
Esiste una decisione puramente razionale? Siamo in grado di decidere nel modo più efficiente possibile? Che il no arrivi dalla scienza potrebbe sembrare un controsenso, ma gli scienziati sanno che l’uomo è condizionato, nei suoi processi decisionali, dalle esperienze passate, dalla sua età, dal sesso, da ciò che crede di volere ma in realtà non desidera. Il cervello, insomma, non è ciò che molti credono sia: riserva sorprese e, talvolta, decisioni sbagliate.
Prendere decisioni. Il tema a prima vista pare frutto di elaborati processi mentali. Di problemi analizzati a fondo, soprattutto dal punto di vista razionale. Pensiamo a grosse decisioni in campo aziendale. Affrontiamo quell’investimento sulla nuova linea di produzione? Oppure a livello politico, o sociale. Ma anche nella nostra vita di tutti i giorni, già da quando dobbiamo decidere se alzarci al mattino o dormicchiare ancora, se proseguire una relazione affettiva, affidarci alle cure di uno specialista, oppure di un altro, come educare i nostri figli. Se ci pensiamo, prendiamo continuamente decisioni. Tanto che, dimostrano le ricerche sul cervello, siamo biologicamente “costruiti” per prendere decisioni. Alain Berthoz, professore di fisiologia della percezione e dell’azione al Collège de France di Parigi e direttore dell’omonimo laboratorio del Centre national de la recherche scientifique (Cnrs), ne è assolutamente convinto. Nel suo libro dedicato alle ricerche in questo campo, La scienza della decisione (Codice Edizioni), scrive: «La decisione è una proprietà fondamentale del sistema nervoso fondata su meccanismi di simulazione interna del corpo e del mondo che si sono fatti più complessi di pari passo con l’evoluzione». Nasciamo e ci evolviamo per prendere decisioni, in rapporto al mondo. Berthoz studia da anni i processi decisionali, non soltanto dal punto di vista delle neuroscienze, ma anche in rapporto alle scienze umanistiche, sociali ed economiche. Gli abbiamo rivolto alcune domande su come il nostro cervello giunge a prendere decisioni e quali novità ci sono in questo campo di studi.
Professor Berthoz, come decidiamo? Quali sono i processi mentali attraverso cui riusciamo a prendere decisioni efficaci?
La nostra mente decide attraverso la combinazione, la cooperazione e a volte la competizione tra le aree razionali e quelle emozionali del cervello. Per molto tempo sono state elaborate teorie in campo economico e industriale, attraverso lo studio delle patologie neurologiche, secondo cui si era portati a ritenere che l’uomo decida solo razionalmente. Viceversa è stato dimostrato, in particolare dallo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, che l’uomo non decide solo razionalmente, ma anche con un contributo molto importante del cervello emotivo. È una delle sfide principali delle neuroscienze moderne, e delle loro relazioni con le scienze umanistiche e sociali, capire se il cervello emotivo collabori o sia in competizione con quello razionale. Negli ultimi quindici anni stiamo assistendo a un momento molto importante in questi studi, oggetto di ricerche al confine di varie discipline, e in particolare nel settore della neuroeconomia.
Sono trascorsi diversi anni dalla pubblicazione del suo libro La scienza della decisione: cosa abbiamo scoperto in più su questo tema?
Dalla pubblicazione di questo libro c’è stato un formidabile sviluppo di ricerche sulla decisione, sia in neurobiologia, vale a dire sui meccanismi fondamentali di tipo neuronale della presa di decisione, sia in settori più sociali, in particolare con la comparsa e l’esplosione delle neuroscienze sociali. La decisione, così come esposta nel mio libro, è stata oggetto di ricerche sia teoriche, attraverso modelli matematici, sia sperimentali, in neurofisiologia degli animali, che dimostrano che non soltanto il cervello, ma gli stessi neuroni prendono continuamente decisioni. Dalla pubblicazione del mio libro, la decisione è oggetto di numerose ricerche e dibattiti, ma le ricerche non sono semplici, perché come ho appunto scritto, la decisione è «una proprietà fondamentale del sistema nervoso». Inoltre, dobbiamo prendere in considerazione il settore della decisione collettiva, uno degli aspetti che ancora non è stato studiato a fondo. In un’azienda, non sono unicamente i dirigenti a prendere decisioni, così come in un’industria che crea un nuovo prodotto, per progettarlo e realizzarlo, occorrono decisioni collettive. In un ospedale, per eseguire un intervento chirurgico, prima si tiene una riunione con tutto lo staff, e nel diritto la condanna di una persona è una decisione collettiva, non unicamente del giudice. Abbiamo fatto molti progressi nello studio delle decisioni individuali, ma rimane un immenso campo di studi per quelle collettive, che rappresentano una nuova frontiera per le ricerche in questo settore.
È stato dimostrato che l’uomo non decide solo razionalmente, ma anche con un contributo molto importante del cervello emotivo
Quali aree cerebrali sono coinvolte nei processi decisionali?
Ne è interessato il cervello cognitivo, che implica i centri della percezione, quindi corteccia parietale, frontale e prefrontale, oltre alle strutture della memoria con l’ippocampo. Il cervello delle emozioni implica a sua volta una struttura molto importante che si chiama amigdala, che riceve tutte le informazioni dal mondo esterno in maniera molto veloce ed è fondamentale per l’attribuzione dei valori, così come la corteccia orbitofrontale, studiata dal neuroscienziato Antonio Damasio, di cui tratta nel suo libro L’errore di Cartesio. La corteccia orbitofrontale è l’interfaccia tra l’amigdala e la corteccia prefrontale, dove vengono prese le decisioni; corteccia orbitofrontale e corteccia cingolata anteriore sono strutture che possono modificare le valutazioni fatte dall’amigdala. L’immagine caricaturale di queste strutture è un grande sistema cognitivo che va dalla parte posteriore del cervello fino a quella anteriore coinvolgendo la corteccia prefrontale, il sistema limbico con l’amigdala che attribuisce dei valori, e infine la corteccia orbitofrontale. Tra le due aree interviene un neuromediatore, la dopamina, quindi una parte dell’influenza del sistema limbico, il cervello emotivo, sul sistema cognitivo è attuato da un mediatore chimico, e questo è ancora un mistero.
La capacità di prendere decisioni cambia con l’età e le situazioni?
La questione va suddivisa in due parti: la prima riguarda le differenze individuali, vale a dire il sesso e l’età. La decisione presuppone che il cervello riceva prima di tutto delle informazioni. Noi sappiamo che in funzione dell’età, dell’esperienza e del sesso, non abbiamo per nulla lo stesso modo di rapportarci al mondo esterno. Il mio ultimo libro, che s’intitola La Vicariance, in uscita in italiano da Codice Edizioni, tratta di questo argomento: la differenza notevole tra gli individui nel modo in cui ricevono le informazioni dal mondo in funzione del sesso, dell’età, dell’educazione e della cultura. Il secondo aspetto è che il cervello non si accontenta, come avevo spiegato nel mio libro precedente, di acquisire informazioni per prendere delle decisioni, ma impone al mondo le sue regole di interpretazione: prendiamo dal mondo solo le informazioni che ci interessano e inoltre le trasformiamo a priori facendo intervenire esperienza personale e memoria. A questa fonte di varietà si lega il fatto che per decidere andiamo a cogliere solo alcune informazioni legate alla nostra esperienza e, soprattutto, al nostro obbiettivo. E il cervello è una macchina che funziona per obbiettivi.
Come decide uno scienziato? Nello specifico: lei si ritiene una persona che prende buone decisioni?
Naturalmente no! Chi ha l’arroganza per sostenere di prendere sempre buone decisioni? Il neuroscienziato cognitivo francese Etienne Koechlin ha proposto, ed è uno degli ultimi progressi in questo settore, una teoria secondo la quale nel processo decisionale vi sono tre componenti: motivazione, presa in considerazione dalle strutture mediali del cervello, l’emozione e cognizione. Detta in un altro modo: ho voglia di una mela, preferisco la banana, ma decido per qualcos’altro. Ebbene, mi trovo nella stessa situazione: prendo delle decisioni in funzione dei miei ricordi, dei bisogni del momento, della motivazione, dell’emozione, e alla fine spesso sono più che altro spettatore della decisione, presa dal mio “doppio”. Ho scritto alcuni capitoli sul doppio, in La semplessità e La Vicariance; le decisioni vengono prese da questo nostro doppio che abbiamo nel cervello: assisto spesso con meraviglia e a volte con stupore alle decisioni che prende il mio doppio.
(Intervista originariamente pubblicata da Oxygen, 22, 2014)
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