per indagare la mente umana. Specie con il supporto delle moderne tecniche di registrazione e visualizzazione dell’attività cerebrale. Un campo affascinante, promettente, da cui sgorgano sempre più stimoli e pubblicazioni scientifiche. Il rapporto tra magia e scienza è agli inizi, ma già promette bene. E personaggi come Alex Stone stanno dando e daranno contributi certamente importanti.

Perché hai intitolato il tuo libro Fooling Houdini (Ingannando Houdini in italiano)?

Il titolo del libro allude a una storia su Dai Vernon, il più influente artista di primo piano del ventesimo secolo, anche conosciuto come “The Man Who Fooled Houdini”. Houdini si vantava che nessun uomo potesse ingannarlo tre volte con lo stesso trucco. La magia dipende molto dall’elemento sorpresa, motivo per cui ai maghi non piace ripetere un effetto per lo stesso pubblico. Gli anni passarono e la sfida andò insoddisfatta. Poi, nel 1922, durante una cena tenuta in onore di Houdini, Dai Vernon, di cui pochi avevano sentito parlare all’epoca, mostrò a Houdini la versione di un trucco chiamato “carta ambiziosa”: una carta firmata ritorna in cima al mazzo dopo essere stato messa nel mezzo. Vernon ha ripetuto l’effetto molte volte e Houdini è stato completamente ingannato! Più in generale, il titolo del libro si riferisce al fatto che i maghi cercano sempre di ingannarsi l’un l’altro con nuovi trucchi.

Parli di magia come di un “linguaggio universale” che raggiunge tutti. Intendi come l’arte o la musica?

Sì! Puoi fare un trucco magico per qualcuno in qualsiasi parte del mondo e di solito sorriderà. Tocca qualcosa in noi che è legato alla nostra natura profonda, credo.

Qual è la relazione tra magia ed emozioni? E tra magia e memoria?

Penso che tutta la magia, o almeno tutta la buona magia, generi potenti emozioni. La memoria è difficile e le persone spesso hanno difficoltà a ricordare correttamente cosa succede in un trucco. (Le emozioni, ovviamente, influenzano anche il modo in cui ricordiamo le cose). I maghi cercano intenzionalmente di fare confusione con i ricordi delle persone, così il pubblico crederà che una cosa sia accaduta quando in realtà qualcos’altro ha avuto luogo. Ma ciò che la magia rivela è che il ricordo è fallibile e può essere manipolato. Qualcosa che va ben oltre la magia.

Un mago può essere ingannato?

Assolutamente! Questo è uno dei malintesi che molte persone hanno sulla magia. I maghi, infatti, si prendono sempre in giro l’uno con l’altro con nuovi trucchi. Ci sono tornei in tutto il mondo in cui i maghi competono l’uno contro l’altro. Questo spirito competitivo guida una notevole innovazione nella creazione di nuovi effetti.

Cosa consiglieresti a coloro che vogliono difendersi dalla frode, dall’inganno e dalla manipolazione della vita quotidiana?

Beh, consiglierei di leggere e studiare la base della psicologia delle truffe. La maggior parte delle truffe ha qualcosa in comune. Primo e soprattutto: se qualcosa sembra troppo bello per essere vero, come si è soliti dire, allora lo è quasi sempre.

Scrivo e dico spesso che la magia è “darwiniana”, evolutiva: si adatta ai gusti, alle culture e soprattutto fa uso di tutto ciò la tecnologia e la scienza si rendono disponibili in un determinato momento della storia. Sei d’accordo?

In una certa misura direi di sì. Come tutta l’arte è conforme ai gusti del momento e cambia con la sensibilità delle persone. Ma ci sono anche aspetti senza tempo della  magia, ecco perché vedi trucchi simili che attraversano i secoli.

La magia è una psicologia empirica, sperimentale, che attraverso i  secoli ha fatto scoperte sulla percezione, la memoria e l’illusione. Scoperte che la psicologia cognitiva ha recentemente iniziato a capire. Come può la magia oggi aiutare la psicologia e le neuroscienze?

La magia, nel suo cuore, sta giocando con i limiti della percezione umana. Nel cercare di capire la magia, finiamo per fare domande su come la mente percepisce il mondo e analizza l’esperienza quotidiana, su come funziona la mente. E perché a volte fallisce. Studiare il modo in cui la magia ci inganna è una finestra sul cognitivo sottostante, sui meccanismi che ci rendono umani. Alcuni neuroscienziati ora stanno persino usando magia per studiare il cervello.

Studiare fisica ti ha aiutato a diventare un mago? Come?

Penso che entrambi comportino un simile fascino per il mistero e lo sconosciuto. Inoltre, ci sono molti trucchi che coinvolgono la matematica. Ancora, entrambi sono abbastanza nerd!

Quanti anni e quante ore di allenamento al giorno ci vogliono diventare un buon mago?

La cosa bella della magia è che puoi iniziare a farlo subito. Ci sono molti trucchi divertenti per i principianti. Non credo davvero nella “regola delle 10.000 ore” di pratica. Ognuno è diverso. Ma diventare un esperto richiede anni lavoro diligente.

Parli della passione per la magia e per sempre nuovi trucchi come  di una “droga”: perché?

Penso che sia avvincente. Da quando ho imparato il mio primo trucco ero “agganciato.” Una volta che inizi vuoi proseguire, desideri imparare sempre cose nuove, effetti sempre più creativi.

Perché forme di magia come il mentalismo e la Bizarre Magick hanno successo oggi?

Sono forme di magia che attirano una nostalgia gotica, sorte di recente. Ma anche queste espressioni mostrano una magia differente da quella a cui siamo abituati. Soprattutto il mentalismo può sembra qualcosa di completamente diverso, motivo per cui molte persone sono convinte che sia in qualche modo reale. È importante riconoscere, tuttavia, che comunque è tutto, ancora, una sorta di inganno.

Cosa consigli a un ragazzo che oggi voglia intraprendere una carriera come mago?

Circondati di altri appassionati di magia. È la cosa più importante. Compra alcuni libri e video, carte e monete. Basta iniziare. Divertiti!

Cosa ne pensi dei tutorial in rete: sono dannosi o utili per la magia?

Penso che siano molto utili. Aiutano le persone ad imparare la magia, chiunque può farlo. Impara ora. Sono grandiosi e conducono alla feconda impollinazione incrociata di idee.

Due domande all’editore italiano di Ingannando Houdini. Paolo Michelotto, in società con i fratelli, ha fondato nel 1994 “Mondo Troll” che si occupa di pubblicare libri e video, organizza workshop e vende materiali correlati alla magia e prestidigitazione, all’animazione e agli argomenti correlati.

Perché avete deciso di pubblicare in italiano il libro di Alex Stone che si discosta dai consueti “manuali magici”?

Il libro di Alex Stone è una lettura affascinante per il lettore che non sa nulla di magia. copertina ingannando houdini frontePer chi ne sa qualcosa ed è appassionato, come noi, è doppiamente affascinante. Racconta di persone reali esistenti nel mondo dell’illusionismo, di episodi accaduti nei congressi magici, di tecniche “impossibili”, di storie vecchie ma viste sotto un’altra luce, di corsi avanzati con personaggi famosi. E racconta la dedizione quasi maniacale per quest’arte. È un inoltrarsi in profondità nel mondo della magia con gli occhi di un prestigiatore estremamente abile non solo nella sua arte, ma anche in quella della scrittura. Per noi come editori è quindi un privilegio aver pubblicato un libro così ricco, emozionante, divertente e approfondito sull’arte a cui da 20 anni ci dedichiamo.

A chi si rivolge Ingannando Houdini?

È un libro divertente, curioso e ricco che può essere letto da chi non conosce per niente la magia, dal neofita assoluto di quest’arte, ma anche da chi ha ottime conoscenze e esperienze magiche, che troverà rispecchiate nei diversi capitoli.

Ingannando Houdini su Mondo Troll 

“The Science of Magic and the Art of Deception” video con Alex Stone 

 

Enzo Soresi: il convegno sulla longevità di Padova


Longevity_Padova_OKDi recente, a Padova, nell’aula magna dell’Università titolata a Galileo Galilei, si è tenuto, organizzato dalla Solgar, un convegno di grande prestigio, sulla longevità,  orientato su coinvolgimento genetico, stile di vita e  strategie nutrizionali per vivere più a lungo.

Il dato  paradossale  emerso dalla prima relazione è  quello che nel 2024 gli obesi nel mondo occidentale supereranno  i 600 milioni di persone.  Si  tratta  di una vera e propria epidemia, incontrollabile. D’altra parte  ovunque ci si giri  l’offerta di cibo è diventata la vera pandemia. Un piccolo esempio: uscito dal convegno e recatomi alla stazione ferroviaria, nel bistrò  annesso,  l’offerta di cibo era imbarazzante, montagne di pacchi di biscotti disseminati sui tavoli, una vetrina con pizze succulente era adiacente al bancone del bar e, personalmente, alle cinque del pomeriggio, ho fatto fatica a non addentare una brioche salata farcita di prosciutto crudo e mozzarella che occhieggiava  dalla vetrinetta mente attendevo il mio austero caffè lungo.

Il paradosso era che la relazione più prestigiosa la aveva tenuta, nel pomeriggio, il   prof. Miguel Martinez Gonzalez ed il focus dei suoi studi,  che coinvolgevano oltre venti istituzioni in Spagna, era sulla  “restrizione calorica” ed i suoi vantaggi in termine di longevità, se incentrati sulla dieta mediterranea.

Con enorme soddisfazione mia e del coblogger Pierangelo Garzia con cui pubblicammo Mitocondrio mon amour  nel 2015,  le relazioni incentrate sul mitocondrio hanno confermato l’importanza di  questo batterio nel mantenerci giovani se ci impegnamo in una moderata attività fisica,  almeno due ore e mezza alla settimana di cammino veloce.  Il mitocondrio inoltre è da anni l’oggetto delle ricerche  del rettore dell’Università di Padova, prof. Rosario Rizzuto,  che, con tecniche di fluorescenza è riuscito a dimostrare la fondamentale importanza di questo  batterio per la vita e la nutrizione della cellula.

Concludendo dopo otto ore di relazioni prestigiose,  i marker di lunga sopravvivenza e buona qualità di vita sono risultati tre: fitness moderato, dieta mediterranea modificata ad un basso indice glicemico e restrizione calorica (20 % in meno rispetto al nostro fabbisogno).

In aggiunta,  stante la mia veneranda età,  ho chiesto al prof. Giovanni Scapagnini, neuroscienziato di fama internazionale, quali fossero i migliori integratori per la difesa del nostro cervello dall’invecchiamento. La risposta è stata un po’ sofferta come se qualcosa di nuovo fosse in arrivo ma poi ha confermato che le tre sostanze più valide da assumere per mantenere il cervello giovane a tutt’oggi sono: omega tre, curcuma ed omotaurina!