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Stress e cuore: quando le emozioni possono essere letali


Peter Schwartz con il suo team clinico e di ricerca

Spesso la cronaca riferisce della morte improvvisa di una persona a seguito di un litigio, anche per cause banali, magari per la precedenza a un parcheggio, oppure in altre circostanze di stress acuto. L’esistenza di un’importante relazione tra stress, sistema nervoso autonomo e morte cardiaca improvvisa è nota da molto tempo. In questa ricerca, a cui ha preso parte anche Auxologico, sono state esaminate il gran numero di condizioni, agenti a livello individuale o di popolazione, che sono state causalmente associate alla morte cardiaca improvvisa e sono stati discussi i vari aspetti degli studi che esplorano tali associazioni. Queste condizioni includono fattori di stress esterni (terremoti, guerre) e interni (rabbia, paura, perdita di una persona cara) ed emozioni anche di segno opposto, come una gioia improvvisa (portafoglio ritrovato).

Cosa hanno in comune lo spavento e la gioia? Tutte le emozioni forti ed improvvise hanno lo stesso effetto: i nervi simpatici liberano noradrenalina nel cuore ed è questa sostanza naturale che può scatenare, in cuori predisposti, le aritmie fatali. La maggior parte delle situazioni conferma l’antica visione secondo cui gli aumenti dell’attività simpatica sono proaritmici, possono cioè innescare aritmie, mentre gli aumenti dell’attività vagale sono protettivi, questo perché il nervo vago libera nel cuore l’acetilcolina, sostanza che antagonizza l’effetto della noradrenalina.

Tuttavia, gli autori hanno anche  discusso  una condizione in cui il colpevole sembra essere l’eccesso di attività vagale. Si tratta delle “morti voodoo”, quelle in cui lo stregone del villaggio scacciava un uomo dalla tribù e questo, perduta ogni speranza di vita, si sdraiava accanto ad un albero e – nel giro di un giorno o due – moriva. Nella nostra società la situazione equivalente   è quella dei coniugi molto anziani il cui compagno/a muore: chi sopravvive spesso perde letteralmente la voglia di vivere e non è raro che queste persone muoiano nel giro di poche settimane dalla perdita del partner di una vita intera.

Di tutti questi aspetti tratta in modo dettagliato e approfondito l’articolo scientifico “Stress, the autonomic nervous system, and sudden death” appena pubblicato dalla rivista Autonomic Neuroscience: Basic and Clinical. Ne parliamo con il prof. Peter Schwartz, direttore del Centro per lo studio e la cura delle aritmie cardiache di origine genetica e del Laboratorio di genetica cardiovascolare dell’Auxologico, considerato uno dei massimi esperti mondiali di artimie di origine genetica.

Prof. Schwartz, cosa evidenza questa ricerca?

Questa ricerca fornisce la chiave per interpretare morti improvvise di persone all’apparenza sane, in condizioni di stress psicologico. Negli anni 80’ e 90’ abbiamo proprio dimostrato, a livello sperimentale, come l’improvviso aumento di attività simpatica possa indurre aritmie fatali e come, nelle stesse condizioni, l’aumento dell’attività vagale possa prevenirle. Abbiamo già trasferito queste conoscenze dal laboratorio ai nostri pazienti e oggi la modulazione del sistema nervoso autonomo per fini terapeutici è già entrata nella pratica clinica. Questa è stata una grande soddisfazione per il nostro gruppo, sempre attivo nella ricerca e nella clinica.  

Alla luce di tutto ciò, cosa andrebbe consigliato al paziente cardiopatico?

Chiaramente le brusche emozioni possono essere pericolose, e questo vale soprattutto per i pazienti con malattia ischemica o pregresso infarto. Le gioie improvvise non sono evitabili ma molto possiamo fare per evitare inutile emozioni negative. Anger kills (“La rabbia uccide”) è il titolo di un famoso libro dello psicologo americano Redford Williams che insegna a come controllare la rabbia…e salvarsi la vita. Molte delle rabbie che ognuno di sperimenta sono evitabili. Vale davvero il vecchio detto “ma lascia perdere…”.

Sistema nervoso, stress e cancro: nuove evidenze


Cancro_E_SistemaNervoso_NeurobioblogDa una parte c’era l’oncologia ortodossa, sempre più impegnata a cercare le mutazioni genetiche delle cellule tumorali, ma sempre meno a comprendere come il cancro si sviluppi e si diffonda nel corpo. Dall’altra, ricercatori ritenuti strambi e stravaganti, esponenti di una “scienza leggera” che parlano dei rapporti tra psiche e cancro, di psicosomatica, psiconcologia,  psiconeuroendocrinoimmunologia, nome chilometrico (in sigla Pnei), stress, specie quello cronico, e cancro. Insomma, di gente che si era resa conto, magari empiricamente, che qualche connessione tra sistema nervoso e cancro ci dovesse pure essere.

Ebbene, come riferisce oggi la rivista scientifica Science in un articolo intitolato “Come i nervi del corpo diventano complici nella diffusione del cancro”, i due fronti dell’oncologia, quello genetico-molecolare e quello orientato sul versante del sistema nervoso, possono finalmente trovare un punto d’incontro nelle nuove evidenze che stanno emergendo. Si è ad esempio scoperto che i nervi periferici che si ramificano attraverso il nostro corpo e regolano i nostri organi sono partner cruciali per il cancro mentre cresce e si diffonde.

I nervi periferici sfornano molecole che sembrano aiutare la crescita delle cellule tumorali e alterano il tessuto circostante in modi che possono renderlo più ospitale per il cancro. Tali recenti studi hanno rivelato molte linee di comunicazione tra tumori, nervi e altre cellule vicine. Questa elaborata compartecipazione sembra favorire la crescita e la diffusione del cancro, in parte attraverso il rilascio di ormoni legati allo stress.

Ricercatori come Anil Sood, biologo del cancro presso il MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas a Houston, si erano già da tempo impegnati nello studio del sistema nervoso nella speranza di individuare una connessione sfuggente tra cancro e stress. Anil Sood era stato incuriosito dalle scoperte che i tumori erano cresciuti  più velocemente negli animali da laboratorio che erano stressati, ad esempio essendo fisicamente tenuti in ambiente chiuso o socialmente isolati. Ma quali potevano essere i meccanismi sottostanti alla relazione tra sistema nervoso e diffusione del cancro nel corpo?

Le ricerche si concentrarono sul sistema nervoso simpatico, che orchestra la nostra risposta di “lotta o fuga” a una minaccia percepita. E, due ormoni in particolare, l’epinefrina e la noradrenalina, svolgono un ruolo chiave in tale risposta. Come? Aumentando la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna. I nervi simpatici, che si intrecciano attraverso i nostri organi e li segnalano, rilasciano i due ormoni nei tessuti vicini. Partendo dalle ghiandole surrenali collocate sui nostri reni che secernono tali ormoni rilasciati poi nel flusso sanguigno e distribuiti ampiamente in tutto il corpo.

Rimane ancora l’incognita di quanto lo stress abbia veramente un ruolo, vista la difficoltà di quantificarlo, non tanto nella genesi del cancro, mai dimostrata, quanto nel favorirne la diffusione, attraverso meccanismi neuro-ormonali, nei vari distretti e apparti del corpo. E bloccare le possibilità di metastasi, ad esempio dopo un intervento chirurgico, è un obbiettivo determinante delle cure oncologiche. Studiare il ruolo del sistema nervoso come via di diffusione delle cellule tumorali può essere una strada promettente? La risposta è di certo affermativa.

Gustavo Ayala, patologo della McGovern Medical School presso l’Università del Texas Health Science Center di Houston, tra i primi ricercatori a studiare i rapporti tra sistema nervoso e cancro, nel 2018 ha riferito alla rivista medica The Prostate  che in quattro pazienti con tumori alla prostata, a cui era stata iniettata la tossina botulinica in un lato del tumore, è stato provocata la scomparsa di più cellule tumorali rispetto al lato non trattato. Tali studi sui rapporti sistema nervoso-cancro stanno quindi aprendo nuovi approcci, nuove terapie nella cura dei tumori.

Nuove ricerche sono in corso da parte del team di Ayala, ad esempio sui nervi parasimpatici e su altre classi di nervi attraverso le proteine che li esprimono. Novità si profilano all’orizzonte dei rapporti cancro-sistema nervoso, e sono di sicuro interesse. Aggiungiamo che proprio il coblogger Enzo Soresi, da grande scienziato capace di intuito e sintesi clinico-scientifica, da decenni si è accostato alle neuroscienze, proprio rendendosi conto dei rapporti tra cancro e sistema nervoso.

Kelly Servick, “How the body’s nerves become accomplices in the spread of cancer”, Science, Sep. 12, 2019

Vedi anche: Cancro e psiche: esiste una connessione?

 

 

Cervello, sistema immunitario e ipertensione: le interazioni


Cervello_IpertensionePer generazioni di medici dire “ipertensione essenziale” equivaleva a dire che non se ne conosceva la causa. Ce l’avevi e te le tenevi. Ce l’avevi per ragioni familiari, genetiche, e te la curavi grazie ai farmaci che per fortuna sono stati messi a punto. Correggendo nel contempo gli stili di vita. Anche se un margine di rischio per infarto, ictus, insufficienza renale e disabilità, permane. Inoltre, l’ignoranza resta: cosa la innalza, cosa la causa, quali sono i meccanismi fisiopatologici che la determinano? Ancora, lo stress ha di certo un ruolo riconosciuto, quindi pure il cervello, ma in che modo?

«L’ipertensione è un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari», spiega Gianfranco Parati, professore ordinario di medicina cardiovascolare all’Università di milano-Bicocca e direttore scientifico dell’Auxologico, «e si associa ad un aumento della mortalità e dell’incidenza di eventi drammatici quali infarto del miocardico, ictus, insufficienza cardiaca e malattia renale cronica. Inoltre, attraverso le sue conseguenze negative, è una tra le principali cause di disabilità nell’arco della vita. Nonostante l’importanza clinica ed epidemiologica dell’ipertensione, i processi fisiopatologici che contribuiscono a determinare un aumento dei valori pressori, quasi sempre  implicando la complessa interazione di diversi meccanismi, sono ancora poco conosciuti. Da qui il termine di ipertensione “essenziale”, che sottolinea l’incompletezza che ancora oggi caratterizza le informazioni disponibili. Recentemente, sono state raccolte alcune evidenze sperimentali che suggeriscono il contributo di una complessa interazione tra fattori nervosi e meccanismi infiammatori e immunologici. In particolare vi sono dati sperimentali a favore di una interazione tra midollo osseo, microglia cerebrale e mediatori immunitari alla base dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa. L’attenzione si è rivolta più specificamente  verso l’ interazione tra elementi del sistema immunitario, come le citochine e componenti del sistema nervoso come i neuropeptidi».

Un lavoro a cui hanno preso parte cardiologi e immunologi dell’Auxologico, tra cui cui Gianfranco Parati, propone una ipotesi nella patogenesi dell’ipertensione essenziale che chiama in causa una interazione tra midollo osseo, microglia cerebrale e mediatori immunitari – nello specifico: citochine e peptidi, come il neuropeptide Y, la sostanza P, l’angiotensina II e l’angiotensina (1-7) – che potrebbe essere alla base dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa.

Il ruolo dello stress

In tale interpretazione patogenetica, lo stress psicologico cronico aumenta il rischio di ipertensione attraverso un meccanismo che coinvolge il midollo osseo e il sistema nervoso simpatico. L’attivazione della microglia cerebrale è un segno distintivo della neuroinfiammazione nell’ipertensione e il midollo osseo, si dice in questo articolo, contribuisce all’ipertensione aumentando lo stravaso delle cellule infiammatorie periferiche nel cervello.

Sempre più attenzione viene dunque posta ai meccanismi che determinano la neuroinfiammazione e il “crosstalk” immune, come si dice nel titolo di questo lavoro, alla base di malattie con manifestazioni a carico di vari organi e apparati, dal cardiovascolare allo stesso cervello.

«Lo stress psicologico cronico sembra avere un importante ruolo nell’aumentare il rischio di ipertensione», conclude Gianfranco Parati, «probabilmente proprio attraverso l’attivazione di questa interazione neuro-immunitaria. Nel nostro recente e  innovativo lavoro pubblicato sulla rivista Nature Reviews  in Cardiology, viene fornita una dettagliata analisi delle evidenze disponibili a questo proposito. Sia l’evidenza sperimentale sia le osservazioni cliniche sembrano in effetti dimostrare  il coinvolgimento di una interazione neuro-immunitaria alla base delle alterazioni  della regolazione del sistema cardiovascolare sottostanti l’ipertensione arteriosa. Un’immediata applicazione clinica di queste nuove interpretazioni fisiopatologiche potrà essere pertanto il suggerimento di analizzare, nello stesso paziente,  il contributo di più fattori neuro-immunitari e genetici, insieme ad  un’attenta lettura degli aspetti emozionali e psicologici. Le nuove evidenze scientifiche sembrano quindi supportare anche in questo campo la necessità di un approccio  multidisciplinare, allo scopo di ottenere  informazioni più dettagliate e più precise sul rischio cardiovascolare di un dato  paziente, nella prospettiva di una medicina che eroghi terapie quanto più possibile personalizzate».

Nature Reviews Cardiology 2019 Mar 20 
Neuroimmune crosstalk in the pathophysiology of hypertension 
Calvillo L, Gironacci MM, Crotti L, Meroni PL, Parati G

Il respiro che ti calma


RespiroOKChi pratica la meditazione, lo yoga e il pranayama, o la mindfulness, lo sa: la calma mentale e la respirazione lenta sono connesse. Un nuovo studio lo conferma, individuando pure le aree cerebrali implicate. La respirazione è del resto la sensazione più immediata di essere in vita, o di perderla. Cervello, cuore e sistema nervoso hanno stretti rapporti con la respirazione. Così la nostra vita emotiva. Chi respira male, sta male a vari livelli. Sia a livello organico che emotivo. Così dalla notte dei tempi, si sono sviluppate alcune tecniche di modulazione consapevole del respiro. Attraverso la meditazione, con le sue influenze sulla mente, il cervello e il sistema nervoso autonomo (“autonomo”, potremmo aggiungere, per chi non sviluppa la consapevolezza del proprio corpo e delle sue funzioni). Alcune forme di meditazione insegnano a controllare il respiro, altre semplicemente ad osservarlo, finché diviene lento da sé. Tutto ciò porta ad essere consapevoli di una cosa sola: la respirazione. Liberando la mente, e di conseguenza il cervello e tutto il resto, per il tempo della meditazione, dal carico dei pensieri, delle preoccupazioni e dello stress quotidiani.

Commentando tali ricerche, Diana Kwon scrive su Scientific American: “Capire come il cervello controlla la respirazione potrebbe anche aiutare a sviluppare nuovi bersagli terapeutici per il trattamento di condizioni come l’ansia, i disturbi del sonno e i disturbi emotivi legati al panico. «I cardiologi hanno modi per controllare farmacologicamente il ritmo cardiaco”, dice il professore di fisiologia Kevin Yackle della University of California “Ma un simile tipo di approccio farmacologico per la respirazione non esiste, e penso che potrebbe essere importante in molteplici campi della medicina»”.

Diana Kwon, Meditation’s Calming Effects Pinpointed in Brain. A new mouse study reveals a set of neurons that may point to physiological roots for the calming effects of breathing control, Scientific American, March 30, 2017

Thierry Janssen, Respirare. Per una medicina integrata tra corpo e anima, Feltrinelli