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L’unghia di gatto (Uncaria tomentosa) graffia l’Alzheimer


UnghiaDiGattoL’Uncaria tomentosa (unghia di gatto), una pianta della foresta pluviale amazzonica, sarebbe in grado di rallentare il decadimento cognitivo e della memoria nell’anziano e, addirittura, di contrastare la formazione di “placche e grovigli” che sarebbero alla base dell’Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato dai Scientific Reports della rivista “Nature” e informa inoltre che negli Stati Uniti è già disponibile un prodotto il cui nome commerciale è “Percepta”, contenente sia l’estratto vegetale titolato di Uncaria in combinazione con uno specifico estratto di tè oolong.

Com’è noto, la principale teoria patogenetica riguardo invecchiamento cerebrale e  morbo di Alzheimer, seppure considerati oggi ad aziologia multifattoriale, insegna che sarebbero causati dall’accumulo di proteine ​​beta-amiloide contenenti “placche” e proteine ​​tau contenenti “grovigli” che contribuiscono ad accelerare la perdita di memoria e il declino cognitivo. In pratica, tali proteine, finirebbero col “soffocare” il tessuto cerebrale, “intrappolando” i neuroni e l’attività sinaptica e determinando alla fine l’aterazione irreversibile, fino ad oggi, del buon funzionamento del cervello.

Percepta: il prodotto vegetale contro il declino cognitivo 

Riguardo il prodotto già commercializzato negli USA con il nome di “Percepta”, si tratta di un nuovo integratore naturale a base vegetale che prende di mira le placche e i grovigli PerceptaCapsule.pngdel cervello. Al riguardo, gli autori dello studio scrivono: «Il prodotto Percepta contiene l’unghia di gatto in combinazione con uno specifico estratto di tè oolong. Solo questi due principali ingredienti hanno causato una potente attività di inibizione e dissoluzione della “placca e groviglio” in numerosi studi preclinici. I risultati di numerosi studi preclinici con Percepta dimostrano che ha il potenziale per essere il primo nutraceutico sviluppato per target specifici nel ridurre/prevenire “placche e grovigli” cerebrali».

Una ulteriore dimostrazione di quanto il mondo vegetale, a cui evolutivamente siamo legati, abbia ancora da offrirci e svelarci per prevenire le malattie e curarle, anche nelle forme più gravi. E non resta che auguraci che “Percepta”, già presente nei siti americani di vendita online, possa essere importato e commercializzato pure in Italia. 

The Amazon rain forest plant Uncaria tomentosa (cat’s claw) and its specific proanthocyanidin constituents are potent inhibitors and reducers of both brain plaques and tangles. Snow AD, Castillo GM, Nguyen BP, Choi PY, Cummings JA, Cam J, Hu Q3, Lake T, Pan W, Kastin AJ, Kirschner DA, Wood SG, Rockenstein E, Masliah E1, Lorimer S1, Tanzi RE, Larsen L. Scientific Reports 9, Article number: 561 (2019) 

False memorie: una indagine italiana


Memorie_OKOKMi capita, a volte, di chiedermi se un certo ricordo si riferisca a qualcosa di realmente avvenuto oppure no. Non si tratta di qualcosa di nitido, ben definito, inquadrabile nel tempo e nello spazio. Come può essere un luogo, un incontro, un avvenimento. Si tratta piuttosto di una sensazione. Uno stato emotivo. Tanto da chiedermi se quella sensazione si riferisca alla vita reale di tutti i giorni, oppure ad un sogno. E in quelle circostanze, se ci riflettiamo, ci rendiamo conto di quanto il confine tra “reale” e “onirico” sia alla fin fine, per il nostro cervello, qualcosa di labile. Di molto sfumato.

Del resto quando dormiamo e sogniamo, per il nostro cervello quella che viviamo nello stato onirico è la realtà. Così quando siamo svegli: ciò che viviamo e ciò che ci circonda, per il nostro cervello e per la nostra mente è quanto definiamo “realtà”. Cosa che poeti, artisti, filosofi, ma oggi pure scienziati, sottopongono a serrata discussione: cos’è davvero la realtà? E come differisce la memoria dei fatti cosiddetti reali, ciò realmente avvenuti, da quelli mai  accaduti? Quelli che vengono definiti “false memorie” o “falsi ricordi” (false memory).

La questione si fa ancora più spinosa attraverso le realtà alternative che siamo stati in grado di generare dall’avvento dell’arte, della letteratura, dei fumetti, degli spettacoli teatrali, del cinema, della radio e della televisione, e oggi della realtà virtuale. Oggi non pensiamo che un quadro o una scultura, tantomeno uno specchio, rappresentino altrettanti ingressi verso realtà alternative. Ma lo stesso non era per i cervelli di secoli fa. Proviamo a immaginare i nostri antenati che magari si trovarono per la prima volta difronte alla maestosità delle piramidi. E certamente le prime rappresentazioni grafiche sulle pareti della caverne, per gli uomini di milioni di anni fa, rappresentavano realtà alternative, di carattere magico o sacrale.

Oggi parliamo di realtà “virtuali” e “aumentate”. Ciò che sperimenta il nostro cervello, del resto, sia attraverso realtà tecnologicamente create, come il cinema, o attraverso sostanze psicoattive, come gli allucinogeni, è “reale”. I primi spettatori che videro venire loro incontro il treno del filmato dei fratelli Lumière fuggirono dalla sala in preda al panico. Altrettanto potremmo dire delle scenografie e degli spettacoli teatrali, degli artifici messi in campo dai maghi per ingannare i nostri sensi, le nostre percezioni, la nostra memoria, persino la nostra capacità di giudizio.

Ecco perché è interessante e importante studiare le false memorie: possono rivelarci aspetti fondamentali sul funzionamento non solo della memoria, ma pure della nostra mente in senso generale. Così come le false informazioni, ciò che oggi chiamiamo “fake news”, possono alla lunga modificare i nostri ricordi e di conseguenza le nostre scelte e le nostre decisioni.

Gli studi sulle false memorie di Elizabeth Loftus

La psicologa statunitense Elizabeth Loftus, che ha condotto ampie ricerche sul tema ed è considerata una delle massime esperte del settore, dice: «Molte persone credono che la memoria funzioni come un dispositivo di registrazione. Ma decenni di ricerche hanno dimostrato che non è così. La memoria è costruita e ricostruita. È più simile a una pagina di Wikipedia – puoi cambiarla, ma lo possono fare anche altre persone». Vale a dire che puoi essere convinto di avere visto una certa cosa, di avere assistito ad un certo delitto, la cosiddetta “testimonianza oculare”. Ma i tuoi sensi possono averti ingannato. E così possono fare altre persone: indurti falsi ricordi, con varie tecniche, mostrandoti foto e filmati, ponendoti domande pilotate, in modo suggestivo.

Ci sono persone che affermano di essere state rapite dagli alieni. Di essere state portate a bordo di Ufo e sottoposte ad interventi chirurgici. Che prove abbiamo di ciò? Nessuna. Eppure sono stati scritti interi libri, persino da psichiatri e psicologi, sulle “abduction”, e sono stati pure girati film e documentari. L’aspetto paradossale è che il metodo per cercare la “prova” di questi presunti rapimenti alieni, in mancanza di prove oggettive, sia il più delle volte individuato nella cosiddetta “ipnosi regressiva”: fare tornare “indietro” con la memoria il soggetto ipnotizzato per fargli ricostruire e raccontare quanto avvenuto durante il presunto rapimento alieno. Ebbene: è ampiamente dimostrato che le tecniche ipnotiche siano strettamente imparentate con la suggestione, quindi quanto di più distante dalla possibilità di ricostruire attraverso di essa la “realtà oggettiva” di un evento tanto insolito come un rapimento alieno.

Siamo nel territorio della psicologia della testimonianza. Così drammaticamente incisivo in ambito giudiziario. Quanto credere, quanto fare affidamento su un singolo testimone, in mancanza di altre prove e di riscontri oggettivi? Spesso, come si è evidenziato nella ricerca sui falsi ricordi, il testimone non mente, ma comunque dice il falso. Influenzato dall’ambiente, dalle circostanze, dalle emozioni, dallo stress, dalle percezione distorte. In sostanza, mente in buona fede.

«È un problema che emerge spesso nei tribunali», spiega Elizabeth Loftus, «il che ci pone la questione di quale valore attribuire ai testimoni. In un sondaggio su 300 casi di condanna ingiusta, in cui una persona è stata poi scagionata da un crimine, tre quarti di loro erano stati incarcerati a causa di una memoria umana difettosa».

In occasione della Notte europea dei ricercatori, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano propone Open Night: a tu per tu con la ricerca, a cui parteciperanno anche gli esperti dell’Istituto Auxologico Italiano  che affronteranno il tema della memoria e della possibilità di manipolare i ricordi. Ricordare ciò che in realtà non è stato sperimentato, è una falsa memoria. Ma come si formano le memorie nel nostro cervello e in che modo vengono influenzate? Una questione legata alla validità delle testimonianze, come abbiamo detto, ma importante anche sul versante terapeutico, per manipolare i ricordi traumatici in positivo o per studiare farmaci che li “cancellino” selettivamente.

Due soli esempi cinematografici sulla complessità di indagare la memoria e la possibilità di manipolare o alterare i ricordi : i film di Michel Gondry “Se mi lasci ti cancello” con Jim Carrey e Kate Winslet e “Memento” di Christopher Nolan con Guy Pearce. E allora, data l’opportunità pubblica di parlare di memoria, false memorie e possibilità di “cancellare” i ricordi in modo selettivo, offerta da Open Night, abbiamo pensato di realizzare una indagine sul tema, la prima che sia mai stata effettuata in Italia sulla popolazione generale. Al link qui sotto troverete la pagina dedicata con la possibilità di compilare il questionario online nell’arco di pochi minuti. Renderemo in seguito pubblici i risultati.

Questionario su memoria, false memorie e manipolazione dei ricordi. Il questionario è stato appositamente realizzato da Barbara Poletti, neuropsicologa, responsabile Centro neuropsicologia, Federico Verde, neurologo, entrambi dell’UO di Neurologia dell’Auxologico San Luca di Milano e da Pierangelo Garzia, science writer e responsabile Ufficio Stampa dell’Auxologico.

Dormi che ti passa. Il sonno regola le emozioni


Come vi svegliate dopo una buona notte di sonno? Calmi, riposati, sereni, positivi? Bene, oggi c’è la dimostrazione sperimentale del fatto che una bella dormita, accompagnata da altrettante buone fasi Rem (quelle in cui si sogna, mediamente 3 o 4 in un sonno di 8 ore, con cadenze di 90 minuti) diminuisca l’attività dell’amigdala. Situata al centro del cervello, nel lobo temporale, l’amigdala controlla l’intensità e la risposta emozionale. Nell’osservazione quotidiana, è facile constatare come il sonno si leghi al nostro stato emotivo. Ed altrettanto è stato constatato in ambito clinico, relativamente ai disturbi dell’umore. In particolare nella depressione, nell’ansia e nello stress.

Gli stati d’ansia influenzano negativamente la buona qualità del sonno, e viceversa. In questi casi si innesca un circolo vizioso così che non dormendo bene si è nervosi e ansiosi durante il giorno, e successivamente insonni, o mal dormienti, durante la notte. L’altro legame molto stretto tra stati affettivi, sonno e sogni, è verificato da tempo nella depressione. Non è tuttora ben chiaro, ad esempio, perché la deprivazione controllata del sonno, in ambiente medico, sia efficace negli stati depressivi. Ciò che viene da supporre è proprio questo legame tra la fase Rem (detta anche “sonno paradosso”), l’amigdala e, probabilmente, il riattivarsi e consolidarsi, attraverso l’ippocampo, di emozioni negative durante il sonno.

In sostanza, il sonno sarebbe terapeutico in transitori stati d’ansia e di nervosismo, per smaltire le tensioni della giornata. Ma se invece ci troviamo di fronte a conclamati e protratti disturbi dell’umore, come la depressione, le cose vanno diversamente. Molti depressi, ad esempio, lamentano regolarmente stanchezza, apatia, sonnolenza, e dormirebbero di continuo. Senza però trarne beneficio. Anzi. Che il sonno non sia uno stato, ma invece più simile a un comportamento è opinione sempre più diffusa tra gli scienziati del sonno.

La ricerca condotta e pubblicata di recente dal team del neuroscienziato Matthew Walker, direttore dello Sleep and Neuroimaging Laboratory dell’Università di California, Berkeley, mostra come il cervello delle persone che hanno potuto godere di una buona notte di sonno sia meno reattivo, sul piano emozionale, di quello di altrettanti volontari tenuti svegli per l’intero periodo notturno.  L’attività del cervello dei soggetti dormienti e non dormienti è stata registrata attraverso scansione con risonanza magnetica funzionale (fMRI). In pratica ai due campioni di soggetti venivano mostrate immagini emotivamente cariche, osservando e registrando come reagisse la loro amigdala. I soggetti che avevano beneficiato del sonno mostravano una intensità emotiva alle immagini inferiore, anche alla ripetizione dell’esperimento dopo 12 ore, rispetto a coloro che erano stati svegli.

Nel lavoro pubblicato da Current Biology Matthew Walker e collaboratori ritengono di aver dimostrato come il sonno Rem contribuisca a una “dissipazione” di carica emozionale da parte dell’amigdala, in risposta a precedenti esperienze emozionali (della giornata o di periodi precedenti). Tutto ciò si tradurrebbe in una minore emotività soggettiva, il giorno successivo. Torna quindi la vecchia idea di sonno e sogno come pulizia, “resettaggio” e “messa a punto” del cervello e delle funzioni neuronali.

Il sonno e il sogno, di buona qualità, avrebbero dunque anche il ruolo di sopprimere, temporaneamente, il ruolo dei neurotrasmettitori adrenergici centrali, comunemente implicati – dicono gli autori di questo lavoro – nell’eccitazione e nello stress, assieme all’attivazione di amigdala e ippocampo. Reti neurali che codificano e memorizzano  le esperienze salienti (consolidamento della memoria attraverso le emozioni, ad esempio) , avendo quindi anche il ruolo di potenziarle e depotenziarle sul piano dell’intensità emotiva.

Vedi anche: Sonno ed emozioni. Intervista a Carolina Lombardi

Caso Gianni Golfera: il commento di Andrea Casadio ex neurobiologo della memoria, autore e caporedattore di Annozero


 Ho conosciuto Andrea Casadio nove anni fa quando scrissi il servizio “La memoria tra geni e ambiente” per una monografia sull’argomento della rivista “Le Scienze” (in seguito ripreso all’interno del volume enciclopedico Mente e cervello, Biblioteca di Repubblica, 2005), in cui facevo alcuni accenni al caso di Gianni Golfera. Di Casadio avevo letto uno dei più validi e aggiornati testi sulle recenti ricerche relative alla memoria dal titolo Memoria e oblio (Cuen, 2000). Cercai i recapiti di Casadio per intervistarlo, senza successo, salvo poi trovare quello che per me era un caso di omonimia all’interno della redazione tv di Velisti per caso (Rai3). Mi insospettì il fatto che pure “questo” Andrea Casadio fosse laureato in medicina. Le coincidenze diventavano un po’ troppe. Infatti, come nei migliori racconti di Borges, non erano due, ma un unico Casadio, con due vite differenti. Ci incontrammo a Milano, lo intervistai, e mi raccontò com’era passato dal dissezionare le Aplisye californiche nel laboratorio di quello che da lì a poco divenne premio Nobel della medicina proprio per le sue ricerche sulla memoria, Eric Kandel, all’imbarcarsi in giro per il mondo, dietro la macchina da presa. Il suo parere è perciò doppiamente interessante: come ex neuroscienziato della memoria e ora autore ed esperto tv.

Cosa dice Andrea Casadio       

Mi è capitato di vedere un po’ del pezzo su Golfera a Striscia. Non conosco Golfera di persona, non l’ho “studiato”. Tenderei a fidarmi di lui. Nel senso che so che esistono delle persone ipermnesiche, che seguono gli stessi metodi divulgati da Golfera. Gli stessi che insegnava Quintiliano qualche millennio fa. D’altronde, ha già detto tutto Lurija nei suoi studi su Shereshevsky, l’uomo dalla memoria prodigiosa. (Per memorizzare bisogna associare la cosa da memorizzare a cose familiari, usare immagini, sinestesie, eccetera).

Striscia è spettacolo e spesso monnezza, talora informazione, neanche la commento. Il suo fine è fare spettacolo, e assimilare Golfera a Wanna Marchi è un giochetto facile facile che fa tanta audience e poca informazione. Quindi non mi preoccuperei.

Ricordo solo che a Shereshevsky, il più grande mnemonista dell’era moderna, andò anche peggio. Finì ad esibirsi nei teatri come fenomeno da baraccone. “L’uomo dalla memoria prodigiosa!” Ogni sera chiedeva al pubblico di dargli liste interminabili di numeri da memorizzare. Visto che ricordava tutto, talora capitava che non riuscisse a “ricordare” se i numeri da ripetere erano quelli di quella sera o di sere precedenti. E sbagliava. Spesso, il più grande mnemonista miseramente falliva. Figure penose. Pensa se ci fosse stata una troupe di Striscia. “Il più grande mnemonista è un truffatore”.

Ma Shereshevsky resta, Lurija pure. I cretini passano.

Chi è Andrea Casadio

Originario di Ravenna, come Elio Lugaresi, padre italiano della medicina del sonno. Laureato in medicina e   specializzato  in neurologia all’Università di Bologna, ha svolto ricerche sul sonno presso il Laboratorio di Pier Luigi Parmeggiani. Dal 1999 al 2000 ha lavorato come ricercatore presso il Laboratorio di Eric Kandel alla Columbia University. Nel contempo ha seguito la scuola di regia della New York University, iniziando a collaborare con la Rai e a scrivere per testate giornalistiche nazionali (suo il pezzo su KataWeb Salute all’indomani del Nobel per la medicina a Kandel). In seguito all’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, trovandosi a New York, venne inviato a realizzare alcuni servizi tv per la Rai. Da lì Andrea Casadio dette, è il caso di dirlo, “un colpo di timone” alla sua vita personale e professionale, entrando a far parte della redazione della trasmissione tv di Rai3 Velisti per caso di Roversi e Blady. Andrea Casadio è attualmente autore e caporedattore di Annozero condotta da Santoro su Rai2.

Processo alla memoria: il caso Gianni Golfera


Gianni Golfera è un mnemonista noto al grande pubblico, per le sue dimostrazioni di memorizzazione veloce, per i corsi che tiene in Italia e all’estero, per i servizi giornalistici e i libri usciti su di lui. E’ diventato molto noto prima dei trent’anni. A memoria, è il caso di dirlo, non vi sono precedenti nella storia italiana di personaggi divenuti così famosi grazie alle proprie performance di memoria. Ciò si verifica maggiormente all’estero, in particolare negli Stati Uniti, dove si svolgono anche gare tra i “campioni” di memoria. Gianni è un personaggio complesso, molto estroverso e compagnone, con i suoi momenti bui, in particolare dopo aver perduto tragicamente il padre Andrea, comandante di Canadair, quattro anni fa durante una eroica missione per contrastare i nefasti incendi estivi della nostra penisola. Ma è pure un romagnolo dall’indole reattiva, che non ama far pesare sul prossimo i propri problemi. In questi giorni si trova al centro di un attacco mediatico senza precedenti, anche se unilaterale, da far impallidire i più grandi ricercati internazionali dall’Fbi.

E’ singolare come dalla rubrica satirica tv Striscia, che accusava Gianni Golfera di aver barato con la memorizzazione delle carte nella trasmissione Il senso della vita condotta  da Bonolis, si sia poi passati a inferire che tutte le dimostrazioni di memorizzazione rapida di Gianni siano, in realtà, dei banali trucchi da apprendista prestigiatore. Da qui a sostenere che personaggi che gli hanno dato credito – tra cui Piero Angela e alcuni neuroscienziati che lo hanno studiato e visto all’opera – sono dei fessi tontoloni, il passo è stato breve. Chi lo afferma? Alcuni scialbi personaggi da basso avanspettacolo. E naturalmente i detrattori di Golfera presenti in Rete, a cui non par vero di poter immolare un giovane di successo sulla pira degli eretici.

E’ chiaro che attività cognitive superiori come la memoria possono essere simulate con trucchi e accorgimenti tecnologici (documentarsi nelle sessioni di esame, ad esempio). Così simile agli sfuggenti fenomeni Esp, da aver richiamato, in questo caso, pure l’attenzione del Cicap. Trovandosi nell’incomoda  posizione di dover sconfessare l’autorevole parere dello stesso ispiratore e padre fondatore del Cicap, Piero Angela, che ebbe ed intervistò Gianni a Superquark. Ma vale il solito discorso: la moneta falsa non dimostra che non esista quella vera.

Ebbene, Gianni penso agirà come reputa verso chi lo denigra così pesantemente. Ma la partita non si gioca con i mazzi di carte, i fonendoscopi o i cubi di Rubik. La questione è più estesa e complessa di quanto vogliano far apparire certi rozzi e meschini pressappochisti della “notizia”. Sono messe in dubbio le capacità ipermnesiche di Gianni. Sarebbe, secondo i detrattori, in realtà un tizio della stessa memoria di una Aplysia californica (il lumacone studiato a lungo dal premio Nobel Kandel). E come avrebbe avuto successo? Con i trucchi? Com’è che i suoi corsi hanno successo da 10 anni (Gianni ha iniziato a insegnare i suoi metodi di memoria a poco più di vent’anni)? Con l’abilità relazionale. Beh, perbacco, almeno la precoce intelligenza relazionale non gli viene negata!

Bene, sono colui che portò Gianni Golfera al San Raffaele di Milano, in prima battuta dal neuroscienziato Antonio Malgaroli. Malgaroli che avevo intervistato in passato sulle sue ricerche (la memoria del singolo neurone) e con cui ero in rapporti di amicizia, mi disse: “il caso di Gianni mi interessa, ma studio i singoli neuroni. Non credo Gianni sia d’accordo nel farsi prelevare neuroni dal cervello… Però mi piacerebbe far tenere una lezione a Golfera ai miei studenti di medicina, nel corso che sto tenendo sulla psicofisiologia della memoria, accompagnata da una dimostrazione delle sue capacità. E’ in grado di tenere una lezione?”. Lo era, e lo fece con successo. Parlò ovviamente delle tecniche di memorizzazione nella storia del pensiero umano e dei metodi da lui attualizzati, usati e insegnati.

L’aula era stracolma di studenti, ricercatori, curiosi. Fu un pomeriggio entusiasmante. Non solo. L’allora direttore dell’ufficio stampa del San Raffaele, Gabriele Bertipaglia, mi prospettò  l’idea di invitare pure qualche giornalista. Parlai al telefono con Piero Colaprico, scrittore e giornalista di Repubblica. Colaprico, uomo diretto e non facile agli entusiasmi, mi chiese: “è il caso che venga o è la solita bufala di quelli che memorizzano elenchi del telefono?”. Gli risposi che valeva la pena vederlo all’opera e poi giudicare. Lo fece, e il risultato fu un’intera pagina su Repubblica con richiamo in prima dal titolo “Gianni, il ragazzo dalla memoria d’oro“. Da lì partì il “caso Golfera”.

Venne in seguito studiato dal team del neurologo e neuroscienziato del San Raffaele Stefano Cappa, che affidò i test su Gianni alla neuropsicologa Paola Ortelli (abituata di solito a testare, rivelò con un sorriso, i deficit di memoria, in particolare nell’Alzheimer). Ricordo che il test visuo-spaziale di Corsi fu talmente entusiasmante (20 tragitti nel senso indicato dallo sperimentatore e altrettanti all’incontrario) che Paola Ortelli ebbe un evidente moto di sorpresa. “Lo può rifare?”, chiese a Gianni. “Certo, rispose, ma se vuole glielo faccio pure al contrario”. E lo fece. Elencò gli incroci tra i vari cubetti nel senso indicato dallo sperimentatore, e pure in senso inverso. Ortelli ne fu talmente colpita da chiamare Cappa al telefono: “professore, quando può venga a vedere una cosa interessante”. Arrivò. E Gianni ripetè l’esperimento in un senso e pure in quello inverso. Cappa, molto pacato, si limitò a commentare: “interessante, ma mi interessa ancor più sapere come riesce a farlo”. “Semplice – rispose Gianni – nella mia mente, quando memorizzo, non esiste il prima e il dopo, ma soltanto il durante. Posso far andare avanti e indietro questo film mentale, e pure fermarlo dove voglio”.

Lo studio di Cappa e collaboratori su Gianni, compresa pure  una risonanza magnetica al cervello di Gianni eseguita  dal neuroradiologo Giuseppe Scotti, portò alla pubblicazione di un lavoro sul Brain Research Bulletin (2004 Jul 15;63(6):439-42, “Increased periodic arousal fluctuations during non-REM sleep are associated to superior memory”). Cappa accolse inoltre l’invito a scrivere un  capitoletto finale nel primo libro che, col giornalista medico-scientifico Edoardo Rosati, pubblicammo sui metodi di memorizzazione di Gianni: La  memoria emotiva (Sperling & Kupfer). Il libro contiene inoltre testimonianze di studiosi che, secondo i detrattori di Gianni, sarebbero altrettanti “tontoloni”: Franco Cardini e Piergiorgio Odifreddi. Da lì altri neurologi, medici, psicologi, giornalisti italiani e stranieri (compresa una troupe di National Geographic, in cui venne tra l’altro intervistato Malgaroli), professionisti di ogni settore, compresi operatori della pubblica sicurezza, lo hanno visto all’opera e si sono avvalsi dei suoi metodi per allenare quella capacità naturale che la nostra epoca rischia di atrofizzare, delegandola ai mezzi digitali: la memoria. Tutti allocchi?

Nella Foto: Antonio Malgaroli e Gianni Golfera in uno degli scatti che feci durante la lezione universitaria al San Raffaele (3 aprile 2002). A ridosso della parte, Andrea Bianchi che riprese l’intera sessione con una telecamera.

News: Lunedì 30 maggio alle 11, sul “caso Golfera”,  si terrà una conferenza stampa (giornalisti accreditati) a Roma, all’Hotel Leonardo Da Vinci, Via dei Gracchi 324. Oltre ai giornalisti italiani e stranieri, sono stati invitati a partecipare sia Striscia che il Cicap. Info e accrediti:  Ufficio Stampa Dora Carapellese dc@doracarapellese.it

News: A questo link fb le video-testimonianze diffuse nel corso della conferenza stampa.

Il cervello dei maschi. E quello delle femmine. Ovvero: misurate il livello di vasopressina ai vostri maschi


E’ un tema che intriga, da diversi anni. Le differenze tra cervello maschile e quello femminile. La rivista Mind (maggio/giugno) gli dedica copertina e lungo servizio in più parti, promettendo di far conoscere la “verità”  – o almeno quanto oggi è possibile sapere – su maschi e femmine dal punto di vista neurobiologico e neuropsicologico.

Altrettanto fa la rossa e fascinosa psichiatra dell’Università della California Louann Brizendine che, dopo aver stupito il mondo con il successo del suo Il cervello delle donne, torna all’attacco con Il cervello dei maschi (in uscita il 5 maggio da Rizzoli, pp. 330, 18 euro).

Le note di presentazione del volume in edizione italiana, fanno leva sulla possibilità di capire le motivazioni scientifiche della monogamia o poligamia del maschio. Suggerendo alle future compagne del maschio individuato di informarsi sulle abitudini sessuali del futuro suocero. E’ molto probabile, sostiene Brizendine, che il vostro compagno segua il medesimom andazzo da impenitente playboy del padre. Ma non per emulazione, bensì per ragioni strettamente neurobiologiche. La colpa è dei recettori della vasopressina.

Studi condotti dai neurobiologi dimostrerebbero che la tendenza alla monogamia dipende dai recettori della vasopressina (ormone rilasciato dall’ipotalamo implicato con l’attaccamento, e perciò anche definito, con l’ossitocina, “ormoni dell’amore”) presenti nel cervello. Dato che i geni recettori della vasopressina si tramettono di padre in figlio, care donne e ragazze, se mirate ad uomo fedele,  indagate sulle abitudini sessuali dei padri per sapere come si comporteranno i loro figli.

Oppure, se disponete di un laboratorio d’analisi ben attrezzato – magari siete una biologa o un medico – fate al vostro partner un dosaggio di vasopressina, prima di decidervi a mettervi definitivamente con lui. Poco passerà e, ne sono certo, qualche azienda di diagnostica metterà in vendita su internet un kit per misurare i livelli di vasopressina tra amanti. Vedo già la confezione con il logo (la molecola di vasopressina iscritta in un cuore) e lo slogan, urlato anche dai venditori tv: “Non chiedergli se è fedele: analizzalo!”.

Poco passerà e pure gli avvocati chiederanno dosaggi della vasopressina nelle cause di separazione e di divorzio.

Ci volevano le neuroscienze e la biochimica per capirlo? No di certo (“puttaniere come suo padre”, sospettano da sempre le donne senza far ricorso alle scoperte delle neuroscienze), però almeno ora avete una pezza d’appoggio scientifica per fondare i sospetti d’infedeltà del vostro uomo.

Sempre nelle note di presentazione del nuovo libro della Brizendine, si anticipa che il testo spiega alle donne come stimolare l’istinto paterno (bisogna lasciare il papà da solo con il bebé), come interpretare l’apparente indifferenza emotiva (di fronte alla sofferenza della compagna il partner non è freddo, sta concentrandosi per risolvere il problema e non ha tempo per l’empatia), come dialogare con un uomo e come capirlo prima, o invece, che lui capisca se stesso.

Semplificazioni? Categorizzazioni? Certo. Ogni volta che si vuole tracciare una linea di demarcazione tra abitudini, cognizioni e comportamenti dei maschi e delle femmine, anche a livello neuropsicologico, si rischia di generalizzare. E’ proprio vero, ad esempio, che il maschio taciturno, freddo e distaccato (in quanto maschio, di per se stesso un po’ autistico) si stia sempre “concentrando” per risolvere i problemi della sua donna? E non magari i propri (darsela a gambe o maltrattare), come la vita quotidiana e le notizie di cronaca spesso ci insegnano?

In ogni caso, le neuroscienze – pur con tutte le dovute riserve e valutazioni critiche di ricerche e risultati, a volte presentati in modo eccessivamente entusiastico – si stanno guadagnando un ruolo sempre più rilevante nel farci comprendere un po’ di più e un po’ meglio noi stessi. Anche nei rapporti con l’altro sesso.