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Stabilire un contatto con le realtà extraterrestri: intervista a Alan Steinfeld


Non passa mese ormai, a volte settimana, senza che qualche personaggio delle “alte sfere” governative e militari statunitensi non faccia qualche ammissione sugli UFO. Ma che significato ha tutto ciò? Si tratta veramente dell’ammissione che gli UFO non solo esistono e che la loro provenienza sia di dichiarata provenienza extraterrestre? Certo che no. Si tratta tuttavia di un passaggio quantomeno rimarchevole, storico se vogliamo, per tutta la questione relativa al “mistero degli oggetti volanti non identificati”. Che, tra l’altro, oggi vengono preferibilmente definiti UAP (da “Unidentified Aerial Phenomenon”). Siamo dunque passati dalla visione della scienza ufficiale che preferiva identificare negli UFO dei fenomeni allucinatori, guardando magari ai testimoni come dei disturbati mentali o quantomeno dei creduloni, oppure che interpretava quali fenomeni naturali mal interpretati, alla attuale concezione di “fenomeno aereo di origine sconosciuta”.

La domanda immediatamente successiva che può sorgere alla persona comune però non può che essere: “Va bene, ma allora cosa sono? Se hanno apparenza solida, schizzano via a velocità formidabili, compiono acrobazie impensabili per i nostri mezzi aerei, scompaio di botto o si immergono improvvisamente nell’oceano, che natura hanno? E, soprattutto, quale origine hanno?”. Tutte domande ancora senza risposta. Almeno, senza risposta, per ci guarda a questo fenomeno con occhio e atteggiamento laico, addirittura critico. Anche se negarlo, appunto, non è più possibile.

Ma c’è  poi, invece, chi le riposte al mistero degli UFO non solo le ha, o ritiene di averle, ma è addirittura convinto della  loro origine aliena. Tra queste figure, apostole di una “nuova realtà”, una delle più interessanti è certamente Alan Steinfeld che ha di recente pubblicato con St. Martin’s Press un volume dal titolo Making Contact: Preparing for the New Realities of Extraterrestrial Existence (Stabilire un contatto. Prepararsi alle nuove realtà della esistenza extraterrestre). Steinfeld si definisce un “ricercatore della coscienza” e potrebbe essere visto come un classico rappresentante della New Age per la molteplicità dei suoi interessi nei campi della crescita enteriore, del potenziale umano, delle terapie naturali e, appunto, nello studio del fenomeno UFO.

Studioso, scrittore, produttore e regista televisivo Alan Steinfeld è regista e conduttore del programma televisivo in prima serata “New Realities” per la rete Time Warner di New York. Per oltre 20 anni ha portato al suo pubblico idee all’avanguardia nel campo della scienza, della salute e della spiritualità. Ha intervistato oltre 3.000 personaggi tra i più influenti su questi temi, e anche il suo libro Making Contact include testimonianze dirette di personaggi influenti coinvolti nel fenomeno UFO. Dodici milioni di persone hanno visto i suoi video “New Realities” sul suo omonimo canale YouTube e inoltre produce programmi radiofonici e podcast settimanali della serie “New Realities” per iTunes, BBSradio e KYAK-FM in Oregon.

Insomma, un personaggio certamente interessante da intervistare, come del resto mi è capitato di leggere sulla rivista “Skeptic” e di vedere nell’intervista su YouTube a cura dello “scettico”, nonché saggista e storico della scienza Michael Shermer. Ecco dunque la mia intervista, al lettore farsi una propria idea come rimarca in modo pacato ed equilibrato Alan Steinfeld, ed è pur sempre una testimonianza del tempo che stiamo vivendo.

Alan Steinfeld, qualcuno potrebbe chiedere e commentare: “Un altro libro sugli UFO?”. Quindi la prima domanda è: perché c’era bisogno di un altro libro sugli UFO e in che modo Making Contact differisce da tutti gli altri pubblicati fino ad oggi?

Naturalmente ci sono centinaia e probabilmente migliaia di libri sugli UFO già sul mercato, ma nessuno di loro ha la varietà di intuizioni che questo libro offre. Uno dei motivi per un nuovo libro in questo momento è perché l’intero fenomeno, inclusa l’ammissione da parte del governo degli Stati Uniti di un insabbiamento su questo fenomeno, e l’aumento degli avvistamenti in tutto il mondo con più testimoni che si fanno avanti, stanno contribuendo a fare emergere nuovi aspetti della storia. Questi fattori emergenti hanno creato la necessità per la popolazione mondiale di avere una preparazione istruita per ciò che indica il sottotitolo del libro: “le nuove realtà dell’esistenza extraterrestre”. La preparazione è quella di abituarsi all’idea che la vita sulla Terra non è uno scherzo della natura: la vita e la vita intelligente sono probabilmente diffuse al punto di essere una caratteristica abbondante in tutto il cosmo. Se riusciamo a prepararci con l’accettazione di questa possibilità, saremo più aperti ai benefici che il contatto porterà all’umanità.

Un altro motivo per un nuovo libro come questo è rendersi conto che nessuno ha una piena comprensione di questo argomento molto complesso. Allo stesso modo, la nostra consapevolezza del fenomeno si sta evolvendo, così come il fenomeno stesso. Ad esempio, alle persone negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso capitava di vedere velivoli a forma di disco, poi negli anni ’60 a forma di sigaro. Negli anni ’90 la gente vedeva triangoli e oggetti a forma di V. Ora stiamo vedendo piramidi volanti e oggetti a forma di tic-tac. Quindi, la domanda è: queste forme si stanno evolvendo a nostro beneficio o perché l’intelligenza dietro di esse sta aggiornando le proprie apparecchiature? Non lo sappiamo, a questo punto. Quello che possiamo dire è che questa non è una situazione statica.

Inoltre, ciò che viene modificato è la nostra terminologia, che implica una messa a punto della consapevolezza cosciente. Quelli che una volta erano chiamati UFO (oggetti volanti non identificati) ora vengono chiamati formalmente UAP (fenomeni aerei inspiegabili), quindi siamo sostanzialmente passati da oggetto a fenomeno. Il che ha portato anche i migliori ricercatori a rimescolare le proprie idee, per rivalutare il loro atteggiamento rispetto a tale situazione. Con tutto ciò, ho ritenuto che l’unico modo per dare una giusta panoramica dell’intersezione attuale del fenomeno con la nostra vita quotidiana, fosse quello di comporre un libro che esamini una varietà di fatti e interpretazioni a partire dai “dadi e bulloni” (cioè l’aspetto materiale del fenomeno) per spostarsi poi più in profondità, negli effetti sottili della mente di coloro che interagiscono con queste cose. Presentando l’intera gamma del fenomeno i lettori possono giungere alla loro conclusione, che ritengo valida quanto qualsiasi cosa proveniente dai livelli ufficiali di governo.

Stiamo vivendo un momento storico particolare per il fenomeno UFO: le dichiarazioni riguardanti gli UFO come fenomeno “reale” si susseguono ora a ritmo serrato. Quasi nessuno ora pensa di chiamarli “allucinazioni” o “fenomeni naturali” male interpretati. Tuttavia, non ci sono ancora dichiarazioni ufficiali sulla loro presunta “natura extraterrestre”. Come interpreta tutto questo, e pensa che gli UFO saranno mai ufficialmente dichiarati di “origine extraterrestre”?

Come disse il filosofo Arthur Schopenhauer: “La verità passa attraverso tre fasi. Prima viene negata. Quindi viene ridicolizzata. Alla fine è accettata come ovvia”. Stiamo uscendo dalla fase del ridicolo e stiamo andando verso l’accettazione globale. Ma sembra che “i poteri forti” ritengano ancora che non siamo pronti per conoscere tutta la verità. Così ci stanno dando delle briciole, solo per stuzzicare il nostro appetito. Personalmente penso che tutto dovrebbe essere mostrato e reso disponibile. Tutti i corpi e i recuperi che sono rinchiusi da qualche parte dovrebbero essere mostrati in modo che il mondo possa vedere cosa e qual è la verità. Ma come la maggior parte delle verità dopo anni di bugie e smentite, ne esce un pasto a piccoli bocconi. Ma sì, finalmente, ora abbiamo il Pentagono che dice: “Gli UFO sono reali”. Ma non c’è stata alcuna menzione (almeno pubblicamente) della parola che inizia per “a”: “alieni” – che equivale a  domandarsi chi sta volando o sta costruendo questi oggetti.

Questo è il motivo per cui penso che “prendere contatto” debba diventare un movimento sociale, come tutti i grandi movimenti di emancipazione del 20° secolo. Ma questa volta ciò di cui abbiamo bisogno è andare oltre le classificazioni sociali, verso un cambiamento radicale nella nostra coscienza. La liberazione di questa verità impegna una causalità più profonda nella natura stessa di chi e cosa sono gli esseri umani. Questa espansione della consapevolezza sembra essere una delle ragioni principali per cui chi ha il controllo esita a dire: “La realtà non è ciò che pensavamo. La vita non è un’anomalia. L’universo sembra essere pieno di vita e di intelligenza superiore, e dobbiamo essere consapevoli di una maggiore cosmologia”.

Questa non è niente di meno che una rivoluzione copernicana, e guarda in che guai persone come Galileo si trovarono quando sfidarono la visione ufficiale della realtà. Beh, non credo che ci siamo evoluti molto da quei tempi, ma almeno abbiamo Internet dove è più difficile sopprimere nuove rivelazioni. Tuttavia, ci vorrà uno sforzo da parte di tutti per abbandonare il vecchio pensiero su noi stessi, sul nostro posto nell’universo e scoprire uno spettro più ampio di possibilità. Gli UFO e le successive rivelazioni ET cambieranno tutto ciò che sappiamo sulla nostra storia, biologia, religione e, naturalmente, la nostra comprensione della fisica.

Di che tipo sono state sono state le sue esperienze con il fenomeno UFO? Cioè, sono state solo di natura psicologica, come conseguenza della meditazione e della modificazione dello stato di coscienza, o di altra natura? Ci può spiegare?

I miei momenti di contatto più essenziali sono avvenuti in stati di sogno. Intendo dire mentre dormivo e sognavo, ma non erano il tipo di sogni che sarebbero successivamente svaniti al mattino. Qualcosa di distinto in loro è rimasto nella mia mente per decenni. In realtà, queste esperienze erano più simili a stati di consapevolezza ludici. Questo non significa che non abbia avuto i miei avvistamenti alla luce del giorno. Ne ho avuti alcuni, ma il vero contatto (se possiamo dire reale) mi è accaduto quando alcuni esseri si sono avvicinati a me in altri livelli di consapevolezza. Penso che quelli siano i regni in cui essi abitano. Da queste esperienze, sento che per interagire con questi altri esseri alle loro condizioni dobbiamo diventare più lucidi negli stati alterati di coscienza.

Nel mio libro c’è una storia raccontata dalla ricercatrice Linda Moulton Howe su un whistleblower (rivelatore) militare che la avvicinò segretamente per raccontarle che gli fu ordinato dal suo ufficiale superiore di avere un incontro faccia a faccia con un “alieno grigio” catturato dal governo. Quando questo militare guardò negli occhi la creatura ebbe una travolgente sensazione viscerale, come se sette filmati, tutti in una volta, con colori, suoni e sensazioni tattili, venissero “scaricati” di botto nella sua mente. Tanto che lo stesso militare aggiunse di essere svenuto per il travolgente impatto sensoriale. Gli stimoli erano troppi da gestire. Questo potrebbe essere ciò che ognuno di noi potrebbe affrontare con un contatto completo. Ma penso che queste creature intendano renderci le cose più facili riguardo la loro realtà, non presentandosi di colpo, ma andando e venendo a scatti. Quindi, quando ci adattiamo alla loro presenza e alle loro frequenze vibrazionali, saremo più aperti all’impatto sensoriale multidimensionale. Forse è per questo che ci stanno preparando anche attraverso gli ambienti multiformi dei social media digitali.

Tempo fa scrissi un articolo sulle conseguenze psicologiche e sociali dell’annuncio ufficiale di una ipotetica “presenza extraterrestre sul nostro pianeta”. Considerando che non tutta l’umanità ha le stesse caratteristiche sociali e culturali per accogliere una notizia di questo genere, cosa accadrebbe secondo lei se ciò avvenisse davvero?

Per coloro che hanno un senso della storia e di uno scopo, l’annuncio ufficiale che non siamo soli nell’universo sarà un punto di svolta nella civiltà umana. Ma poi di nuovo, quando diciamo civiltà, la maggior parte delle persone in Europa occidentale e in America non considera il resto del mondo così civilizzato come lo sono loro. In verità, le culture indigene del Nord e del Sud America e quelle dell’Africa o degli aborigeni australiani conoscono e accolgono visitatori da altri mondi da molto tempo. Siamo solo noi che siamo stati investiti da una visione cartesiana, newtoniana e meccanicistica della vita che sembra avere il momento più difficile nel riconoscere una maggiore ecologia della vita cosmica. Ma questo atteggiamento che siamo i depositari della conoscenza deve cambiare. Dobbiamo affrontare i fallimenti del nostro paradigma scientistico basato secondo cui  la vita è un’anomalia in un universo senza vita. Tuttavia, se possiamo integrare l’approccio intuitivo del cervello destro al mondo, combinandolo con la razionalità e la logica del cervello sinistro, potremmo scoprire che l’universo è davvero pieno di vita, spirito, coscienza ascendente, e che può essere formulato da una scienza più vasta per comprenderlo. Penso che la fisica quantistica sia un inizio in quella direzione.

In questo senso devo citare, come faccio nel mio libro, il grande poeta tedesco Rilke dalle sue Lettere a un giovane poeta, laddove si discute dell’irrazionalità della paura che può provenire da esseri sconosciuti. Rilke scrive: “Noi dobbiamo accogliere la nostra esistenza con tutta l’ampiezza che si può raggiungere; tutto, anche l’inaudito, deve essere possibile in essa. Questo, in fondo, è l’unico coraggio che ci viene richiesto: essere coraggiosi verso lo stranissimo, lo stupefacentissimo e l’inspiegabilissimo in cui possiamo incappare. Che le persone siano state codarde rispetto a questo, ha provocato danni innumerevoli alla vita; le esperienze che si denominano ‘apparizioni’, l’intero cosiddetto ‘mondo spirituale’, la morte e tutte queste cose a noi così vicine sono state così tanto respinte dalla vita per mano del rifiuto quotidiano che i sensi con cui possiamo afferrarle sono devitalizzati”. In altre parole, incontrando “l’altro” possiamo abbracciare più qualità della nostra maggiore umanità che è rimasta sopita a causa del dominio della civiltà occidentale.

È prevista un’edizione italiana di “Making Contact”?

Spero che esca in italiano e in molte altre lingue, perché questo fenomeno è un evento planetario. La venuta, o meglio il riconoscimento che abbiamo visitatori da altri mondi, può creare un risveglio mondiale in tutti i campi della vita umana. Quindi sento che ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento non è solo il riconoscimento delle meraviglie nel cielo, ma come possiamo unirci come un unico pianeta per salvare il nostro ambiente e costruire una nuova civiltà su scala globale, rispettando il senso di sovranità e tradizione del pianeta Terra,

In altre parole, abbiamo bisogno di unirci come una sola umanità, che forse è davvero tutto ciò che riguarda il contatto. Perché la separazione sembra essere alla base della crisi che minaccia tutti su questo prezioso pianeta blu. Penso che gli ET siano qui per svegliarci a questa consapevolezza della nostra natura comune. Che siamo italiani, americani o cinesi, facciamo parte di un’unica umanità. In questo senso, cito nell’epilogo del libro ciò che ho chiesto al biologo Bruce Lipton riguardo alla prossima fase della nostra evoluzione. Nella mia intervista per New Realities, visibile su YouTube, Lipton mi ha risposto: “Il nostro prossimo livello di evoluzione è riconoscere che siamo tutti cellule di una comunità più ampia riunita per condividere la consapevolezza, al fine di creare un organismo vivente chiamato umanità. Non siamo esseri umani finché non creiamo l’umanità. Questo avviene quando riconosciamo che siamo tutti cellule dello stesso organismo vivente e lavoriamo in modo coerente, allora l’umanità è completa. Quando l’umanità è completa, la Terra come organismo completa la sua evoluzione. Diventa una Gaia vivente, che respira, che pulsa.  Quando ci riuniremo in un’unità, con una voce che ci permetterà di parlare come Uno, che ci permetterà di parlare con gli altri”. Quindi entrare in contatto è un lavoro interiore. Si tratta di prendere contatto con noi stessi, l’un con l’altro e con la Terra che a quel punto risulterà in contatto con “gli altri” cosmici.

Vedi anche:

UFO: la cultura che ci cambiò la vita

Tecnofirme di vita aliena: ora si sa dove e come cercare vita intelligente nel cosmo


AviLoeb_NEUROBIOBLOGDopo l’annuncio nei giorni scorsi da parte dell’Università di Nottingham  che solo nella nostra galassia, la Via Lattea, potrebbero esserci fino a 36 civiltà extraterrestri “attive e intelligenti” ecco un’altra notizia entusiasmante per tutti i convinti sostenitori che non siamo soli nell’universo. Dopo oltre trent’anni la Nasa torna a finanziare la ricerca di vita intelligente nel cosmo. Certo, non con cifre stratosferiche, data la nota crisi economica dell’ente spaziale americano: si parla di una sovvenzione di circa 287.000 dollari per la durata di due anni, con la possibilità di essere estesa a un terzo anno. La ricerca sarà condotta dagli scienziati del Center for Astrophysics di Harvard e Smithsonian e dell’Università di Rochester.

La ricerca di vita extraterrestre torna dunque ad essere un oggetto al centro dell’interesse scientifico internazionale. E non parliamo di forme di vita elementare come si è detto per tanti anni.  Questa volta si fa sul serio: la ricerca è rivolta a civiltà aliene che abbiano raggiunto un grado di sviluppo scientifico e tecnologico tali da lasciare delle “tecnofirme” (technosignatures in inglese). Siccome la ricerca scientifica e le applicazioni tecnologiche evolute richiedono impiego di energia, l’ipotesi di lavoro degli scienziati è che tale attività possa dare manifestazione di sé attraverso forme comuni anche sul nostro pianeta, ad esempio l’inquinamento e l’uso di pannelli fotovoltaici. Extraterrestri che usano pannelli solari? Ebbene sì è la risposta degli scienziati: «Le tecnofirme si riferiscono a firme di tecnologie aliene avanzate simili o forse più sofisticate di quelle che possediamo», ha dichiarato Avi Loeb, professore di Scienze all’Università di  Harvard e presidente del  dipartimento di astronomia. «Tali firme potrebbero includere l’inquinamento industriale delle atmosfere, luci di città, celle fotovoltaiche (pannelli solari), megastrutture o sciami di satelliti».

Ma cosa c’entrano i pannelli solari con le civiltà extraterrestri? «La stella più vicina alla Terra, Proxima Centauri, ospita un pianeta abitabile, Proxima b. A quanto ne sappiamo il pianeta non ha una alternanza di notte e giorno, ma bensì  lati permanenti diurni e notturni», ha spiegato Loeb. «Se una civiltà vuole illuminare o riscaldare il lato notturno, posizionerebbe le celle fotovoltaiche sul lato diurno e trasferirebbe l’energia elettrica acquisita sul lato notturno». Uno dei compiti della ricerca  è dunque quello di evidenziare una “banda di lunghezze d’onda” corrispondente a un possibile rifesso della luce solare su una struttura artificiale, in questo caso i pannelli solari.

Riguardo la ricerca infruttuosa fino ad oggi di vita intelligente nel AdamFrank_NEUROBIOBLOGcosmo, Adam Frank, professore di Fisica e astronomia all’Università di Rochester e principale destinatario del finanziamento, ci ha tenuto a sottolineare che finora non si è cercato nel modo giusto e soprattutto nel posto giusto : «Il programma Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) ha sempre affrontato la sfida di capire dove cercare. A quali stelle punti il ​​tuo telescopio e dove cerchi segnali? Ora sappiamo dove cercare. Abbiamo migliaia di esopianeti tra cui pianeti nella zona abitabile in cui si può formare la vita. Il gioco è cambiato».

CfA Scientists Collaborate on New Study to Search the Universe for Signs of Technological Civilizations
Release No.: 2020-12 For Release: Friday, June 19, 2020 – 8:00am

 

 

Gli alieni sono sulla Terra: cosa fare? Lo spiegano psichiatri, antropologi e pedagogisti


SonoArrivatiGliAlieni_PierangeloGarzia_MINDAcqua su Marte. Esopianeti che potrebbero ospitare la vita. Gli alieni si avvicinano. Per alcuni sono già arrivati. Per la fantascienza ci sono da sempre. Che siano i Superni, custodi e motivatori dell’evoluzione umana ma “lontani dallo spazio che non è per l’uomo” del romanzo di fantascienza di Arthur C. Clark Le guide del tramonto o i piloti di UFO già giunti fino a noi, secondo gli appassionati di ufologia. Comunque sia, la scienza attende. Fa ipotesi. Ma cosa accadrebbe nel momento in cui avessimo un contatto con una intelligenza extraterrestre?

E se gli alieni arrivassero davvero? 

E se intelligenze aliene fossero in grado di arrivare fin quaggiù, sulla Terra? È un argomento che ha appassionato e appassiona molti. Sia in campo scientifico che artistico. Sono innumerevoli i racconti e i romazi di fantascienza che prevedeono il contatto con le più diverse forme e strutture di intelligenza alinea. Se ne sta occupando, ad esempio, il saggista grande esperto di fatascienza, astronautica e futurologia Fabio Feminò sulle pagine della rivista “Urania” con una approfondita analisi, in più puntate, sugli intrecci tra fantascienza e ricerca aliena dal titolo “C’è vita oltre a noi?”. E c’è una cosa curiosa che mi è capitata occupandomi di questo argomento.

«Tutti ricordano cosa stavano facendo quel 22 maggio 2059 quando la storia della Terra cambiò definitivamente. In tutto il pianeta, contemporaneamente, gli alieni semplicemente comparvero. Fino a un secondo prima non c’erano, poi erano lì, dapertutto. Oggi siamo familiarizzati con l’idea di smaterializzazione e rimaterializzazione, e usiamo senza problemi il teletrasporto anche su distanze trans-galattiche, ma allora 160 anni fa, era inconcepibile che qualcosa o qualcuno potesse comparire così, dal nulla».

Questo brano che potrebbe apparire scritto da una mano avvezza alla fantascienza, in realtà è opera di uno stimato docente di scienze pedagogiche presso il dipartimento di medicina dell’Università Milano-Bicocca. Non che gli scrittori di fantascienza non siano “stimati”. Ma perché il caso di questo stimato professore, che di fantascienza senza dubbio è appassionato, è uno di quelli che incroci quando devi scrivere qualcosa di “strano”.

Volevo scrivere di come potremmo reagire sul piano psicologico, sociologico e antropologico, a un reale, ufficiale contatto con gli extraterrestri. Loro, gli alieni, sono giunti sulla Terra. È ufficiale, sono qui. Non è più un “sarà vero, non sarà vero-ci credo, non ci credo”, un UFO apparso velocemente nel cielo e altrettando rapidamente svanito nel nulla. Niente di tutto ciò. Gli alieni, abitanti di altri pianeti nel cosmo sono arrivati a toccare il suolo terrestre. Non si sa come ci siano riusciti, non si sa perché, non si sa cosa vogliano. Ma ora, da qui in poi,  cosa accade?

Lo stimato professore universitario di scienze pedagogiche Raffaele Mantegazza è uno di quelli che contattai per realizzare l’inchiesta in seguito apparsa sulla rivista mensile “Mind. Mente & cervello” di maggio 2018 con il titolo “Sono arrivati gli alieni!”. Mantegazza era uno di quelli che individuai con quella sorta di fiuto che viene in soccorso in chi deve scrivere articoli compositi, testo proprio e interviste ad esperti da individuare.

Chi è l’esperto nel trattare con una intelligenza aliena? 

Già, ma chi poteva essere esperto nel trattare la psico-socio-antropo-pedagogia dell’incontro con gli extraterresti? Tutti e nessuno. E infatti, nella rosa dei contattati (non alieni, docenti e ricercatori terrestri) almeno tre mi diedero la tara. Mantegazza invece esordì al telefono con una contagiosa risata. Era entusiata (in una mail mi scrisse: «devo dire che l’intervista mi ha fatto sognare come da ragazzino!»). Mantegazza era ed è un appassionato di fantascienza in tutte le sue forme. Cinema, romanzi, racconti. Tanto che, dopo l’intervista e l’uscita del mio servizio su “Mind”, Raffaele Mantegazza mi annunciò di avere scritto un volumetto che gli avevo ispirato e in cui mi citava. Il volumetto in questione è uscito da Castelvecchi qualche mese fa con il titolo Educare con gli alieni. Manuale di pedagogia per l’anno 2219. Lascio al lettore di questo volumetto, tra pedagogia e fantascienza, il piacere, il divertimento e la sorpresa di scoprire cosa il professor Mantegazza ha saputo scrivere, partendo dal pretesto dello sbarco alieno sulla Educare con gli alieni_RaffaeleMantegazza_LibroCastelvecchiTerra, sul tema dell’incontro con il “totalmente Altro”. Ed ecco i brani delle interviste sia a Raffaele Mantegazza che agli altri intervistati non pubblicati nella mia inchiesta apparsa sulla rivista “Mind”.  

Raffaele Mantegazza, docente di Scienze umane presso il Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca

Se stasera in tv e online, e domattina sui giornali, dessero l’annuncio reale, documentato, che un UFO è atterrato e si stanno prendendo contatti con gli occupanti extraterrestri, quale sarebbe, secondo lei, la reazione a livello pubblico?

Penso che molto dipenda dal modo in cui la stampa fornirebbe la notizia. Se fosse sottolineato l’aspetto di pericolo, di “invasione” e simili sicuramente ci sarebbero reazioni di preoccupazione se non di panico, ma se l’atterraggio avvenisse senza violenza e la notizia fosse data evidenziando gli aspetti positivi penso prevarrebbe la curiosità e la volontà di capire e di comunicare. La paura nei confronti di ciò che non conosciamo è sempre mediata e smussata dalla curiosità, e forse è per questo che la nostra specie non si è estinta: cercare il buono nella novità senza essere imprudenti è la chiave della nostra evoluzione.

Spesso si dice che una civiltà extraterrestre, più avanti rispetto a noi di migliaia di anni, che prendesse contatto diretto con noi, finirebbe con l’interferire in modo negativo con la nostra naturale evoluzione. Un po’ come accaduto con le popolazioni indigene terrestri venute a contatto con popolazioni più tecnologicamente avanzate. Sarebbe così secondo lei?

Mi sembra una posizione estremamente pessimista. La scelta dell’occidente di sterminare e di sfruttare le popolazioni indigene non era scontata così come non lo sarebbe il conflitto violento con una civiltà extraterrestre. Nella nostra naturale evoluzione è compreso l’essere esposti, come specie e come pianeta, a ogni possibile incontro con l’esterno; siamo alla periferia di una galassia all’interno di un cosmo sconfinato, la possibilità di essere visitati da intelligenze extraterrestri dovrebbe appartenerci, come possibilità, come sogno o come speranza. Grandi filosofi come Kant l’avevano ipotizzata e anzi auspicata. L’immagine dell’alieno cattivo e conquistatore è un’immagine culturale, figlia della Guerra fredda e della paura dell’altro: non è assolutamente necessario che le cose vadano così.

Come pensa potrebbe cambiare la vita di noi terrestri dal “contatto” in poi? 

Sarebbe un nuovo inizio, quello di cui forse l’umanità ha bisogno. Come dice Guy Consolmagno,  direttore della Specola Vaticana, le prime a doversi ripensare sarebbero le religioni rivelate: questo straordinario religioso già oggi afferma che Dio si è incarnato in un essere umano perché doveva parlare agli abitanti del nostro pianeta ma niente fa escludere che su altri pianeti l’incarnazione sia avvenuta nel corpo di un essere alieno, dalla forma del tutto differente dalla nostra. La forma con la quale  gli alieni si presenterebbero potrebbe poi essere del tutto sconvolgente: esseri di pura energia, esseri di luce, chissà quale forma può avere assunto: la vita la stessa, la nostra idea di vita organica potrebbe essere rivista e radicalmente ripensata. Ma la sola vittima di questo incontro sarebbe, finalmente, la vera dannazione dell’umanità, ovvero l’antropocentrismo. L’idea arrogante e presuntuosa che questa scimmia poco pelosa costituisca il centro dell’evoluzione e dell’universo. Fosse anche solo per far tramontare questa idiozia, speriamo che gli alieni arrivino presto.

Paolo Perticari era docente di pedagogia generale, filosofia della formazione, teoria e pratica dei processi all’Università di Bergamo. Purtroppo è prematuramente scomparso lo scorso novembre. Dedichiamo questa breve intervista, in cui riporto anche quanto mi disse su ciò di cui si occupava, al suo ricordo, alla sua cortesia e alla sua grande disponibilità.  

Prima di rispondere alle sue domande sull’atterraggio UFO sulla Terra mi lasci dire di che cosa mi sto occupando in questi anni. Due cose essenzialmente: di scuola, sono fautore di una scuola più aperta all’inatteso, all’imprevisto, agli errori…Più recentemente mi sto occupando di abusi infantili e di violenza in famiglia e/o nella rete parentale dove vengono coinvolti bambini e bambine anche in età molto precoce,fin da piccolissimi. In particolar modo di questa “pedagogia nera”, parola ancora troppo poco conosciuta dal grande pubblico, ma preziosa sia per indicare una storia di violenza psicologica o fisica che procede da trecento anni nell’Europa civile e nel mondo contro bambine e bambini in nome della loro educazione, sia per indicare qualunque abuso di potere degli adulti su bambine e bambini che può provocare trauma e anche danno neurologico. Su questo c’è ancora un grave e colpevole ritardo delle istituzioni sopratutto a livello di informazione e prevenzione sociale e sanitaria.

Ciò detto veniamo allo sbarco degli UFO sulla terra. Io ero e sono molto scettico rispetto a ciò, ma se così davvero fosse si aprirebbe una nuova fase storica del tutto imprevedibile nei suoi presupposti e nei suoi esiti con reazioni pubbliche e private di cui non sappiamo ne’ possiamo dire nulla al momento.

Se questa civiltà fosse così avanti rispetto a noi da interferire in modo negativo con la nostra storia un po’ come è accaduto nel l’incontro tra popolazioni indigene e civiltà occidentale sul pianeta Terra, allora sarebbe ancora peggio, e la sopravvivenza umana a un bivio.

Da pedagogista ritengo che i problemi mentali emersi nella storia moderna sono già sufficientemente gravi da non dover imputare agli UFO alcunché.

Se si dovesse dare la notizia immediatamente, senza preparazioni, né manipolazioni? Certo che sì. Ma vede, anche questo in realtà è poco probabile. Noi terrestri abbiamo costruito un mondo in cui il vero è un momento del falso e stiamo educando in questo modo anche i nostri piccoli, per cui la strumentalizzazione e la falsità fanno parte dell’aria che respiriamo. Per questo motivo auguro agli UFO di riparare al più presto l’avaria che li ha fatti atterrare e ripartire al più presto verso territori meno falsi del nostro.

Francesco Spagna, docente di antropologia culturale all’Università di Padova

Il film Contact di Zemeckis (1997) è un esempio di come il genere cosiddetto di fantascienza, letterario o cinematografico, si rivela come un ambito straordinariamente fecondo di elaborazione morale, educativa e anche teologica. Così come Incontri ravvicinati del terzo tipo, il film di Spielberg del 1977, anche Contact predispone l’incontro con un alieno benevolo: ma che cos’è l’alieno benevolo se non il divino? Nella fantascienza, nel genere più futuribile dell’immaginario modernista, si cela dunque una traccia di resistenza alla secolarizzazione?

L’aspetto educativo sta nell’emersione degli impliciti. Il rapporto fiducia/sfiducia del nostro calcolo razionale provvede affinché la viaggiatrice interstellare di Contact – la scienziata Ellie Harroway, impersonata da Jodie Foster – collocata nella navicella costruita seguendo istruzioni aliene ricevute in codice, sia messa in sicurezza dotandola di una poltroncina alla quale restare legata (trasgredendo così le istruzioni originarie impartite dagli alieni). Una poltroncina che, durante il viaggio spazio-temporale, si rivelerà inutile e pericolosa, e rischierà di ucciderla. Da questo impaccio tecnologico la protagonista si libererà, per ritrovare la quiete dell’incontro com’era stata predisposta dalle guide aliene.

Tutto il film è dunque imperniato sul tema della fede: sulla questione, ad esempio, se il viaggiatore o la viaggiatrice incaricata della missione di incontrare gli alieni debba rappresentare l’umanità con le sue fedi religiose (la scelta viene inizialmente fatta secondo questo criterio, ma poi, dopo un primo esperimento fallimentare, è la scienziata protagonista a entrare nella navicella). Tuttavia, nella nostra fede secolarizzata, la sfiducia è un implicito, un implicito che rischia di distruggere l’incontro (terminologicamente, è il contrario della fede, dell’affidarsi al divino/alieno).

La morale di Zemeckis è dunque in linea con quanto saggi e filosofi continuano a suggerirci, da Krishnamurti a Byung-Chul Han: il bisogno di sicurezza rischia di ritorcersi contro noi stessi. Il controllo razionale rischia di chiuderci sempre entro un medesimo perimetro, impedendo il viaggio conoscitivo.

A più riprese, nel film, si pone la questione della prova dell’esistenza di Dio. Jodie Foster, nelle ultime battute del finale, sembra echeggiare il Quo maius cogitari nequit di Sant’Anselmo d’Aosta, il filosofo medievale della prova ontologica: la macchina spazio-temporale del cinema di Zemeckis non si inceppa e attraversa i secoli.

Valerio Rosso, psichiatra e psicoterapeuta, molto attivo in rete attraverso il suo blog “Valerio Rosso”, su YouTube  e attraverso il podcast “Lo Psiconauta”.

Se stasera in tv e online, e domattina sui giornali, dessero l’annuncio reale, documentato, che un Ufo è atterrato e si stanno prendendo contatti con gli occupanti extraterrestri, quale sarebbe, secondo lei, la reazione a livello pubblico?

In realtà l’umanità non é nuova a shock culturali di questo tipo. La forma e le dimensioni dell’universo e del nostro pianeta hanno subito, nel corso della storia, revisioni anche notevoli grazie, ad esempio, a Copernico e agli altri astronomi che sono venuti dopo di lui, che ci hanno progressivamente tolto dal “centro dell’universo” per farci finire in una piccola periferia di una galassia persa tra moltissime altre.

Poi c’è stato Darwin che ci ha fatto capire che non siamo una razza privilegiata creata ad un certo punto da un’entità superiore ma che, in realtà, siamo un prodotto non ancora definitivo di un evoluzione e che poco prima di noi ci sono altre specie animali come le scimmie. Infine, all’inizio del ‘900, è arrivato Sigmund Freud che ci ha detto, in parole povere, che noi non siamo “padroni in casa nostra” ovvero che il nostro tanto caro libero arbitrio è sottomesso a forti pulsioni inconsce che pilotano la nostra vita e le nostre scelte. Tutti questi che vi segnalo sono eventi culturali di grandissima forza e che hanno messo a dura prova il narcisismo dell’Umanità. L’ultimo duro colpo potrebbe in effetti darlo la prova che non siamo l’unica razza che ha sviluppato coscienza ed intelligenza in tutto l’universo. Io credo che a essere messi più a dura prova potrebbero essere le persone che hanno fondato la propria cultura e la propria etica proprio sul primato dell’uomo o chi vive muovendosi su posizioni un pochino paranoicali legate a generiche angosce d’invasione. Non servono gli alieni per far innalzare in alcuni imponenti barriere di pensiero, come stiamo osservando in questi ultimi anni.

Spesso si dice che una civiltà extraterrestre, più avanti rispetto a noi di migliaia di anni, che prendesse contatto diretto con noi, finirebbe con l’interferire in modo negativo con la nostra naturale evoluzione. Un po’ come accaduto con le popolazioni indigene terrestri venute a contatto con popolazioni più tecnologicamente avanzate. Sarebbe così secondo lei?

Io credo occorra partire da un dato di fatto: una civiltà che ha sviluppato le tecnologie per raggiungere altri mondi, deve per forza aver superato con successo la sua adolescenza tecnologica. Chi riesce a non autodistruggersi con le proprie mani e a dominare le istanze onnipotenti che sono profondamente connesse con la scienza, molto probabilmente ha parallelamente sviluppato delle dimensioni etiche tali da concepire il valore assoluto della vita e l’importanza del mantenimento e del rispetto delle diversità. L’incontro con una razza aliena potrebbe farci confrontare di colpo con la domanda: siamo noi una civiltà adulta e risolta?

Da psichiatra, ritiene che si dovrebbe dare immediatamente una simile notizia o invece preparare in qualche modo il pubblico? Se sì, in che modo?

Stiamo parlando di un evento che non potrà mai essere avvicinato con modalità graduali come avviene per altri processi evolutivi, l’incontro con una civiltà aliena avrà sempre le caratteristiche di un Quantum Leap, di un incredibile salto in avanti, da qualsiasi prospettiva lo si voglia osservare. Sarà sempre un evento epocale e, in una certa misura, culturalmente traumatico. D’altra parte mi viene da pensare che la mente di coloro che non saranno pronti, saprà come difendersi. Lo abbiamo già visto per tutti quegli eventi a cui accennavamo all’inizio: ci sono ancora oggi movimenti negazionisti che rifiutano le teorie darwiniane, lo sbarco sulla luna, il fatto che la terra non sia sferica  ed altri cambi di prospettive. Per non parlare, a titolo di ulteriore esempio, dell’avversione che per parte del ‘900 c’é stata nei confronti delle teorie dell’inconscio. Tutte queste persone non hanno mai digerito Copernico, Freud, Darwin, figuriamoci se non accadrà qualche cosa di simile per l’incontro con una civiltà aliena…

Come pensa potrebbe cambiare la vita di noi terrestri dal “contatto ufficiale e diretto” in poi?

Forse dovremo definitivamente arrenderci al fatto che la razza umana non è né superiore e né speciale. Un ulteriore ridimensionamento delle nostre istanze narcisistiche e del nostro atteggiamento antropocentrico non potrà che farci bene. Finalmente potremmo entrare in contatto con un concetto più universale di rispetto e di accoglienza per ogni altra forma di vita, e quindi di visione del Mondo, che appartenga o meno al piccolo orizzonte nel quale ci troviamo a vivere.

Pierangelo Garzia, “Sono arrivati gli alieni!”, Mind. Mente & cervello, maggio 2018 

 

Le macchine domineranno il mondo e gli alieni sono elettronici


The Royal Society launches online resourceSembra già lui un alieno. E magari lo è, ma si guarda bene dal rivelarlo. In ogni caso, rende ragione di coloro secondo cui i grigi sarebbero alieni che girano per le nostre lande. A disturbare e rapire gente che dorme. Ma niente più che macchine biologiche, entità artificiali. Entità biologiche in grado di valicare gli spazi siderali, in virtù del fatto di non avere limiti vitali di tempo. Cioè, non è che Martin Rees, professore emerito di cosmologia e astrofisica all’Università di Cambridge, non nuovo a dichiarazioni fantascientifiche sul nostro futuro, sostenga che esistono i grigi. Però in una recente intervista rilasciata a The Conversation, afferma che se ci imbatteremo in una vita aliena, non sarà per nulla come noi, ma bensì una sorta di “entità elettronica”.

«Se guardiamo alla nostra storia sulla Terra», spiega Martin Rees, «ha impiegato circa quattro miliardi di anni per passare dai primi protozoi alla nostra attuale civiltà tecnologica. Ma se guardiamo al futuro, allora è molto probabile che nel giro di pochi secoli, le macchine avranno preso il sopravvento. E avranno quindi miliardi di anni davanti a loro. In altre parole, il periodo di tempo occupato dall’intelligenza organica è solo un sottile frammento tra la vita precoce e la lunga era delle macchine. Poiché le civiltà si  saranno sviluppate a ritmi diversi, è estremamente improbabile che troveremo vita intelligente al nostro stesso stadio di sviluppo. Più probabilmente, troveremo una  vita molto più semplice, o un’intelligenza già completamente elettronica».

Qualcosa di simile Rees lo dice anche nella recente edizione italiana del volume collettaneo “Alieni. C’è qualcuno là fuori” a cura del fisico teorico Jim Al-Khalili dell’Università del Surrey, Gran Bretagna. Il volume, attraverso i vari capitoli redatti da altrettanti specialisti, divulgatori scientifici o studiosi del settore, prende in considerazione un po’ tutti gli aspetti di una eventuale vita extraterrestre e del nostro incontro con la medesima. Si parla persino di cinque casi UFO, tra i più noti, che “hanno dato la stura a milioni di avvistamenti”. E, dal punto di vista psicologico, di incontri ravvicinati e rapiti dagli alieni. Sul fatto che gli alieni riescano a giungere fino a noi, l’astrobiologo Lewis Dartnell concorda con Martin Rees, su una alternativa molto più plausibile.

«Forse è irrealistico», dice Lewis Dartnell, «aspettarsi che ET affronti di persona tutti gli inconvenienti del viaggiare attraverso le distese dello spazio interstellare verso mondi lontanissimi, sarebbe molto più comodo farlo per procura.  Ad attraversare la galassia non saranno vulnerabili organismi biologici all’interno di una complessa tecnologia atta a mantenerli in vita, bensì sarà la tecnologia stessa, più robusta e durevole. Con una conoscenza più completa del funzionamento del cervello umano  (il diagramma delle connessioni neurali e le altre interazioni che danno origine all’intelligenza e alla coscienza), è del tutto ragionevole che possiamo non solo simularlo alla perfezione con un hardware costruendo un’intelligenza artificiale, ma potremmo anche caricare la coscienza di un essere umano in un computer. Contenuti in una capsula miniaturizzata di circuiti elettronici e sistemi di autoriparazione, saremmo non solo praticamente immortali, ma anche incredibilmente compatti e leggeri, e dunque molto più adatti ai viaggi interstellari».

Tutto affascinante. Tutto plausibile. Soprattutto per chi si è sempre alimentato di AlieniLibrofantascienza e le ipotesi narrate dagli scrittori ora se le ritrova propalate da rispettabili scienziati. Sarà. Per me, comunque, Martin Rees è un alieno (guardatelo) che ha trovato il modo di dissimularsi parlando di altri alieni che arriveranno chissà quando, chissà da dove, chissà in che modo. Mentre lui è già qui. Tranquillo. A studiarci. E, soprattutto, a divertirsi della nostra ignoranza e dabbenaggine di terricoli arretrati. Che ragionano ancora di corpi, macchine e bulloni.

Matt Warren, Aliens, very strange universes and Brexit – Martin Rees Q&A, The Conversation, April 3, 2017

Jim Al-Khalili (a cura di), Alieni. C’è qualcuno là fuori?, Bollati Boringhieri, 2017

Winston Churchill e gli alieni


Churchill.jpgWinston Churchill oltre che un politico, storico e giornalista britannico, entrato egli stesso nella storia per il suo ruolo di primo ministro durante la seconda guerra mondiale, è stato un grande appassionato di scienza e tecnologia. Lo potremmo addirittura definire un futurologo. In un suo articolo andato disperso e dimenticato, in quanto appartenuto a una collezione privata e di recente ritrovato al National Churchill Museum di Fulton (Missouri, Usa), affronta diffusamente il tema dellla possibilità di vita aliena. Si tratta di un manoscritto di undici pagine redatto nel 1939 e intitolato nella prima stesura “Siamo soli nello spazio?”, in seguito rivisto alla fine del 1950 e modificato in “Siamo soli nell’Universo?”.

Nel maggio del 2016 questo testo di Churchill è stato ritrovato. Lo statista e scrittore fa riflessioni tipiche della astrobiologia. Discute sul fatto che la vita ha bisogno di acqua, ma anche del fatto che un fenomeno come la vita non si presenta isoltao, ma bensì tende a diffondersi e riprodursi.

«Churchill ha iniziato il suo saggio non molto tempo dopo il 1938 – scrive l’astrofisico e divulgatore scientifico Mario Livio su Nature dando notizia del ritrovamento e del contenuto del manoscritto – quando negli Stati Uniti ci fu la diffusione del dramma radiofonico “La guerra dei mondi” (un adattamento dalla storia di HG Wells). Trasmissione che aveva generato “la febbre di Marte” nei media. Del resto, la speculazione sulla esistenza della vita sul pianeta rosso era in corso dalla fine del XIX secolo». Cioè dal 1877, quando l’astronomo Giovanni Schiaparelli descrisse segni lineari su Marte (canali, erroneamente tradotto in inglese come canals) che si pensava fossero opera di qualche civiltà. Pur elencando le difficoltà di viaggi interstellari, date le distanze incolmabili per la tecnologia terrestre dei suoi tempi, Churchill si diceva convinto che in un futuro non molto lontano sarebbe stato possibile raggiungere la Luna, o addirittura Venere e Marte. «Con centinaia di migliaia di nebulose  – conclude Churchil – , ognuna delle quali contiene migliaia di milioni di soli, le probabilità sono enormi. Ci deve essere un immenso numero di nebulose con pianeti le cui condizioni non renderebbero la vita impossibile».

Mario Livio, Winston Churchill’s essay on alien life found, Nature, 15 February 2017 – A newly unearthed article by the great politician reveals that he reasoned like a scientist about the likelihood of extraterrestrials, writes Mario Livio.

Archeologia della mente: intervista a Jaak Panksepp


PankseppSe si potesse conoscere tutto del cervello. Se si potesse capire come è fatto. E come funziona. Come si è costruito nell’arco di milioni di anni. Prodotto e vertice di miliardi di anni di evoluzione di vita sulla terra. Se si potesse comprenderne gli aspetti più nascosti e celati. Quella struttura di base che ci accomuna tutti. E che ci mette in relazione col mondo animale. Quando siamo allietati da un gatto o un cane è perché le emozioni di base del loro cervello sono come le nostre. Quando ci commuoviamo per la sofferenza di un nostro simile, è perché il suo cervello prova ciò che proviamo noi. Non c’è razza. Non c’è ideologia o religione. Né lingua. O appartenenza politica. Attaccamento alla nazione. C’è solo quello che abbiamo nelle profondità del nostro cervello. Quel fuoco interno che tutti ci muove. Ci spinge ad agire. Quello che ci fa arrabbiare. Amare. Soffrire. Gioire. Deprimere. Aggredire. Ricercare. Uccidere. Salvare. Soccorrere. Aiutare. Curare. Memorizzare. Apprendere. Inventare. Tutto ciò ha un solo nome: emozioni. Affetti. Legami. E’ lì dentro, nei recessi del cervello in cui si generano le emozioni che Jaak Panksepp sta cercando da decenni di studi e ricerche il motore primordiale di tutto ciò che pensiamo e facciamo. E se l’uomo è davvero il vertice dell’evoluzione su questo pianeta, in qualsiasi specie vivente di questo modo, in ogni animale terrestre, e in particolare nei mammiferi, deve essersi conservata traccia del nostro cervello arcaico. Nei comportamenti animali ci deve essere qualcosa di noi. E viceversa. Nei recessi del nostro cervello devono esserci celati lo scrigno e i tesori per comprendere, educare e curare la mente umana.

In ciò che abbiamo chiamato inconscio, nella sua base neurobiologica, Panksepp cerca di scoprire, comprendere ed interpretare i sette sistemi affettivi di base. Le fondamenta e l’impalcatura su cui ognuno di noi costruisce la propria personalità. Attraverso i quali facciamo scelte per tutto l’arco della nostra vita. Grazie ai quali scegliamo e agiamo. Una volta decodificati, una volta analizzati sul piano neurobiologico e neurochimico, i sistemi affettivi di base dovranno guidarci non soltanto in quanto medici, psichiatri e psicoterapeuti, ma pure genitori, insegnanti, politici, filosofi, artisti. Non c’è aspetto umano che non venga toccato dalle ricerche e dalle scoperte di Jaak Panksepp. Il suo volume Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane (Raffaello Cortina Editore) è il portolano in grado di guidarci tra i mari emotivi della vita. Una mappa. Come tutte le mappe, perfezionabile. Ma chi usa questa mappa, chi la legge, non può che emozionarsi a sua volta, come deve avere fatto chi l’ha redatta. Non può che entusiasmarsi per come Panksepp sia riuscito a realizzare una sintesi efficace di quanto scoperto fino ad oggi sul cervello. A produrre una teoria della genesi e del funzionamento della mente attorno al perno delle neuroscienze affettive.

Perché le emozioni sono così importanti nella nostra vita?

Il comportamento emotivo fornisce elementi utili per affrontare le varie emergenze della vita. E le stesse sensazioni sono un codice per le traiettorie di sopravvivenza. Tutte le sensazioni emotive positive ci informano che siamo sulla fiorente strada della sopravvivenza. E tutti i sentimenti affettivi negativi ci dicono che potremmo essere in percorsi di vita tali da non supportare la sopravvivenza. Questo, naturalmente, vale anche per i nostri piaceri e dolori sensoriali, nonché per effetti omeostatici come la fame e la sete.

Lei è considerato il padre delle neuroscienze affettive. Come ha avuto l’idea di creare questa nuova branca delle neuroscienze?

Ero interessato ad avere una migliore comprensione dei disturbi psichiatrici, e ho deciso che ciò avrebbe richiesto una conoscenza fondamentale di come i sentimenti emotivi sono creati dalle attività del cervello. Quando ho iniziato le mie ricerche nel 1965, c’era pochissima discussione su come avremmo mai potuto capire i disordini delle sensazioni emotive. Così ho deciso che l’unico modo per comprenderle era quello di avere modelli animali in cui i dettagli neurobiologici potessero essere studiati meglio.

Quali critiche hanno ricevuto le sue teorie?

Nel complesso, vi è stato un sacco di sostegno e apprezzamento per l’apertura di questo settore. Tuttavia, gli psicologi comportamentisti che hanno governato la conversazione mezzo secolo fa, non avevano interesse per tali questioni, e pensavano che questi temi fossero al di là della capacità della scienza di trovare una risposta. Dal loro punto di vista, avevano ragione. Nel senso che gli studi focalizzati unicamente sul comportamento non sarebbero mai stati sufficienti per un’adeguata comprensione. E dal momento che non avevano svolto alcuna ricerca sul cervello, il presupposto era che la comprensione dettagliata non si sarebbe mai potuta ricavare attraverso le sensazioni emotive degli animali. Naturalmente si sbagliavano, ma tale lavoro ha richiesto il contributo delle neuroscienze. Molti comportamentisti da cui si sente ancora affermare che tali risposte non possono essere ottenute dalla ricerca sugli animali, sono tuttora molto felici di criticarmi  per il fatto di esplorare zone in cui, secondo loro, la scienza non avrebbe mai potuto andare.

Quelli che lei chiama cervello “superiore” e “inferiore” potranno mai funzionare al meglio assieme? In che modo?

I vari strati evolutivi del cervello sono stati progettati per lavorare insieme. I processi primari precedenti sono oggetto di critica da parte delle regioni superiori del cervello (e della mente), più interessate da tale attività cognitiva. Così come vi sono molti percorsi neurali per le emozioni profonde (sottocorticali), vi sono aree del cervello che controllano il cervello superiore (ad esempio, l’attività neocorticale). Questo aiuta a stimolare le nostre menti in modo emotivo per aiutare a risolvere i problemi della vita. Ci sono anche molti controlli dall’alto verso il basso, che possono permettere di rispondere ai risvegli emozionali con saggezza. Per esempio: essere arrabbiato con, per quanto tempo e quanto intensamente.

Come possiamo gestire lo stress?

Ci sono due strade principali per la gestione dello stress. Il primo, a livello dei processi primari, bisogna coltivare la propria capacità di provare emozioni più positive. Emozioni soprattutto sociali come l’assistenza e ciò che ho definito in maiuscoletto, tra i sette sistemi affettivi di base, GIOCO (gioia sociale). Questi aspetti sono particolarmente importanti per lo sviluppo infantile ottimale e la sana maturazione mentale (vale a dire, che fornisce resistenza contro lo stress). L’altro modo è quello di comprendere il potere delle proprie emozioni, coltivando forme di vita integrate nei nostri modi mentali di essere. Che siano favorevoli e positivi. Che forniscano molti strumenti cognitivi per contrastare e regolare il tipo di sentimenti negativi che possono rendere la vita miserabile. Naturalmente, tutto ciò che ci fa capire le basi neurobiologiche dei nostri sentimenti, può anche contribuire a sviluppare nuovi e più efficaci farmaci per diversi disturbi psichiatrici.

In Italia stiamo assistendo a un fenomeno tragico: una lunga serie di omicidi, di uomini che uccidono donne, compagne ed ex partner. Le neuroscienze affettive come leggono questo drammatico e doloroso fenomeno?

In generale, i maschi hanno sistemi di quella che nei sette sistemi affettivi di base definisco COLLERA (rabbia) più forti rispetto alle femmine. E dal momento che il testosterone promuove anche gli organismi più forti, le due cose spesso prendono un cattiva strada nel comportamento verso le donne. E’ saggio comprendere i tipi di sistemi emotivi primordiali. Interrogarsi su come vengano generati dal nostro cervello, per cercare di educare il nostro cervello e la nostra mente con una saggezza che ci consenta di porre le nostre passioni in prospettiva. Forse la comprensione della natura biologica delle emozioni di questi uomini che aggrediscono le donne, vi aiuterà in questo tipo di apprendimento. Una formazione che sarebbe utile a tutti: capire come le loro menti inferiori funzionano e come gli aspetti più distruttivi possano essere migliorati con le conoscenze neurobiologiche e la saggezza umana.

Spesso si parla di quando entreremo in contatto con extraterrestri. Ma per entrare in relazione con gli alieni, in base alle sue teorie, dovremmo potere disporre dei medesimi sistemi affettivi di base.

Nessuno conosce la risposta a questa domanda. Ma la probabilità è alta che gli altri mondi abitati nell’universo possano avere problemi di sopravvivenza molto simili per essere preoccupati come noi. Quindi, anche se ci potranno essere molte differenze nei dettagli comportamentali e nel cervello, dovrebbero esserci pure alcuni principi generali comuni. Non c’è scienza su tali questioni in un modo tale che si possa anche soltanto formulare delle ipotesi. Ma basti pensare che tutti i mammiferi che vivono sulla terra, così come molti altri animali, hanno sistemi emotivi primordiali molto simili.

Quali sviluppi si aspetta per il futuro delle neuroscienze affettive?

Una conoscenza più dettagliata e lo sviluppo di farmaci psichiatrici nuovi e più efficaci.

Vedi anche:

Neuropsicoanalisi, EMDR, Mindfulness, e altre cose. Intervista a Jaak Panksepp (seconda parte)

Archeologia della mente: le emozioni che tutti ci accomunano

A che gioco giochiamo noi primati. Intervista a Dario Maestripieri