Ibernazione. Vite sospese nel freddo. Ci vengono subito alla mente sequenze di film e telefilm di fantascienza, con quei corpi in viaggio verso mondi lontani sigillati dentro capsule ibernanti. In attesa di risvegliarsi da un sonno gelido. Un po’ come gli animali che vanno in letargo. Oppure, immagini reali ma sempre proiettate verso un futuro indefinito e per ora improbabile, di corpi malati, malmessi, destinati alla fine biologica, fattisi ibernare, dietro lauti compensi, nella speranza di essere risvegliati chissà quando e soprattutto come, nel momento in cui venissero scoperti rimedi e cure adeguati.
Questo per quanto riguarda il fantastico e il remoto probabile. La realtà è invece che la cura del freddo, la crioterapia, è già oggi una possibilità. Tanto che Matteo Cerri, medico e dottore di ricerca in neurofisiologia al Dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna, le ha dedicato un intero libro: “La cura del freddo. Come uno spietato killer naturale può diventare una risorsa per il futuro” (Einaudi).
Se per l’uomo la vita è calore, la morte è associata al freddo. Corpo caldo. Corpo freddo. Ma è possibile una via di mezzo? Usare la giusta gradazione di freddo per stimolare reazioni diverse del nostro corpo? Sappiamo che il freddo può essere utile in certe manifestazioni dolorose. Potrebbe esserlo, ad esempio nella attività sportiva, per stimolare il metabolismo, oppure in condizioni patologiche come l’obesità, le malattie infiammatorie e reumatiche, magari in certi tipi di tumore? Tra i numerosi temi che Matteo Cerri tratta nel suo libro, sempre in forma avvincente e chiara, non manca il tema del cancro.
“L’imperatore del male”, come lo ha efficacemente definito in un famoso saggio l’oncologo Siddhartha Mukherjee, è stato studiato molto poco in rapporto al freddo, ci ricorda Cerri. Eppure, anche se in passato sono stati fatti tentativi in tale senso, senza ottenere l’eliminazione della forma tumorale, esponendole a temperature basse «le cellule neoplastiche diventano più sensibili all’azione dei farmaci chemioterapici durante questa fase». E siccome i tumori sviluppano resistenza ai farmaci, un po’ come accade nel rapporto tra batteri e antibiotici, «se il trattamento potesse essere condotto quando la replicazione cellulare non sta avvenendo, il rischio di insorgenza di cloni cellulari farmacoresistenti potrebbe diminuire di molto».
Insomma, il bel libro di Matteo
Cerri ci ha talmente incuriosito e stimolato tutta una serie di riflessioni che abbiamo deciso di fargli qualche domanda.
Com’è nata l’idea di occuparti di “criofisiologia” e crioterapia?
Mi ha sempre appassionato il funzionamento del corpo umano. Ho iniziato la mia carriera di ricercatore dedicandomi alla termoregolazione, ossia alla capacità che abbiamo noi, come tutti i mammiferi, di mantenere la nostra temperatura corporea costante. Negli Stati Uniti lavoravo alla ricerca di un metodo per poter attivare la termoregolazione, ed in particolare la termogenesi, ossia la capacità di produrre più calore, come mezzo per aumentare il metabolismo e quindi far perdere peso alle persone obese. Questo principio è quello che ha poi portato allo sviluppo della crioterapia, ossia a sfruttare la risposta che l’organismo mette in moto quando esposto al freddo, come mezzo per migliorare una prestazione sportiva o, più semplicemente, il proprio benessere.
Mi sono poi interessato alla possibilità opposta, ossia quella di capire come faccia il cervello a regolare il metabolismo umano nella speranza di poterlo ridurre, inducendo quindi una condizioni come quella dell’ibernazione/torpore. L’ibernazione/torpore, conosciuta anche gergalmente come letargo, è una condizione che consente ad animali come l’orso, il criceto o lo scoiattoli, di entrare in una sorta di stand-by, rallentando lo scorrere del tempo biologico. Da lì, mi sono dedicato allo studio di alcuni aspetti della crionica, per capire come eventualmente spingere ancora più in là questo tipo di studi.
Pare stia per esplodere anche la noi la moda del cosiddetto “workout a freddo”, anche con palestre dedicate (quantomeno risparmiano sul riscaldamento): che ne pensi?
L’uso della crioterapia prima di una prestazione sportiva consente all’atleta una prestazione maggiore. Questo perché il nostro cervello è molto sensibile al calore, e quando si scalda oltre un certo limite a causa del lavoro fisico, ci blocca nel proseguire la nostra attività. Partendo da una temperatura più bassa, possiamo quindi compiere uno sforzo maggiore. Bisogna stare però attenti che i muscoli non si raffreddino troppo, perché anche il tessuto muscolare ha bisogno di una temperatura ottimale per funzionare al meglio.
L’ infiammazione, di cui parli anche nel tuo libro, è un’arma a doppio taglio: da una parte ci è indispensabile, dall’altra ci danneggia. In quali casi la crioterapia è utile ed efficace?
L’utilità della crioterapia nel trattamento di sintomatologie infiammatorie non è ancora chiaramente dimostrato. Ci sono però dei dati che rendono questa ipotesi ragionevole. Principalmente, l’azione anti-infiammatoria potrebbe essere causata dall’attivazione del sistema nervoso simpatico, fra le cui azione vi è la soppressione della risposta infiammatoria. Se questo possa avere efficacia terapeutica in casi di sindromi infiammatorie conclamate è ancora dubbio; nella persona sana però, l’abbassamento dei normali indici infiammatori potrebbe portare a qualche giovamento nel lungo termine. Come già detto, però, l’efficacia clinica è ancora da dimostrare con certezza.
Nel tuo libro parli anche del ruolo dei mitocondri: quanto e come sono influenzati dalla “ipotermia terapeutica”?
I mitocondri sono la centrale termica ed energetica della cellula. Un recente ed affascinante esperimento ha mostrato che la loro temperatura durante il funzionamento è di circa 50°C. L’ipotermia terapeutica oggi viene usata per sfruttare la capacità del freddo di rallentare l’attività dei mitocondri, facendo loro produrre meno calore e meno energia. Poiché il freddo riduce anche il fabbisogno d’energia delle cellule, l’ipotermia terapeutica mira a proteggere i tessuti che si trovano in crisi di approvvigionamento di energie, come il cervello durante un arresto cardiaco.
Quali ulteriori sviluppi si prevedono, tecnologici e applicativi, per la crioterapia?
Esiste una branca nuova della farmacologia, che si chiama termofarmacologia, che studia come ingannare il cervello, facendogli credere che sia freddo (o caldo), per innescare le adeguate risposte fisiologiche senza necessariamente esporsi al freddo/caldo. Questo tipo di farmaci, che sono in gran parte per uso cutaneo, potrà essere associato a tute intelligenti, in grado di adattare la temperatura dei diversi distretti nel nostro corpo al fabbisogno del corpo. Questo tipo di equipaggiamento, consentirà prestazioni sportive e lavorative più prolungate senza perdere efficacia.
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L’obesità porta con sé conseguenze multiple, su diversi organi e apparati. Sono ben note le difficoltà e le vere e proprie patologie respiratorie da cui sono interessate le persone affette da sovrappeso e obesità. Ma quali sono le vere cause?
Il cervello gioca un ruolo nei processi di invecchiamento? Può sembrare una domanda retorica, dato che tutti i medici pratici constatano nei loro pazienti quando le malattie neurodegenerative, ma pure i traumi e i danni al cervello, ad esempio un ictus, sembrino accelerare l’invecchiamento dei loro pazienti. E, ancora, se il cervello è il “direttore d’orchestra” delle intere funzioni del nostro corpo, deve per forza avere anche un ruolo nell’invecchiamento. Ma come, in che modo? Fino ad oggi sono prevalse le indicazioni empiriche: tieni sempre in attività il cervello, allena la memoria, impara una nuova lingua, fai le parole crociate, svolgi compiti sempre nuovi, viaggia, intessi relazioni, pratica la meditazione. Tuttavia, fino ad oggi non disponevamo di una prova sperimentale di quanto il cervello e in particolare l’attività dei neuroni possa influenzare l’invecchiamento.
L’isteria non è una malattia psicologica come insegnavano Pierre Marie Félix Janet (nato a Parigi nel 1859 e deceduto nel 1947) alla Facoltà di Medicina a Nancy e Jean Martin Charcot (nato a Parigi nel 1825 e deceduto a Niévre nel 1893) alla Salpetrière di Parigi frequentate da Sigmund Freud che disponeva di una borsa di studio. Nei soggetti isterici predominano l’iperemotività e la costante ricerca di attenzione tramite un approccio impressionistico ed un atteggiamento superficiale verso la realtà esterna che trascura i particolari ritenuti insignificanti. Incapaci di concentrazione prolungata questi pazienti prediligono attività intuitive piuttosto che cognitive. Appaiono seduttivi anche inconsapevolmente essendo in grado talvolta di intrattenere relazioni interpersonali stabili e profonde.
Marco Papagni è un giovane collega che mi ha invitato a presentare una relazione sul tema della PNEI al convegno “Agorà 2019. 21° Congresso Internazionale di Medicina Estetica” che si terrà a Milano dal 10 al 12 ottobre al Milan Marriott Hotel.