Per generazioni di medici dire “ipertensione essenziale” equivaleva a dire che non se ne conosceva la causa. Ce l’avevi e te le tenevi. Ce l’avevi per ragioni familiari, genetiche, e te la curavi grazie ai farmaci che per fortuna sono stati messi a punto. Correggendo nel contempo gli stili di vita. Anche se un margine di rischio per infarto, ictus, insufficienza renale e disabilità, permane. Inoltre, l’ignoranza resta: cosa la innalza, cosa la causa, quali sono i meccanismi fisiopatologici che la determinano? Ancora, lo stress ha di certo un ruolo riconosciuto, quindi pure il cervello, ma in che modo?
«L’ipertensione è un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari», spiega Gianfranco Parati, professore ordinario di medicina cardiovascolare all’Università di milano-Bicocca e direttore scientifico dell’Auxologico, «e si associa ad un aumento della mortalità e dell’incidenza di eventi drammatici quali infarto del miocardico, ictus, insufficienza cardiaca e malattia renale cronica. Inoltre, attraverso le sue conseguenze negative, è una tra le principali cause di disabilità nell’arco della vita. Nonostante l’importanza clinica ed epidemiologica dell’ipertensione, i processi fisiopatologici che contribuiscono a determinare un aumento dei valori pressori, quasi sempre implicando la complessa interazione di diversi meccanismi, sono ancora poco conosciuti. Da qui il termine di ipertensione “essenziale”, che sottolinea l’incompletezza che ancora oggi caratterizza le informazioni disponibili. Recentemente, sono state raccolte alcune evidenze sperimentali che suggeriscono il contributo di una complessa interazione tra fattori nervosi e meccanismi infiammatori e immunologici. In particolare vi sono dati sperimentali a favore di una interazione tra midollo osseo, microglia cerebrale e mediatori immunitari alla base dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa. L’attenzione si è rivolta più specificamente verso l’ interazione tra elementi del sistema immunitario, come le citochine e componenti del sistema nervoso come i neuropeptidi».
Un lavoro a cui hanno preso parte cardiologi e immunologi dell’Auxologico, tra cui cui Gianfranco Parati, propone una ipotesi nella patogenesi dell’ipertensione essenziale che chiama in causa una interazione tra midollo osseo, microglia cerebrale e mediatori immunitari – nello specifico: citochine e peptidi, come il neuropeptide Y, la sostanza P, l’angiotensina II e l’angiotensina (1-7) – che potrebbe essere alla base dello sviluppo dell’ipertensione arteriosa.
Il ruolo dello stress
In tale interpretazione patogenetica, lo stress psicologico cronico aumenta il rischio di ipertensione attraverso un meccanismo che coinvolge il midollo osseo e il sistema nervoso simpatico. L’attivazione della microglia cerebrale è un segno distintivo della neuroinfiammazione nell’ipertensione e il midollo osseo, si dice in questo articolo, contribuisce all’ipertensione aumentando lo stravaso delle cellule infiammatorie periferiche nel cervello.
Sempre più attenzione viene dunque posta ai meccanismi che determinano la neuroinfiammazione e il “crosstalk” immune, come si dice nel titolo di questo lavoro, alla base di malattie con manifestazioni a carico di vari organi e apparati, dal cardiovascolare allo stesso cervello.
«Lo stress psicologico cronico sembra avere un importante ruolo nell’aumentare il rischio di ipertensione», conclude Gianfranco Parati, «probabilmente proprio attraverso l’attivazione di questa interazione neuro-immunitaria. Nel nostro recente e innovativo lavoro pubblicato sulla rivista Nature Reviews in Cardiology, viene fornita una dettagliata analisi delle evidenze disponibili a questo proposito. Sia l’evidenza sperimentale sia le osservazioni cliniche sembrano in effetti dimostrare il coinvolgimento di una interazione neuro-immunitaria alla base delle alterazioni della regolazione del sistema cardiovascolare sottostanti l’ipertensione arteriosa. Un’immediata applicazione clinica di queste nuove interpretazioni fisiopatologiche potrà essere pertanto il suggerimento di analizzare, nello stesso paziente, il contributo di più fattori neuro-immunitari e genetici, insieme ad un’attenta lettura degli aspetti emozionali e psicologici. Le nuove evidenze scientifiche sembrano quindi supportare anche in questo campo la necessità di un approccio multidisciplinare, allo scopo di ottenere informazioni più dettagliate e più precise sul rischio cardiovascolare di un dato paziente, nella prospettiva di una medicina che eroghi terapie quanto più possibile personalizzate».
Nature Reviews Cardiology 2019 Mar 20
Neuroimmune crosstalk in the pathophysiology of hypertension
Calvillo L, Gironacci MM, Crotti L, Meroni PL, Parati G
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Come dice l’immuno-psichiatra (così si definisce) britannico Edward Bullmore nel suo recente libro pubblicato in italiano da Bollati Boringhieri La mente in fiamme. Un nuovo approccio alla depressione, è caduto il “muro di Berlino” della cosiddetta “barriera ematoencefalica”. È soprattutto caduta la convinzione che non vi siano rapporti tra cervello e sistema immunitario. Eppure bastava dare retta a questo bel nasone di oltre 200 anni fa, di fatto il padre della neuroimmunologia.
e dei dettagliati disegni anatomici di Mascagni (purtroppo con testi redatti in latino, che ne hanno occultato lo studio e la diffusione fino ai giorni nostri): «Il mito secondo il quale il sistema nervoso centrale non ha alcuna interazione con l’immunità periferica, in parte a causa della mancanza di vasi linfatici, non può più essere sostenuto. Poiché la descrizione contemporanea dei linfatici all’interno del Sistema Nervoso Centrale segna una pietra miliare nella storia della neurologia, dell’apprendimento e dello studio della storia della medicina. In particolare l’esplorazione diretta dei testi originali, aiuterà la comunità scientifica ad apprezzare ulteriormente le scoperte moderne e spianare la strada alle future scoperte biomediche».
L’Uncaria tomentosa (unghia di gatto), una pianta della foresta pluviale amazzonica, sarebbe in grado di rallentare il decadimento cognitivo e della memoria nell’anziano e, addirittura, di contrastare la formazione di “placche e grovigli” che sarebbero alla base dell’Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato dai Scientific Reports della rivista “Nature” e informa inoltre che negli Stati Uniti è già disponibile un prodotto il cui nome commerciale è “Percepta”, contenente sia l’estratto vegetale titolato di Uncaria in combinazione con uno specifico estratto di tè oolong.
del cervello. Al riguardo, gli autori dello studio scrivono: «
Sabato 6 aprile prossimo si terrà a Roma il sesto congresso di “Medicina biointegrata” e la relazione che mi è stata assegnata riguarderà il tema della resilienza. Con il coblogger Pierangelo Garzia ed il giornalista scientifico Edoardo Rosati, nel 2012 abbiamo pubblicato un libro dal titolo Guarire con la nuova medicina integrata edito da Sperling & Kupfer. Protagonista di questo libro era un mio paziente che a 36 anni si ammalò di tumore alla pleura con prognosi assai severa di pochi anni di vita. Dopo chemioterapia, chirurgia radicale con asportazione di un polmone e radioterapia post operatoria, sapendo, per mia esperienza, che la malattia prima o poi sarebbe ritornata mi sono affiancato a lui sviluppando a 360° un percorso di medicina integrata tradotto poi nel libro prima citato.