Sembra un titolo provocatorio alla luce delle continue scoperte in campo medico ma in realtà che la medicina , come ha scritto Boncinelli , sia una scienza in progress …. è tutto da dimostrare. Giorgio Israel , docente di matematica all’Uniersità La Sapienza di Roma, nel suo libro Per una medicina umanistica (Lindau) rilancia l’idea di una medicina umanistica con qualche punta di polemica riguardo la caccia al gene delle malattie parlando di inquisizione genetica. Secondo Israel il progresso della medicina, alla continua ricerca delle radici biochimiche, genetiche e molecolari della sofferenza umana, ha perso di vista il fatto fondamentale che la medicina esiste perché gli uomini si sentono malati e non perché qualcuno li dichiara tali in base alla alterazione di determinati parametri quantitativi. Il medico deve confrontarsi con l’esperienza soggettiva del paziente e scoprire cosa è patologico per lui. La nozione di malattia, secondo Israel, deriva anzitutto dal vissuto degli uomini. Soltanto se si andrà in questa direzione il medico potrà aiutare a guarire o, più modestamente, a stare meglio.
Già il dr. Abraham Flexner scriveva nel 1925 “In America la medicina scientifica, giovane, vigorosa, positiva è oggi deplorevolmente deficitaria nel campo culturale e filosofico”. Egli rincarava la dose della sua prognosi riservata affermando : “La dimensione morale dell’educazione medica esige l’acquisizione di un bagaglio di qualità e valori al centro del quale stanno i bisogni del malato”. Scrive Giorgio Cosmacini nel suo libro La medicina non è una scienza (Raffaello Cortina editore): ” Il nuovo non deve indurre in equivoci fra la tradizione antropologico-medica incarnata nel modo d’ essere medico “, da Ippocrate a oggi, e le basi scientifiche innovatrici necessarie, ma non sostitutive, del modello antropologico.
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Questo dr. Flexner aveva visto bene. Ci sono voluti più di 50 anni, ma alla fine se ne sono accorti (quasi) tutti. Le medical humanities dilagano da decenni, ovunque tranne che in Italia. Ci sono esperienze e iniziative accademiche, ma c’è anche tanto scetticismo tra i medici. Eppure non è difficile da capire. Fare il medico significa avere a che fare con persone, non (solo) riparare organi e tessuti; e le persone, quando si ammalano, anno la brutta abitudine di restare persone, con tutte le loro idee, sentimenti, emozioni, pregiudizi. Come si può pensare di curare al meglio qualcuno senza saper maneggiare questi aspetti dell’esperienza umana?
Si può curare rifiutando ricette non generiche (ma accettate dalla regione)con questa frase ” ci rimetto il posto sa”.Leggi dottoressa di base; aggiuggendo alla stanchezza della malattia, la rabbia mista a un senso di vuoto che non fa migliorare.(non mi date il consiglio di cambiare medico di base-già fatto) – esempio negativo –
Mi viene tanto in mente Heidegger…