Come parli a te stesso? In prima o terza persona? A seconda di come lo fai, potresti votarti al successo o all’insuccesso. Ad avere maggiore o minore autocontrollo. Maggiore o minore ansia. Di conseguenza, avere un maggiore o minore carico cognitivo. Maggiore o minore stress. E non è cosa da poco. Pensiamo al dovere parlare in pubblico. Sostenere un esame. Recitare. Affrontare un colloquio di lavoro. Tutti parliamo a noi stessi. Sosteniamo un dialogo interiore pressoché continuo. Potremmo dire pure mentre dormiamo attraverso il sogno. Ma nessuno si era chiesto qualche fosse il modo migliore per farlo. O meglio, lo avevano fatto, già de secoli, i meditanti. Specialmente quelli di scuola buddhista. Che hanno attribuito un valore preminente alla consapevolezza. La presenza a se stessi. Qui e ora. Senza ruminazioni interiori sul passato o sul futuro. Che del resto sono solo illusioni. Dato che esiste solo il momento presente. Quindi uno spreco di tempo ed energie.
Ma nessuno si era posto il problema se fosse meglio svolgere tale incessante dialogo interiore attraverso la prima o la terza persona. Cioè rivolgendosi a se stessi attraverso l’Io o il pronome. In pratica, se ti chiami Piero: “Stai calmo!” anziché “Piero, stai calmo!”. La seconda modalità, usando il proprio nome, è quasi sicuramente da preferire. Almeno, stando ai nuovi studi sul dialogo interiore. Supportati da robuste prove sperimentali e di visualizzazione dell’attività cerebrale. Anzi, prendete nota. E’ molto probabile, quasi certo, che tutto ciò darà luogo a nuove forme, alla moda, di psicoterapia. L’autoparlarsi, il chiacchiericcio interiore secondo le scuole di pensiero orientale, non è necessariamente negativo. Il self talk, può anche aiutarci positivamente nella vita. Purché lo si faccia in terza persona. Può aiutarci nell’autocontrollo e nella gestione delle emozioni.
Kross, a livello di ricerca e pubblicazioni scientifiche, si occupa della questione dell’autodialogo (sintetizzerei in questo modo il concetto di “dialogo interno”, dall’originale “self talk”) da diversi anni. Passando attraverso la meditazione mindfulness, il concetto di “ruminazione mentale” di cui le filosofie orientali si sono da sempre occupate (con relativi insegnamenti della scuola buddhista, su come interrompere tale ruminazione, come fermare questa “scimmia” che nella nostra mente tende a saltare da un argomento all’altro, da una preoccupazione all’altra) la regolazione delle emozioni, dell’ansia e dello stress, in definitiva dell’autocontrollo. Ma perché usare la terza persona, anziché il pronome personale, darebbe tutti questi vantaggi? Perché, dicono le ricerche, usando il nostro nome nel dialogo interiore produciamo un autodistanziamento da noi stessi, migliorando le nostre percezioni e i comportamenti interpersonali, diminuendo in pratica l’attività della corteccia prefrontale mediale di solito impegnata quando riceviamo delle critiche. Sarebbe l’applicazione pratica, scientifica, della famosa frase di chi, criticandoci, ferendoci o offendendoci, ci esorta: “non prenderla sul personale”. Ma che differenze ci sono, a livello nervoso e cerebrale, di dialogare con noi stessi attraverso il nostro nome o viceversa in modo diretto e impersonale? Proprio questo: impegniamo percorsi nervosi e aree del cervello differenti. Vediamo quali.
L’ipotesi di lavoro è che l’autodialogo in terza persona porti la gente a pensare a se stessa in modo simile a come gli altri pensano a noi, fornendo così la distanza necessaria per facilitare l’autocontrollo. In verità, anche se in questo caso siamo in presenza di sperimentazioni controllate con campioni di soggetti, test di verifica e visualizzazioni dell’attività cerebrale, qualcosa di simile era già stato ipotizzato dalle scuole orientali di meditazione quando suggeriscono di comportarci e vivere rispetto a noi stessi come se la coscienza fosse un “osservatore esterno”. Ora Ethan Kross, e altri ricercatori, stanno dimostrando quanto dialogare con se stessi in un modo piuttosto che in un altro, ponendosi in una posizione di auto-distanziamento emotivo attraverso l’uso interiore della terza persona, possa davvero aiutarci a vivere meglio, essere più efficaci e patire meno ansia e stress.
La voce interiore guida la nostra riflessione momento per momento. I risultati sperimentali mostrano che il modo che utilizziamo per fare riferimento a noi stessi quando siamo impegnati nell’autodialogo influenza l’autocontrollo. «In particolare», spiegano le ricerche in questo campo, «utilizzando il proprio nome per riferirsi a sé durante l’introspezione, piuttosto che il pronome di prima persona “io”, aumenta la capacità della gente di controllare i propri pensieri, sentimenti e comportamenti sotto stress».
Del resto, la regolazione delle emozioni, come altre forme di autocontrollo, è considerata come un processo forzato, dipendente fortemente dal controllo cognitivo, per riuscire a modulare le nostre risposte emotive. L’autodialogo in terza persona può invece costituire una forma di controllo emozionale relativamente senza sforzo, non richiedente ulteriori processi di controllo cognitivo. In pratica, questa modalità non impegna la nostra mente più quanto ci impegna il pensare alle emozioni del nostro prossimo. Consentendoci un maggiore autocontrollo emotivo. Anche se non necessariamente, ci dicono le ricerche, un migliore controllo cognitivo. Come per tutte le tecniche mentali, più ci si allena a farlo, maggiori e migliori saranno i risultati. Ecco perché ipotizziamo già da ora il sorgere di scuole, corsi e psicoterapie basati sulle teorie e scoperte di Ethan Kross.
«La gente», dicono i ricercatori, «usa quasi esclusivamente nomi per riferirsi ad altre persone. Così c’è un accoppiamento stretto tra l’uso dei nomi propri e il pensiero sugli altri – un accoppiamento così stretto che ci aspettavamo che usare il proprio nome riferendosi a se stessi, avrebbe in pratica portato automaticamente la gente a pensare a sé in modo simile a come pensano a qualcun altro. Se questa previsione è corretta, e se davvero è più facile che le persone possano ragionare tranquillamente sulle emozioni altrui rispetto a quelle proprie, allora l’autodialogo in terza persona dovrebbe essere legato a riduzioni dell’attività emotiva, ma non a migliorare il controllo cognitivo».
I risultati sperimentali, pubblicati su prestigiose riviste scientifiche come “Nature” o il “Journal of Personality and Social Psychology”, danno ragione a questa previsione dei ricercatori che aggiungono: «Data la sua semplicità ed efficacia l’autodialogo in terza persona potrebbe rivelarsi utile per promuovere la regolazione delle emozioni nella vita quotidiana». I soggetti coinvolti in queste ricerche sull’autodialogo, facendolo in terza persona, hanno mostrato meno disturbi psicologici, meno processi maladattivi post-evento, restando positivamente influenzati rispetto a tutti quegli eventi che possono provocare ansia sociale. In pratica, queste tecniche di autodialogo pertanto le persone a valutare i futuri eventi stressogeni come gestibili e meno minacciosi.
Come spiega Pamela Weintraub su “Psychology Today”, in uno dei primi articoli divulgativi sulle ricerche di Ethan Kross, «nel modo in cui utilizziamo la prima persona o la terza, facciamo un passaggio nella corteccia cerebrale, nel centro del pensiero e nell’amigdala, nella sede della paura, avvicinandoci o allontanandoci dal nostro senso di sé e di tutta la sua intensità emotiva. La conquista della distanza psicologica consente l’autocontrollo, permettendoci di pensare chiaramente, di eseguire competenze. L’interruttore della lingua usata minimizza anche la ruminazione, col seguito di ansia e depressione, dopo aver completato un’attività. Liberi dai pensieri negativi, otteniamo prospettive, ci concentriamo profondamente, pianifichiamo il futuro».
Se a questo punto siete curiosi di leggere un manuale che vi insegni queste tecniche, sappiate che alla recente Buchmesse di Francoforte è stato annunciata la prossima uscita internazionale, in lingua, del saggio di Ethan Kross Chatter: The Conversations We Have With Ourselves, Why They Matter, and How to Control Them. E per l’Italia se n’è aggiudicata i diritti DeA Planeta per il marchio De Agostini (nel frattempo il libro è uscito, nel 2021, con il titolo Quella voce nella tua testa. Perché è importante capirla e come fartela amica).
Ethan Kross è professore di psicologia sociale e direttore del laboratorio sulle emozioni e l’autocontrollo dell’università del Michigan. Del suo libro di prossima uscita ha detto: «Da vent’anni mi sono impegnato a capire perché i nostri tentativi di controllare le conversazioni che abbiamo con noi stessi funzionano o falliscono. Chatter racconta la storia di quanto ho imparato: possediamo un notevole set di strumenti per influenzare queste conversazioni che spesso sono nascoste alla vista – nelle parole che usiamo per pensare a noi stessi, le relazioni digitali in cui ci impegniamo, i diari che teniamo nascosti nei nostri cassetti, le conversazioni che abbiamo con i nostri cari e le culture che ci circondano. In Chatter, collegherò queste scoperte scientifiche con le esperienze quotidiane delle persone per dimostrare quanto siano potenti questi strumenti per aiutare la gente a controllare ciò che probabilmente è la conversazione più importante che hanno ogni giorno: quella con se stessi». Sorride di gusto anche perché i diritti del suo libro sono stati venduti in tutto il mondo per milioni di dollari. Mica chiacchiere.
Moser JS, Dougherty A, Mattson WI, Katz B, Moran TP, Guevarra D, Shablack H, Ayduk O, Jonides J, Berman MG, Kross E., Third-person self-talk facilitates emotion regulation without engaging cognitive control: Converging evidence from ERP and fMRI,
Sci Rep. 2017 Jul 3;7(1):4519. doi: 10.1038/s41598-017-04047-3.
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Molto interessante. Forse sarebbe però opportuno e corretto differenziare il parlare in prima o in secondo persona, e non in seconda o in terza. All’inizio infatti non capivo bene. In terza persona sarebbe, in uno degli esempi indicati: “(Lui) sta calmo”, che evidentemente non ha alcun senso. In prima: “Io devo stare calmo”. In seconda, con o senza il nome proprio: “Stai calmo”. E mi sembra sia questa la modalità migliore (nonché quella seguita da me). Grazie dell’attenzione. Francesco