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Emozioni, cuore e cervello (terza parte)

BrokenQuando a una persona diciamo “non ti arrabbiare, ti fa male al cuore!”, oggi siamo sostenuti non soltanto dalle constatazioni popolari, ma pure dalla ricerca. Un recente studio australiano rileva che un attacco di rabbia, ma pure un intenso stato d’ansia, in soggetti con occlusione coronarica, possono mettere a rischio di infarto fino a due ore successive all’evento emotivo acuto. Le forti emozioni, soprattutto rabbia e attacchi d’ansia, dicono gli autori di questa ricerca, si accompagnano a una biochimica che dal cervello, attraverso il sistema nervoso periferico, può influenzare direttamente il cuore.

Al punto tale da potersi definire l’evento emotivo acuto come un “trigger” che innesca la reazione cardiaca avversa. Questa la notizia negativa. Quella positiva: possiamo educare la nostra mente e i nostri comportamenti, soprattutto se soffriamo di cuore. Possiamo agire a posteriori, quanto prima possibile, anche farmacologicamente, nel malaugurato caso di un litigio, una potente arrabbiatura, soprattutto in famiglia o al lavoro. Circostanze in cui, dicono i ricercatori, sono stati rilevati gli attacchi emozionali più violenti e deleteri (“mi sentivo molto arrabbiato, il corpo era teso, stringevo i denti ed i pugni”). Ecco che allora, quando si profila una violenta litigata tra partner, o tra colleghi di lavoro, e uno dei due gira i tacchi e se ne allontana, a prima vista può apparire una fuga, ma dal punto di vista di cuore e cervello, la manifestazione di un istinto di sopravvivenza.

E’ come se il cuore e le vie di diffusione del sangue, valvole cardiache e arterie, si restringessero sotto l’influsso delle emozioni distruttive. In particolare della rabbia e di quelle emozioni che, protratte nel tempo, la generano: gelosia, ostilità, rancore, collera. Ancora una volta gli assunti popolari avevano colto nel segno: “hai il cuore di pietra”, “il tuo cuore è chiuso”, “hai un cuore nero”. E oggi la scienza è sempre più sulla via non solo di dimostrarlo, ma anche di proporre rimedi. Magari mediandoli dalle sempiterne tecniche di meditazione orientali, come la respirazione lenta, già suggerita da numerosi cardiologi ai propri pazienti ipertesi e cardiopatici. Tutto ciò si riconduce a un concetto che è clinico, ma suona pure poetico: “coerenza cardiaca” o “coerenza psicofisiologica”.

E’ quando mente e corpo sono in armonia, ci sentiamo in pace con noi stessi, il cuore ha un battito regolare, neanche lo avvertiamo. Se registrassimo l’attività elettrica del cervello con un encefalogramma, le onde cerebrali sarebbero alfa e beta. Condizione per cui, spiegano gli studiosi, l’attività cerebrale si sicronizza con il ciclo cardiaco. Insomma, cuore e cervello suonano assieme la stessa armonia. Le cose si invertono quando siamo preda di emozioni distruttive. La coerenza psicofisiologica salta, e il cuore ne risente. Se le emozioni negative sono croniche e protratte troppo a lungo nel tempo, i rischi per il cuore aumentano. Senza bisogno di tanti strumenti di controllo, ognuno di noi sa che in preda alla rabbia non si sta bene. C’è una sensazione di tensione muscolare. Il cuore batte più forte. Ci sentiamo il volto infuocato.

Tutto ciò corrisponde ad alterazioni psicofisiologiche: aumentano ritmo respiratorio, frequenza cardiaca e tensione arteriosa. E fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, tutta una serie di studi epidemiologici hanno mostrato un rischio più alto di incidenti cardiovascolari nelle persone abitualmente colleriche. Una esplosione di collera non solo può guastare irrimediabilmente i rapporti, ma anche le fibre del nostro corpo. Ed ecco che i cardiologi hanno cominciato a suggerire ai loro pazienti: “cerchi di non prendersela, di non arrabbiarsi troppo”. Non è possibile eliminarla del tutto: la collera è una reazione primordiale, iscritta nel nostre cellule. Però tra reprimere la rabbia e lasciarla esplodere in modo incontrollato, esiste una sana via di mezzo. E’ utile allenarsi: tante piccole prove di collera per arrivare, quando necessita, a non esserne accecati. E lasciando così cuore e cervello un po’ più freddini, ma “coerenti”.

Da secoli il pensiero buddista indica le emozioni distruttive (rabbia, odio, ostilità) come ostacolo non solo all’evoluzione della coscienza personale e delle relazioni umane, ma anche deleterie per la salute del nostro corpo. Alla base di un buon rapporto con noi stessi e gli altri il buddismo indica la necessità di un addestramento mentale per padroneggiare l’espressione e l’intensità delle emozioni tossiche. Le varie scuole di psicoterapia prima e le neuroscienze poi – nonché cardiologia e medicina internistica sul ruolo delle emozioni distruttive nella genesi delle cardiopatie ischemiche -, non fanno che confermare certi assunti del percorso buddista. Tanto che dall’incontro tra il Dalai Lama, massima autorità del buddismo tibetano, e un gruppo di neuroscienziati, più di vent’anni fa, nacque il Mind and Life Institute con lo scopo di mettere a confronto, durante una serie di incontri annuali, scoperte empiriche della pratica buddista e acquisizioni della ricerca sui rapporti mente-cervello.

Non c’è dubbio che, alla lunga, medicina e psicologia abbiano tenuto conto pure di certi Triggering of acute coronary_OKstudi, un tempo considerati più affini alla new age che non alla scienza. Dalle pratiche di meditazione e dalla respirazione yoga sono emerse alcune “applicazioni” pratiche, consone alla vita di noi occidentali. La respirazione lenta, ad esempio, viene spesso suggerita dai cardiologi per ridurre l’impatto delle emozioni negative (angoscia e collera) su cuore e sistema  cardiovascolare. Consiste nel respirare in modo superficiale e lento, due volte al giorno per due settimane, finché ci si abitua alla pratica. Dieci minuti di respirazione addominale  lenta (impiegando almeno tre secondi per inspirare e almeno sei per espirare). Lo scopo finale è quello di adottare, appena sorge una emozione dirompente o uno stato di tensione, una respirazione lenta e superficiale (in particolare una espirazione lenta, come se si avesse davanti alla bocca una candela che deve restare accesa). Con impegno e costanza nella pratica, sembra che i risultati siano garantiti.

Buckley T, Hoo SY, Fethney J, Shaw E, Hanson PS, Tofler GH, Triggering of acute coronary occlusion by episodes of anger, Eur Heart J Acute Cardiovasc Care. 2015 Feb 23.

Episodes of intense anger associated with high risk of heart attack within the next two hours

2 Risposte

  1. gentile Pierangelo Garzia, che piacere leggere i suoi post, lei riesce ad amalgamare scienza e intuizione con grande intelligenza. Noi abbiamo fatto esperienza di ricerca clinica negli ultimi trent’anni sul rapporto mente corpo e linguaggio nelle malattie gravi e la connessione tra emozione e stato di salute è evidente sia nella genesi del disturbo che nel trattamento di questo. Nell’esperienza delle neoplasia , malattie degenerative abbiamo rilevato l’impatto catastrofico che sulla salute ha l’emozione del risentimento. Abbiamo riscontrato che il permanere di quest’emozione blocca notevolmente l’azione delle prescrizione terapeutiche e viceversa, la risoluzione dell’emozione distruttiva apre a risposte immunologiche adeguate. Sappiamo ormai che la tenerezza , la tristezza (non depressione!) e tutte le emozioni che legittimano l’altro sono di vitale importanza per i processi di risanamento. La tossicità emotiva distrae il nostro io biologico, il sistema immunitario dalle sue funzioni di vigilanza e confonde i termini della vita di relazione dove si elabora la propria identità.
    Proprio come corollario del nostro percorso di ricerca proponiamo, attraverso l’Associazione Our Common Emotions, la legittimazione della sostenibilità emozionale come diritto umano, da incorporare alla dichiarazione Universale dei Diritti Umani entro il 2048 anno in cui si celebra il centenario della Dichiarazione Universale proclamata dall’Assamblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.

  2. Grazie Anna Condorelli, mi fa molto piacere trovi corrispondenza con quanto scrivo. Conosco ovviamente la sua attività e i suoi studi, oltre che per il sodalizio con Enzo Soresi, per avere partecipato al primo incontro pubblico di Our Common Emotions. Questo tipo di conoscenze attendevano di diffondersi e di essere messe in comune, non soltanto nella pratica terapeutica ma anche, e soprattutto, nella vita di tutti giorni.

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