Viviamo nell’era della distrazione. Gente che va fuori strada con l’auto per messaggiare o farsi selfie. Con conseguenze tragiche per sé e per il prossimo. Negli Stati Uniti l’uso dello smartphone durante la guida provoca 1,6 milioni di incidenti ogni anno. E quasi 390.000 feriti si verificano ogni anno a causa di incidenti causati da messaggi di testo durante la guida. Rispondere a un messaggio distoglie l’attenzione per circa cinque secondi. E viaggiando a 55 chilometri orari, c’è abbastanza tempo per percorrere la lunghezza di un campo di calcio. Il nostro paese non è da meno, tanto da non costituire più notizia, tranne che nei casi più gravi e tragici: l’uso dello smartphone è il primo indiziato di distrazione alla guida.
Distratti dalla tecnologia
Siamo distratti dalla tecnologia. Vogliamo esserlo. Fanno ridere, certo, quelle immagini in cui gruppi di persone, giovani o meno, se ne stanno tutti con gli occhi incollati allo schermo dello smartphone. Sono buffe, certo, le persone incolonnate che camminano come zombie tutte con il loro apparecchio in mano. Irritano, certo, quei nostri simili che a una cena, una riunione conviviale o di lavoro, invece di guardarti e interagire con te, seguitano a smanettare con il loro aggeggio. Il fatto è che la distrazione è naturale. Proprio così. Tant’è che da bambini, a scuola o a casa, che ci dicevano? “Stai attento!”.
La distrazione è naturale per il nostro cervello, rilassante, riposante, e ogni tecnologia, mezzo o spettacolo, che la inneschi, che la agevoli, è benvoluto e ben accolto dal nostro cervello. Lo smartphone è la distrazione perfetta per il nostro cervello. A buon titolo possiamo definirla la distrazione diabolica. È sempre a portata di mano. A ogni ora del giorno e della notte. Consente un sacco di funzioni piacevoli, ludiche. Stimola in modo potente il nostro narcisismo. Ci mette in contatto con una miriade di nostri simili, reali o virtuali. Soprattutto, attira e cattura costantemente la nostra attenzione con musichette, suoni, faccine, icone, colori, app, studiati apposta per renderci schiavi del mezzo. Stimola e richiede risposte tempestive, immediate. Ci induce a comportamenti di tradimento virtuale: quante coppie si sfasciano, anche malamente, solo per qualche messaggio o foto, trovati sullo smartphone? Si susseguono, ormai, film, sceneggiati, monologhi e recite teatrali, romanzi e racconti in tema di tradimento digitale.
La distrazione è naturale, l’attenzione è appresa
La distrazione è naturale. Mentre l’attenzione è una conquista evolutiva. L’attenzione non è regalata. La consapevolezza va guidata, allenata, mantenuta. C’è voluto uno sforzo evolutivo per conquistare l’attenzione. Mentre essere distratti non richiede alcun impegno, alcuno sforzo. Lo sei e basta. La mente distratta è di natura. Il controllo cognitivo, la cosiddetta “concentrazione”, è una progressiva conquista di tipo evolutivo. È il controllo cognitivo che ci ha permesso di non starcene spaparanzati in una caverna in attesa degli eventi, ma bensì uscirne e nell’arco di milioni di anni giungere dove siamo arrivati. E ora?
Oggi ci siamo costruiti con le nostre mani una nuova caverna, una caverna tecnologica, in cui gradiamo rifugiarci e sollazzarci ogni giorno, per molte ore al giorno. Si tratta dunque di una regressione per il nostro cervello? Secondo alcuni detrattori assoluti dello smartphone, dei social, annessi e connessi, la risposta è decisamente affermativa. Poi ci sono quelli che “dipende dall’uso che se ne fa”. Ma le dipendenze da tecnologia portatile aumentano. Specie tra i giovani. Specie tra i più fragili e più soggetti a cascare nelle trappole della modernità.
Sommersi dalle notizie
Aggiungiamo alla distrazione ludica il fatto che siamo bombardati da notizie. Sommersi da informazioni. Viviamo in un’epoca, oltre che di distrazione, di bulimia, di obesità di informazioni. Tanto da potere tracciare un parallelo tra ricerca di cibo e ricerca di informazioni. Le strutture cerebrali che sostengono questi due tipi di ricerche sono le medesime.
Ecco quanto scrivono i neuroscienziati Adam Gazzaley e Larry D. Rosen: “Continuiamo ad essere creature che cercano informazioni: e dunque quei comportamenti che massimizzano l’accumulo di informazioni ci appaiono – almeno da questo punto di vista – ottimali. Questa idea è corroborata dalla scoperta che i meccanismi molecolari e fisiologici, originariamente sviluppatisi nel cervello per sostenere la ricerca di cibo per la sopravvivenza, si sono oggi sviluppati nei primati fino ad includere la ricerca di informazioni. I dati a sostegno di questa asserzione provengono principalmente dall’osservazione che il sistema dopaminergico, cruciale per qualunque processo di gratificazione, giuoca un ruolo chiave sia nel comportamento basilare di ricerca del nutrimento dei bassi vertebrati sia nei comportamenti cognitivi di più alto ordine delle scimmie e degli umani, che non hanno spesso nessun legame con la semplice sopravvivenza. Si è dimostrato che il ruolo del sistema delle dopamine ha, nei primati, un rapporto diretto con il comportamento diretto di ricerca delle informazioni”.
Le informazioni sono per il cervello come il cibo per il palato
Avete presente quando, salendo o scendendo da un mezzo pubblico, oppure bloccato in piedi in mezzo alla strada, un nostro simile sta smanettando, con sguardo ebete, con il suo smartphone? Oppure, appunto, lo fa al semaforo? O mentre guida. E ci viene da pensare: neanche fosse una questione di necessità immediata, una questione di vita o di morte. Ma il fatto è proprio questo: “non hanno alcun legame con la semplice sopravvivenza”. E il fatto che tutto ciò abbia invece a che fare con le vie neurali della gratificazione, dunque esista un parallelo tra cibo e ricerca di informazioni, rende ragione anche di quel fenomeno non a caso definito di “binge watching”, di visione compulsiva e ininterrotta, in una unica sessione, di intere stagioni di serie tv, fenomeno non a caso in analogia, anche lessicale, con quello del “binge eating”, disturbo da alimentazione incontrollata.
Le basi cerebrali della gratificazione che sostengono la dipendenza da smartphone e da informazioni, come è detto, sono le medesime della ricerca di cibo. Ecco perché sarà pressoché impossibile modificare il processo verso la distrazione di massa. Per chi può e chi sa, come sempre, l’unico antidoto possibile è la conoscenza e l’applicazione della medesima.
Il brano sopra citato è tratto da un volume fondamentale per comprendere, dal punto di vista neuropsicologico, quanto ci sta accadendo: Distracted mind. Cervelli antichi in un mondo ipertecnologizzato (Franco Angeli). Ne sono autori Adam Gazzaley (insegna nei dipartimenti di neurologia, fisiologia e psichiatria della University of California, San Francisco, dove ha fondato e diretto il Neuroscience Imaging Center, il Neuroscape Lab e il Gazzaley Lab) e Larry D. Rosen (professore emerito di psicologia alla California State University, Dominguez Hills). Abbiamo rivolto alcune domande sulla mente distratta dalla tecnologia e sulle sue conseguenze a uno dei due autori: Larry D. Rosen.
Leggendo il vostro libro ne consegue che la “mente distratta” sia una caratteristica
innata del nostro cervello e che le nuove tecnologie hanno aumentato questa caratteristica naturale, esasperandola. È così?
Come specie abbiamo sempre bisogno di tenere conto dei potenziali rischi e del fatto che la discrezionalità è una necessità. La tecnologia in questo caso ha prodotto qualcosa più di un problema acuto. Per fare moltissimi clienti, la maggior parte delle aziende tecnologiche e gli sviluppatori di app stanno utilizzando tecniche psicologiche per attirare la nostra attenzione e mantenere i nostri occhi incollati sul loro prodotto. Questo ha causato molto dell’utilizzo problematico dello smartphone che stiamo vedendo. Inoltre, i social media sono diventati un grande “obbligo sociale”, con la maggior parte dei giovani che mostrano una presenza attiva su molti di essi e avvertono il bisogno di controllarli di continuo.
Quali principali contromisure dovremmo adottare per evitare di essere troppo distratti?
Le persone hanno prima bisogno di capire come e perché sono distratte. Un modo è utilizzare un’app che mostri la durata delle nostre potenziali distrazioni. Con queste informazioni è possibile valutare e rendersi conto quanto spesso controlliamo il nostro smartphone (circa 70 o più volte in media) e cosa sta causando questo comportamento. Su queste informazioni è possible valutare quanto tempo sia dedicato allo smartphone e come sia distribuito durante il giorno, di conseguenza quanto parte di questo tempo è “produttiva” e quanta invece dedicata all’interazione sociale o al divertimento. Da qui capire se è importante apportare alcuni cambiamenti.
Se i social media ti stanno chiamando a controllare troppo spesso il tuo smartphone, blocca tutte le notifiche e trasforma le icone in una cartella (ancora meglio se le trasferisci in più cartelle e poi le passi in una cartella) e poi sposti quella cartella nell’ultima schermata della home page. Se non funziona questo sistema (per avere meno distrazioni), allora rimuovi tutte le password dei social media in modo che ogni volta dovrai reinserire la password. Ci sono molti altri modi per porsi al riparo dalle distrazioni prodotte dallo smartphone: elenchiamo una serie di scelte negli ultimi due capitoli del nostro libro.
Nel corso dei secoli l’uomo ha realizzato la necessità di non essere distratto, ricorrendo alla concentrazione, alla meditazione, alla gestione del tempo. Oggi questo è ancora utile o assediati dalle nuove tecnologie dovremmo adottare qualcos’altro? Se la risposta è sì, cosa dovremmo fare?
Ci sono molti modi per migliorare il nostro focus e le capacità di attenzione. La meditazione sembra essere uno dei metodi migliori, in quanto aiuta la permanenza nel presente senza avvertire il bisogno di controllare spesso qualcosa fuiori di noi. Al livello sottostante, dobbiamo comprendere cosa guida il nostro comportamento e in seguito effettuare modifiche su tale “driver comportamentale”. Abbiamo costruito un modello comportamentale con scarse funzionalità (poca decisionalità, impulsività, multitasking), noia e ansia (particolarmente associate al controllo costante dello smartphone, fenomeni oggi definiti come FOMO – acronimo di “fear of missing out” “paura di essere tagliati fuori” – e nomofobia – “no mobile fobia” (la paura di rimanere senza connessione mobile in rete). La comprensione di ciò che guida il nostro comportamento ci aiuta a trovare la “cura”.
La mente distratta è un vantaggio per alcune categorie di persone: maghi, truffatori. Ad esempio, la cecità attenzionale viene ampiamente sfruttata nei trucchi magici: cosa ne pensa della ricerca psicologica in questo settore?
La cecità attenzionale è stata indagata in riferimento alla tecnologia: in una ricerca degli studenti che attraversavano una grande area aperta venivano affiancati da un ciclista che indossava un abbigliamento molto vistoso e quelli che erano impegnati con i loro smartphone non lo vedevano affatto.
Come si regola con la sua mente distratta? E con quella dei suoi figli?
Purtroppo non sono molto bravo nel regolare il mio comportamento. Ho realizzato il mio principale comportamento che consiste nello spegnere il mio smartphone e spostarlo in basso, vicino al mio letto, almeno un’ora prima di dormire. Ciò deriva da uno studio che abbiamo condotto sull’impatto della tecnologia durante la notte, in cui si dimostra come lo schermo acceso influisca sul nostro sonno naturale. I miei figli sono tutti cresciuti, per cui la tecnologia è più un vantaggio che un impegno. Quando erano ragazzi non erano ancora disponibili né smartphone né social media. I videogiochi sono stati un problema con mio figlio più giovane: abbiamo adottato regole e limiti per limitarne l’utilizzo.
Come vede il futuro della nostra mente distratta? Saremo sempre più a rischio? Saremo anche costretti ad adottare soluzioni drastiche?
Sfortunatamente non penso che abbiamo ancora raggiunto il picco. I nostri dati del passato raffrontati al presente, soltanto dopo pochi anni, mostrano che i “millenial” stanno controllando più spesso i loro smartphone, anche se per brevi periodi, ma tuttavia spendendo mediamente cinque ore per settanta controlli al giorno. Abbiamo visto tale cambiamento come il peggiore degli ultimi tre anni e stiamo studiando come possiamo dotare i millenial di strategie per ridurre il loro tempo trascorso con lo smartphone, migliorando le loro relazioni con gli amici, familiari o altri.
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Come dice l’immuno-psichiatra (così si definisce) britannico Edward Bullmore nel suo recente libro pubblicato in italiano da Bollati Boringhieri La mente in fiamme. Un nuovo approccio alla depressione, è caduto il “muro di Berlino” della cosiddetta “barriera ematoencefalica”. È soprattutto caduta la convinzione che non vi siano rapporti tra cervello e sistema immunitario. Eppure bastava dare retta a questo bel nasone di oltre 200 anni fa, di fatto il padre della neuroimmunologia.
e dei dettagliati disegni anatomici di Mascagni (purtroppo con testi redatti in latino, che ne hanno occultato lo studio e la diffusione fino ai giorni nostri): «Il mito secondo il quale il sistema nervoso centrale non ha alcuna interazione con l’immunità periferica, in parte a causa della mancanza di vasi linfatici, non può più essere sostenuto. Poiché la descrizione contemporanea dei linfatici all’interno del Sistema Nervoso Centrale segna una pietra miliare nella storia della neurologia, dell’apprendimento e dello studio della storia della medicina. In particolare l’esplorazione diretta dei testi originali, aiuterà la comunità scientifica ad apprezzare ulteriormente le scoperte moderne e spianare la strada alle future scoperte biomediche».
L’Uncaria tomentosa (unghia di gatto), una pianta della foresta pluviale amazzonica, sarebbe in grado di rallentare il decadimento cognitivo e della memoria nell’anziano e, addirittura, di contrastare la formazione di “placche e grovigli” che sarebbero alla base dell’Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato dai Scientific Reports della rivista “Nature” e informa inoltre che negli Stati Uniti è già disponibile un prodotto il cui nome commerciale è “Percepta”, contenente sia l’estratto vegetale titolato di Uncaria in combinazione con uno specifico estratto di tè oolong.
del cervello. Al riguardo, gli autori dello studio scrivono: «
Sabato 6 aprile prossimo si terrà a Roma il sesto congresso di “Medicina biointegrata” e la relazione che mi è stata assegnata riguarderà il tema della resilienza. Con il coblogger Pierangelo Garzia ed il giornalista scientifico Edoardo Rosati, nel 2012 abbiamo pubblicato un libro dal titolo Guarire con la nuova medicina integrata edito da Sperling & Kupfer. Protagonista di questo libro era un mio paziente che a 36 anni si ammalò di tumore alla pleura con prognosi assai severa di pochi anni di vita. Dopo chemioterapia, chirurgia radicale con asportazione di un polmone e radioterapia post operatoria, sapendo, per mia esperienza, che la malattia prima o poi sarebbe ritornata mi sono affiancato a lui sviluppando a 360° un percorso di medicina integrata tradotto poi nel libro prima citato.
Sabato 23 marzo, nella sessione “PNEI e matrice connettivale. Il volto moderno della fisiopatologia in tema di nutrizione” coordinata da Maria Corgna, all’interno del congresso “Spazio Nutrizione. La filiera della sana nutrizione” presso il Mariott Hotel di Milano, terrò una relazione dal titolo “La nascita del cervello e l’importanza della nutrizione nei primi anni di vita”.
Gli UFO non sono più quelli di una volta. Qualcosa sta cambiando. Gli UFO sono diventati psichici. Sono diventati una categoria della mente. Sono entrati di diritto nella cultura. E neppure quella pop. Ma bensì cultura, storia e psicologia degli UFO. Sono sempre più i ricercatori e gli accademici ad occuparsene. Segno che non è più materia da ridicolizzare. Citiamo solo due casi recenti. Il dotto, documentato e analitico saggio dell’ingegnere e psicologo clinico Riccardo Gramantieri dal titolo Fenomeno UFO. Science and fiction (1947-1961) uscito da Mimesis e American Cosmic: UFOs, Religion, Technology (Oxford University Press) di Diana Walsh Pasulka.
Walsh Pasulka mostra come da una parte quella degli UFO sia diventata una sorta di “nuova religione” del secondo e terzo millennio, ma non sia affatto uno stimolo mentale da “alienati”, anzi. Molti dei nuovi promotori, inventori e imprenditori delle nuove tecnologie, nonché registi, artisti e musicisti, ne sono stati e ne sono ispirati. Per fare cosa? Per inventarsi il futuro. Per immaginare un avvenire cosmico. Per sperare nella fratellanza cosmica. Diana Walsh Pasulka ha condotto una vera e propria, serrata inchiesta sul campo, dal deserto del New Mexico alla Silicon Valley, dall’Archivio Segreto Vaticano agli osservatori spaziali.