Non saremo più quelli di prima. Nulla tornerà come prima. Al di là di questa retorica ossessiva che rischia pure di infastidire, è legittimo chiedersi se davvero questa esperienza collettiva che a pieno titolo possiamo considerare “storica”, potrà insegnarci qualcosa. Cosa potrà lasciarci a livello di crescita interiore e sociale.
Se è vero come è vero che le grandi epidemie hanno determinato e cambiato il corso della storia, la pandemia da coronavirus quale traccia storica ci lascerà? E il nostro sguazzare tra vero e falso, tra quasi vero e verosimile, ci insegnerà qualcosa per il futuro? E le dichiarazioni pubbliche di certi espertoni, di certi scienziati che all’inizio si prodigarono con sentenze apodittiche tipo: “questa epidemia ci coinvolgerà meno di zero!”, “le mascherine non devono essere usate, le devono usare solo gli ammalati”, “è una patologia banale, poco più di una influenza stagionale”, “colpisce solo gli anziani”.
Queste cose, specie nell’era della Rete, rimarranno. Anche in passato si sono scritti volumi sulle strampalate dichiarazioni dei cosiddetti “esperti”. Vedremo se faremo tesoro in futuro della vicenda Covid-19, prima di esprimere panzane e soprattutto prima di avere studiato a fondo un problema complesso e intricato, nella sua evoluzione lungo un ragionevole lasso di tempo. Il termine epidemia, e ancora più pandemia, avrebbe quantomeno dovuto indurre alla prudenza quanti si occupano di fenomeni complessi, soprattutto di tipo sanitario: non si tratta di un fenomeno isolato o isolabile in laboratorio (ricordate il tripudio per avere “isolato il virus”?), ma bensì di un fenomeno dinamico, in continua evoluzione, con un sacco di variabili dipendenti e indipendenti.
Intanto abbiamo rivolto qualche domanda a Raffaele Mantegazza, docente di Scienze umane e pedagogiche al Dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, nonché raffnato scrittore e saggista. Il prof. Mantegazza, in questi giorni, ci ha pure fatto dono di un suo racconto fanta-sociologico sul dopo-Covid, rassegnatamente distopico, che, in accordo con lui, al momento preferiamo tenere da parte. Per le ragioni che potete immaginare.
Prof. Mantegazza cosa ci può insegnare questa esperienza “epocale”? Quali vantaggi ne possiamo ricavare anziché farci “annientare”?
Il metro di distanza che teniamo dalle persone quando usciamo per necessità c’è sempre stato; è quello che Edward Hall chiamava la distanza intima, quella specie di bolla trasparente che ognuno di noi ha attorno a sé, e che definisce lo spazio di intangibilità. In questo spazio finora entrava solo chi aveva il nostro permesso (amici, amanti, figli, medici ecc.) o, a parte i casi di necessità (la ressa sul tram) chi ci faceva violenza. Questa nostra intimità è stata debanalizzata dal virus: abbracciarci anche solo dopo avere segnato un goal, stringere la mano a un amico o un collega non sono più gesti scontati, ma hanno assunto una nuova rilevanza. Così come l’ha assunta il nostro rapporto con il tempo: chi sta in casa ha tempo da passare, non necessariamente da riempire, ma da lasciar trascorrere apprezzando anche quello che sembrava il nostro peggiore nemico: la noia.
Il problema è che in questi giorni l’umanità è divisa in due: chi come me è forzato al riposo e alla meditazione e chi come te non solo deve lavorare ma ha un tempo sempre più pieno, stressante e logorante. Queste due umanità saranno chiamate a raccontarsi le loro esperienze dopo questi mesi, e dovranno farlo con grande tolleranza e rispetto reciproco
Si profilano vari scenari nel “dopo-Covid”: quale le sembra più plausibile?
Siamo sicuramente a un punto di svolta. Dipenderà molto da cosa vorremo farne di questa umanità piagata dal virus. Se sceglieremo di ignorare tutto, di ricominciare come se niente fosse accaduto (del resto non è stato così anche dopo Auschwitz, Hiroshima, Sarajevo, l’Aids?) temo sinceramente che le cose andranno molto male. Se capiremo invece che questi cambiamenti nel nostro modo di vivere la quotidianità possono farci riflettere sul fatto che i ritmi e i rapporti umani di “prima” erano insostenibili, allora davvero potremo costruire qualcosa di nuovo. Per istinto e per natura propendo per la seconda ipotesi, ma niente ci sarà regalato. Credo che la scuola avrà un ruolo strategico in questo passaggio, come ho cercato di dire in librettino che spero si riesca a pubblicare, “La scuola dopo il Coronavirus”.
In questo periodo di “confinamento forzato” nelle nostre case, molti raccontano di non riuscire a sfruttare il molto tempo disponibile: cosa consiglierebbe?
Di non pensarla in questo termine e di prenderla un po’ “come viene”; lasciamo che il tempo ci attraversi, non sfruttiamolo ma gustiamolo, poniamoci pochi obiettivi e diamoci qualche rito quotidiano ma lasciando anche spazi vuoti. Come mai persone che fino a due mesi fa dicevano “Non so cosa darei per avere un mese a casa, staccare tutto e riposare senza far niente” adesso sono i primi ad essere stressati dalla permanenza a casa? C’è qualcosa che non torna. Occorre capire che stiamo già cambiando come umanità, e cercare di fare in modo che sia per il meglio.
Come sta vivendo questo periodo?
Sono molto preoccupato per le vittime e i contagiati ma anche per il futuro,ma devo dire che personalmente non mi manca la frenesia dei tempi pre-virus. Io ho sempre amato moltissimo il mio lavoro ma il contatto comunque quotidiano, anche se a distanza, con gli studenti mi sta aiutando, anche perché questi ragazzi apprezzano molto la vicinanza e il fatto di poter parlare delle nostre ansie e delle nostre paure. E poi mi stanno aiutando i miei due figli, 13 e 11 anni, che stanno dimostrando, come tanti loro coetanei, una maturità e una serenità che ci deve esser da esempio; e i miei due gatti e il mio cane che mi guardano incuriositi e sembrano dire “dovete farcela anche per noi”.
Le fake news hanno un ruolo nel farci illudere di potere “gestire il problema” o sono assolutamente da bandire?
Capisco cosa intende dire, ma le fake news hanno un ruolo diverso dalle leggende metropolitane; queste si sono diffuse abitando quel regno tra realtà e fantasia, il “non è vero ma ci credo”, per cui permetterci di pensare che non siamo mai stati sulla Luna o che se ti addormentavi potervi risvegliarti senza un rene poteva essere di stimolo all’attività mitopioietica dell’uom. Adesso il canale di diffusione (la rete e soprattutto i social) cambia tutto: un conto è raccontare de visu una leggenda metropolitana, avendo davanti una persona della quale puoi leggere le reazioni a partire dal linguaggio del corpo e dei viso, altro è inoltrarla a 1000 contatti, soprattutto se questi non leggono nemmeno la fonte né primaria né secondaria. Il mezzo è il messaggio, come diceva Mc Luhan, e questo è ancora più vero nel regime che qualche intellettuale si ostina a chiamare della post-verità.
Filed under: Coronavirus, Covid-19, Covid-19 Syndrome | Tagged: Dopo-Covid cosa ci aspetta?, Raffaele Mantegazza intervista Covid | Leave a comment »
Curare la sindrome da coronavirus. Tutti siamo nella spasmodica attesa che si trovi una cura valida. Un trattamento che salvi la vita alla gente. Nell’attesa che venga sviluppato un vaccino. Tra le molteplici proposte terapeutiche di cui di giorno in giorno, di ora in ora, si stanno inseguendo, in una mondiale corsa contro il tempo, c’è anche quella ricavata dal sangue dei pazienti guariti dall’infezione, il cosiddetto “plasma di convalescenza”. Di cosa si tratta?
L’infezione da Covid può dare anche manifestazioni neurologiche? Per Vincenzo Silani, professore ordinario di neurologia e direttore della scuola di specializzazione in neurologia dell’Università di Milano, direttore dell’Unità Operativa di Neurologia e Stroke Unit dell’Auxologico di Milano, non ci sono dubbi. Ciò che molti medici hanno già constatato sul campo è di fatto un interessamento neurologico del sistema nervoso centrale e periferico da parte dell’infezione da Covid. Tra le manifestazioni rilevate ci sono ad esempio alterazioni del gusto, dell’olfatto e della coscienza. In alcuni casi anche manifestazioni psicologiche e psichiatriche. C’è da chiedersi, secondo i neurologi, se l’infezione da Covid possa, in taluni casi, dare anche conseguenze neurologiche successive alla risoluzione della fase acuta dell’infezione. Emerge sempre di più il fatto che l’infezione da Covid non colpisca unicamente le vie respiratorie, di cui il polmone è il bersaglio primario e di più urgente e vitale risoluzione, ma, potenzialmente, l’organismo nel suo complesso.
Enzo Soresi, primario emerito di pneumologia dell’Ospedale Ca’ Granda – Niguarda di Milano, superati gli 80 anni e tuttora in attività, ne ha davverro viste tante nella sua lunga e intensa vita di medico. Ne ha raccontato a più riprese anche nei suoi libri. Gli abbiamo chiesto di dirci la sua sull’epidemia da coronovirus. Ecco la sua testimonianza.
Un mese fa si è tenuta presso l’hotel Michelangelo di Milano una giornata scientifica dedicata al tema del mitocondrio. Quando con il coblogger Pierangelo Garzia abbiamo scritto e pubblicato il libro “Mitocondrio mon amour”, edito dalla Utet, eravamo convinti dell’importanza che la conoscenza di questo batterio avrebbe avuto nella medicina contemporanea e questo convegno ha confermato le nostre previsioni.
Certi farmaci mettono a rischio coronavirus? La Letter del BMJ, il commento del prof. Gianfranco Parati, l’aggiornamento della Società Italiana di Cardiologia e il comunicato della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa
Sta montando una discussione, soprattutto tra addetti ai lavori, riguardo una “Letter” (breve comunicazione scientifica in risposta a un articolo scientifico) pubblicata da una delle maggiori riviste mediche internazionali: il British Medical Journal (BMJ). Il quesito è se una classe di farmaci tra i più impiegati a livello mondiale, gli ACE-inibitori, possano creare un ambiente biologicamente “fertile” per l’attecchimento del coronavirus.
Nella Letter di fatto si dice: «Il più grande studio cinese con 44.672 casi confermati di Covid-19 mostra un alto tasso di mortalità complessiva (CFR) del 2,3% [2]. Importanti comorbilità sono ipertensione (CFR 6,0%), diabete (CFR 7,3%), malattie cardiovascolari (CFR 10,5%) ed età> 70 (CFR 10,2%). Simili comorbilità sono state osservate per l’epidemia di SARS nel 2003. Non è chiaro quale sia la comunanza di questi fattori di rischio. Ciò è in qualche modo sorprendente rispetto ad esempio all’epidemia di influenza pandemica H1N1 del 2009, in cui i pazienti immunosoppressi erano principalmente colpiti. I pazienti cardiaci sembrano essere a rischio più elevato in Covid-19. Una possibile risposta potrebbe essere la seguente: i pazienti con le comorbilità di ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari potrebbero soddisfare l’indicazione per l’uso di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina o antagonisti del recettore dell’angiotensina II».
Nella chiusa della Letter i due estensori, un infettivologo-epidemiologo e un cardiologo dell’Ospedale universitario di Berna in Svizzera, si domandano e chiedono al mondo medico-scientifico: «È possibile un collegamento tra queste osservazioni? L’espressione del recettore ACE2 nelle cellule bersaglio del virus è aumentata dall’uso di ACE-inibitore/ bloccante del recettore dell’angiotensina ed è quindi il paziente più a rischio per un decorso grave? Abbiamo bisogno di rapidi studi epidemiologici e preclinici per chiarire questa relazione. In tal caso, potremmo essere in grado di ridurre il rischio di decessi fatali Covid-19 in molti pazienti sostituendo temporaneamente questi farmaci».
L’ipotesi è suggestiva e come si è soliti dire in ambito scientifico “elegante”: “spiegherebbe” perché bambini e giovani sono meno o per nulla colpiti dalla patologia da coronavirus, in particolare dalla forma grave e fatale, dato che soprattutto i farmaci antipertensivi sono assunti in maggioranza dalla quinta decade di vita in avanti. Tuttavia va sottolineato a chiare lettere: si tratta, per ora, di una ipotesi di lavoro. Nessuno si sogni di interrompere i farmaci salvavita di testa e iniziative proprie mettendosi così, di certo, a rischio di vita.
Abbiamo chiesto un parere Gianfranco Parati, professore ordinario di medicina cardiovascolare all’Università di Milano-Bicocca e direttore scientifico dell’Auxologico di Milano, uno dei massimi esperti di ipertensione a livello mondiale. Ecco quanto ci ha risposto.
ACE2 è un enzima che cliva (scinde) un aminoacido da AgII rendendola inattiva. Il blocco di ACE2 con ACEI impedisce questo clivaggio determinando accumulo di quantità maggiori di AngII, che ha azione lesiva diretta a livello polmonare. Per cui ACEI, anche se potrebbero proteggere contro ingresso nella cellula di COVID-19, pure mediato da recettori con ACE2, possono però peggiorare danno polmonare da AGII.
Al contrario ARBs bloccando recettori AT1 possono proteggere dai danni polmonari mediati da AGII, quindi aiutando a proteggere i polmoni da questo virus.
Cosa fare quindi?
I dati di letteratura sono controversi e non solidi abbastanza per dare raccomandazioni. Sulla base di quanto è disponibile: è controverso l’uso di ACE inib mentre potrebbe essere utile proseguire ARBs in chi è in terapia. Ma ripeto, solo soft evidence, non abbastanza per raccomandazioni convincenti.
Un inibitore del recettore ATensina (sartano) dovrebbe avere un effetto protettivo sul danno polmonare. Sembra un controsenso ma il rec ACE2 è protettivo anche se è il target del virus…Ma ripeto sono considerazioni fisiopatologiche senza supporto di alcun trial.
Rami Sommerstein, Christoph Gräni. Preventing a covid-19 pandemic: ACE inhibitors as a potential risk factor for fatal Covid-19. BMJ, 03 March 2020
Aggiornamento della Società Italiana di Cardiologia
Nel frattempo, ieri (11 marzo 2020) è stato diffuso il documento della Società Italiana di Cardiologia dal titolo “Guida Clinica Covid-19 per cardiologi”. Riporto interamente il paragrafo intitolato “Inibitori del sistema renina-angiotensina e Coovid 19”:
“Vi è una grande attenzionee preoccupazione da parte dei cardiologi sull’utilizzo degli inibitori del sistema RAS in pazienti affetti da Covid-19. Sui social media alcuni pazienti, non affetti da Covid 19 hanno espresso preoccupazione per l’utilizzo di tali farmaci. Poiché SARS-Co-2 utilizza l’ACE2 come recettore cellulare, è probabile che Covid-19 possa in qualche modo interferire con il sistema RAS. L’enzima di Conversione dell’angiotensina 2, o ACE2, è una monocarbossipeptidasi che converte l’angiotensina II in Angiotensina 1-7. L’angiotensina 1-7 controbilancia gli effetti negativi dell’angiotensiva II, avendo diverse proprietà tra cui quella di produrre vasodilatazione. Esistono in letteratura dati contrastanti che consigliano l’utilizzo di ACE-inibitori e sartani nei pazienti affetti da Covid 19 o che ritengono questi farmaci controindicati in pazienti con Covid-19. Questi studi contrastanti sono basati su ipotesi e non hanno testato l’effetto di ACE-inibitori o sartani in modelli sperimentali di infezione da SARS-CoV-2, nè tantomeno, al momento, esistono studi nell’uomo. Pertanto, la Società Italiana di Cardiologia ritiene che, esclusivamente nei pazienti affetti da Covid 19, il problema relativo alla sostituzione di questi farmaci, nel caso dell’ipertensione arteriosa, rimane controverso. Inoltre, la sospensione di ACE-inibitori o sartani in soggetti affetti da Covid 19 non è documentata in quelle condizioni cliniche (come la disfunzione ventricolare) nelle quali gli inibitori del sistema RAS hanno dimostrato una riduzione della mortalità e morbilità. Questa problematica di utilizzo degli inibitori del sistema RAS non si riferisce alla popolazione generale, e vista la preoccupazione crescente su tale argomento soprattutto per le notizie che compaiono sui social media da parte dei pazienti, ed è necessario sottolineare che l’utilizzo dei sartani e degli ace-inibitori non è controindicato nei soggetti non affetti da Covid 19”.
Guida Clinica Covid-19 per cardiologi
Aggiornamento due: il comunicato della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa
In relazione alle recenti notizie apparse sulla stampa laica relative ad una presunta relazione tra assunzione di terapia farmacologica antiipertensiva (Ace-inibitori, sartani) e rischio di infezione da coronavirus, la Società Italiana dell’ Ipertensione Arteriosa-Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa (SIIA) comunica che allo stato attuale delle conoscenze scientifiche la suddetta relazione rappresenta solamente una ipotesi di lavoro e di ricerca che non deve assolutamente portare il paziente iperteso a sospendere la terapia antiipertensiva. Come tutte le ipotesi tale presunta relazione dovrà essere sottoposta al vaglio della ricerca clinica, che la SIIA sosterrà con vigore e determinazione sia nell’ambito italiano che internazionale attraverso collaborazioni, con l’obiettivo di raccogliere dati scientificamente attendibili nel più breve tempo possibile. La SIIA raccomanda comunque ai pazienti ipertesi di non modificare la terapia antipertensiva che si è dimostrata nel corso del tempo in grado di proteggere i pazienti dal rischio di gravi complicanze cardiovascolari, quali l’infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la morte improvvisa, l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale.
Filed under: Coronavirus | Tagged: Commento cardiologo Gianfranco Parati, comunicato della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa - Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa, Cornavirus commento prof. Gianfranco Parati, Coronavirus chi rischia, Coronavirus e ACE-inibitori, Coronavirus e antipertensivi, Coronavirus e farmaci, Documento Società Italiana di Cardiologia, Guida Clinica Covid-19 per cardiologi | 1 Comment »