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Sonno ed emozioni. Intervista a Carolina Lombardi


Sonno sano, sonno malato. Se esiste una medicina del sonno, vorrà pur dire che il sonno è, o può essere, una medicina. Se non, appunto, alterato. Sicuramente esiste una “igiene” del sonno. Compito di medici e ricercatori è quella di cercare di comprendere il ruolo del cervello e dei neurotrasmettitori centrali nel sonno e nella fase Rem (quella in cui, tra le tante altre funzioni, sognamo). A questo riguardo, suscita grande interesse il tema “sonno e  regolazione delle emozioni”. Un settore di ricerca in campo neurofisiologico che, però, lascia intravedere ricadute anche in ambito clinico.

Se le emozioni sono alla base del nostro vissuto, è dato comune che influenzino non solo i nostri comportamenti ma, alla lunga, nei casi di ansia o stress cronici, anche possibili alterazioni del nostro organismo. E’ dato ormai accertato il ruolo dello stress cronico, ma pure dell’ansia, nelle alterazioni e patologie cardiovascolari. Ecco perché queste ricerche, di stretto interesse tanto di neurologi che cardiologi, suscitano attenzione in ambito medico.

Sul significato da attribuire alle recenti ricerche di Walker e collaboratori, abbiamo rivolto alcune domande a Carolina Lombardi.  Medico e neurofisiopatologo, Carolina Lombardi ha conseguito il dottorato di ricerca in medicina del sonno presso l’Università di Bologna, lavorando con il padre fondatore della disciplina in Italia: Elio Lugaresi. Carolina Lombardi è attualmente coordinatrice del Laboratorio di medicina del sonno dell’Istituto Auxologico di Milano.

Come giudica questo lavoro e, in generale, le ricerche del gruppo di Walker e dello Sleep and Neuroimaging Lab dell’Università di California, Berkeley, su sonno e fase Rem?

Mi sembra un lavoro molto interessante, condotto con metodica rigorosa e sicuramente il gruppo ha esperienza sull’argomento e pubblicazioni solide.

Ci sono degli aspetti metodologici di questo lavoro che sono pubblicati a parte (parlano di “supplemental files”) e non ho avuto modo di vederli. La cosa più importante da verificare è come sono state registrate le polisonnografie (condizioni ambientali, montaggio, adattamento, ecc.) che potrebbero essere bias importanti e devono essere assolutamente standardizzate per trarre delle conclusioni di neurofisiologia così fine.

Però dalle caratteristiche della stesura del lavoro, dall’esperienza del gruppo e dall’impact factor della rivista su cui è pubblicato il lavoro penso che siano stati rigorosamente controllati. 

Questo lavoro, a suo parere, dà anche indicazioni cliniche, oltre che conoscenze di base?

A mio parere sicuramente, nel senso che non fornisce da solo dirette indicazioni sul trattamento dell’ansia, ma può essere la base su cui fondare una nuova consapevolezza, cioè che i disturbi del sonno riferiti da pazienti con disturbi dell’umore non sono l’effetto solamente dell’ansia in quanto tale, ma probabilmente originano da una base neurotrasmettitoriale comune. Questo come è intuitivo, può rappresentare una svolta nell’approccio terapeutico in tali pazienti.

Se una buona qualità del sonno depotenzierebbe l’attività dell’ amigdala riguardo la reattività emozionale, e l’ippocampo nel consolidare emozioni negative, avendo perciò un ruolo “benefico” su ansia e stress, come si spiega che nei depressi risulti benefica la deprivazione controllata del sonno?

La mia opinione è che questo conferma come ansia e depressione, pur essendo spesso comorbigene, hanno in realtà meccanismi neurochimici diversi.

Consideriamo anche che nei depressi è descritta una latenza Rem ridotta e che gli antidepressivi in genere aumentano la latenza Rem. Viceversa succede negli insonni (molto spesso con un livello d’ansia elevato), anche se la letteratura sull’insonnia, spesso mette insieme insonnie di diversa natura, non ben caratterizzate dal punto di vista polisonnografico.

Quindi la mia spiegazione di queste osservazioni si basa su:

°  meccanismi neurochimici diversi anche se potenzialmente sovrapponentisi tra ansia e depressione

°  l’intervento diverso viene fatto su una struttura ipnica diversa in partenza e quindi il significato dell”intervento deve essere “giudicato” partendo dalla alterazioni iniziali

° il sonno è un processo attivo che si basa su equilibri dinamici e su una composizione ed alternanza funzionale di gruppi neuronali che si orchestrano, in fisiologia, in maniera armonica. Data questa interazione continua, gli effetti di interventi  apparentemente diversi su un punto della catena (privazione controllata di sonno e quindi “cosmesi” della struttura del sonno, oppure potenzialmento di alcune fasi selettive di sonno) finiscono in una via comune (uguale  consolidamento di una “corretta” struttura ipnica, che si basa su specifiche caratteristiche elettriche corticali e sottocorticali, corretta modulazione autonomica, rispetto dell’alternanza NRem-Rem). E necessariamente sono il risultato non solo diretto di quella modificazione, ma della reazione a catena che quella modifica genera. Quindi, per capirne esattamente i percorsi…c’è ancora molto da lavorare.

La speculazione affascinante in questo ambito che si ricava dallo studio è che, in un futuro cybernetico, si andrà verso una “personalizzazione” della struttura del sonno puntando ad ottimizzare non solo in termini di quantità, ma soprattutto di qualità, la macro e microstruttura ipnica. Sarà sempre più vera l’affermazione: “fammi vedere come dormi e ti dirò chi sei”.

Dormi che ti passa. Il sonno regola le emozioni


Come vi svegliate dopo una buona notte di sonno? Calmi, riposati, sereni, positivi? Bene, oggi c’è la dimostrazione sperimentale del fatto che una bella dormita, accompagnata da altrettante buone fasi Rem (quelle in cui si sogna, mediamente 3 o 4 in un sonno di 8 ore, con cadenze di 90 minuti) diminuisca l’attività dell’amigdala. Situata al centro del cervello, nel lobo temporale, l’amigdala controlla l’intensità e la risposta emozionale. Nell’osservazione quotidiana, è facile constatare come il sonno si leghi al nostro stato emotivo. Ed altrettanto è stato constatato in ambito clinico, relativamente ai disturbi dell’umore. In particolare nella depressione, nell’ansia e nello stress.

Gli stati d’ansia influenzano negativamente la buona qualità del sonno, e viceversa. In questi casi si innesca un circolo vizioso così che non dormendo bene si è nervosi e ansiosi durante il giorno, e successivamente insonni, o mal dormienti, durante la notte. L’altro legame molto stretto tra stati affettivi, sonno e sogni, è verificato da tempo nella depressione. Non è tuttora ben chiaro, ad esempio, perché la deprivazione controllata del sonno, in ambiente medico, sia efficace negli stati depressivi. Ciò che viene da supporre è proprio questo legame tra la fase Rem (detta anche “sonno paradosso”), l’amigdala e, probabilmente, il riattivarsi e consolidarsi, attraverso l’ippocampo, di emozioni negative durante il sonno.

In sostanza, il sonno sarebbe terapeutico in transitori stati d’ansia e di nervosismo, per smaltire le tensioni della giornata. Ma se invece ci troviamo di fronte a conclamati e protratti disturbi dell’umore, come la depressione, le cose vanno diversamente. Molti depressi, ad esempio, lamentano regolarmente stanchezza, apatia, sonnolenza, e dormirebbero di continuo. Senza però trarne beneficio. Anzi. Che il sonno non sia uno stato, ma invece più simile a un comportamento è opinione sempre più diffusa tra gli scienziati del sonno.

La ricerca condotta e pubblicata di recente dal team del neuroscienziato Matthew Walker, direttore dello Sleep and Neuroimaging Laboratory dell’Università di California, Berkeley, mostra come il cervello delle persone che hanno potuto godere di una buona notte di sonno sia meno reattivo, sul piano emozionale, di quello di altrettanti volontari tenuti svegli per l’intero periodo notturno.  L’attività del cervello dei soggetti dormienti e non dormienti è stata registrata attraverso scansione con risonanza magnetica funzionale (fMRI). In pratica ai due campioni di soggetti venivano mostrate immagini emotivamente cariche, osservando e registrando come reagisse la loro amigdala. I soggetti che avevano beneficiato del sonno mostravano una intensità emotiva alle immagini inferiore, anche alla ripetizione dell’esperimento dopo 12 ore, rispetto a coloro che erano stati svegli.

Nel lavoro pubblicato da Current Biology Matthew Walker e collaboratori ritengono di aver dimostrato come il sonno Rem contribuisca a una “dissipazione” di carica emozionale da parte dell’amigdala, in risposta a precedenti esperienze emozionali (della giornata o di periodi precedenti). Tutto ciò si tradurrebbe in una minore emotività soggettiva, il giorno successivo. Torna quindi la vecchia idea di sonno e sogno come pulizia, “resettaggio” e “messa a punto” del cervello e delle funzioni neuronali.

Il sonno e il sogno, di buona qualità, avrebbero dunque anche il ruolo di sopprimere, temporaneamente, il ruolo dei neurotrasmettitori adrenergici centrali, comunemente implicati – dicono gli autori di questo lavoro – nell’eccitazione e nello stress, assieme all’attivazione di amigdala e ippocampo. Reti neurali che codificano e memorizzano  le esperienze salienti (consolidamento della memoria attraverso le emozioni, ad esempio) , avendo quindi anche il ruolo di potenziarle e depotenziarle sul piano dell’intensità emotiva.

Vedi anche: Sonno ed emozioni. Intervista a Carolina Lombardi