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Mummia aliena non dallo spazio ma da geni difettosi


Mummia_01_OK.jpgScheletro umanoide. Mummia aliena. Sono sempre state queste la definizioni dell’esserino dal cranio allungato a forma di cono e dalle orbite oculari oblique, come una delle classiche rappresentazioni extraterrestri, trovato nel deserto cileno di Atacama nel 2003. Acquistato da un collezionista spagnolo, lo scheletrino mummificato della lunghezza di quindici centimetri ha scatenato le fantasie e le illazioni della presenza aliena sul nostro pianeta. Tanto da diventare oggetto di numerosi servizi tv, giornalistici e persino di un documentario (“Sirius” di Steven Greer). Non disponendo di dati scientifici sulla datazione dello scheletrino umanoide, qualcuno si è pure spinto a parlare dei soliti “antichi astronauti”. Di possibili incroci, ibridazioni tra terrestri e alieni, di cui lo scheletrino ora forniva l’evidente prova. Purtroppo, la storia è molto meno affascinante e, anzi, più mesta e triste. La scienza dà crude certezze a spese, a volte, della fantasia più sfrenata.

“Ata”, questo il nome dato al misterioso esserino (dal luogo di ritrovamento), era umano. Anzi, umana. Si tratta infatti dello scheletro minuscolo di una bambina. Di una apparente età tra i sei e gli otto anni, desumibili dalle caratteristiche ossee. Deceduta, si presume, quaranta anni prima del ritrovamento. Con altre anomalie, oltre alle dimensioni. Ad esempio dieci paia di costole invece delle normali dodici. Trovata a La Noria, una vecchia città mineraria di nitrati, avvolta, si narra, in un panno bianco legato con un nastro viola. Tra le tante fantasiose definizioni divenne nota anche come lo “strano essere di La Noira”. E di fantasia in fantasia, di illazione in illazione, la storia del misterioso essere “umanoide” (per molti sinonimo di “alieno”) si è diffusa in modo planetario, nell’era delle notizie e delle condivisioni in rete.

Fino al giorno in cui Garry Nolan, professore di microbiologia e immunologia alla Stanford University in California, si offrì di studiare gli strani resti. Cinque anni fa la sentenza: lo scheletrino era umano, seppure rimanevano ignote le ragioni delle anomalie strutturali e delle ridotte dimensioni.  Per progredire nella comprensione dell’apparente mistero alieno, si è quindi proceduto al sequenziamento dell’intero patrimonio genetico, il genoma, dello scheletrino. Giungendo alla conclusione che la displasia, l’alterazione complessiva dello scheletrino, era stata causata da una alterazione genetica multipla.

I risultati, pubblicati ora su Genome Research portano gli autori della ricerca a dire: «Presentiamo qui l’analisi dettagliata del genoma completo che mostra che Ata è una femmina di origine umana, probabilmente di origine cilena, e il suo genoma ospita mutazioni nei geni (COL1A1, COL2A1, KMT2D, FLNB, ATR, TRIP11, PCNT) precedentemente collegati a malattie di bassa statura, anomalie delle costole, malformazioni craniche, fusione prematura delle articolazioni e osteocondrodisplasia (nota anche come displasia scheletrica). Insieme, questi risultati forniscono una caratterizzazione molecolare del fenotipo peculiare di Ata, che probabilmente deriva da più mutazioni genetiche putative note e nuove che influenzano lo sviluppo osseo e l’ossificazione». Probabilmente Ata è morta prima di nascere o subito dopo la nascita. Impossibilitata a nutrirsi, oggi Ata sarebbe finita subito in una unità di terapia intensiva neonatale, cosa non possibile nel luogo e negli anni in cui avvenne la sua tragica nascita. Mummia_02_0KNon è arrivata a bordo di un Ufo Ata, e neppure è stata generata incrociando il Dna alieno con quello terrestre, ma ora ha una sorta di identità e, secondo i ricercatori, rappresenta una straordinaria storia genetica. Che magari sarà pure utile alla medicina, per studiare le malformazioni ossee di origine genetica. Ma se pensate che la storia si chiuda con questo meritevole lavoro scientifico, vi sbagliate di grosso: salteranno fuori complottisti a dire che i dati sono stati alterati, falsati, proprio per non dirci la verità della presenza aliena sulla Terra. Anche perché se uno come Steven Greer ammettesse una cosa simile, sarebbe sputtanato a vita come ufologo e come documentarista.

Bhattacharya S, Li J, Sockell A, Kan M, Bava F, Chen, S, Ávila-Arcos M, Ji X, Smith E, Asadi N, Lachman R, Lam H, Bustamante C, Butte A, Nolan G. 2018. Whole genome sequencing of Atacama skeleton shows novel mutations linked with dysplasia. Genome Researchdx.doi.org/10.1101/gr.223693.117

The Atacama Humanoid (Steven Greer) 

Enzo Soresi: longevità e coccole


ColloleQualche giorno fa, su questo stesso blog, avevo riassunto i tre marker di buona qualità di vita e longevità emersi da un convegno scientifico, di grande risonanza, tenutosi a Padova il 21 febbraio scorso nell’aula magna dell’Università. Dieta mediterranea a basso  indice glicemico , restrizione calorica moderata, fitness adeguato non stressogeno!

Domenica 18 marzo , sul Corriere della Sera , a firma di Giuseppe Remuzzi, medico illuminato, troviamo un articolo dal titolo “Perché l’amore conta più del colesterolo”. In questo articolo Remuzzi riassume uno studio iniziato nel  lontano 1938 presso l’Università di Harvard in cui  è stata monitorata  la salute di 268 studenti al secondo anno di Università , per valutare cosa aiuti a condurre una vita sana e felice. In 80 anni è stata raccolta una moltitudine di dati sulla salute fisica e mentale dei partecipanti allo studio. Le conclusioni dello studio “Grant”,  tutt’ora in corso sono che il segreto per vivere e invecchiare  bene ,  risiede nei forti legami affettivi , in famiglia e fuori. Insomma è l’amore a farti vivere bene inoltre è emerso che l’educazione è piu’ importante dei soldi e dello stato sociale. La solitudine uccide , scrive Remuzzi  e uno dei ricercatori , George Vaillant , sottolinea che non basta essere brillanti ma è meglio essere innamorati  o comunque avere relazioni affettive forti in famiglia e fuori con padre , madre , fratelli , sorelle , cugini ,  amici ed animali di compagnia  aggiungo io. Questi  legami sono più importanti dei livelli di colesterolo e dei valori della pressione.

Ricordo a questo proposito un aneddoto letto molti anni fa,  in cui si citava uno studio effettuato  sui conigli per valutare il livello di colesterolo dopo una alimentazione carica di grassi saturi. Un gruppo di questi conigli , nonostante il carico alimentare ,  manteneva sempre livelli di colesterolo normali. Il motivo fu scoperto da un ricercatore il quale  si accorse che i conigli con normali valori di colesterolo  si trovavano all’ingresso dello stabulario e venivano costantemente accarezzati da coloro che  entravano.  Come scrissi quindi io anni , fa durante una intervista di una giornalista sul mio libro “Il cervello anarchico”,  l’importanza della nostra salute sta nelle coccole !

Enzo Soresi: io e il metodo Simonton


Simonton_8184993_3041369Qualche giorno fa, con una presentazione molto ristretta , presso un bistrot milanese , Cornelia Kaspar, allieva del dr. Simonton e sua collaboratrice , ha presentato la  sua traduzione italiana del libro dei coniugi  Simonton, edita da Feltrinelli. Personalmente ho avuto l’onore ed il piacere di scrivere l’introduzione a questo libro raccontando come negli anni ’80  venni a conoscenza di questa originale tecnica di supporto al malato neoplastico,  in maniera molto singolare.

“Anni ’80 , ospedale Ca’Granda di Niguarda , Milano. Ero montato di guardia pomeridiana presso il reparto di pneumologia e mi trovavo impegnato nella valutazione dei protocolli terapeutici di oncologia polmonare , quando sentii bussare con energia alla porta dello studio. Aperta la porta mi trovai di fronte un uomo alto , sulla quarantina , avvolto  in uno scuro tabarro ,  che si qualifico come un sociologo cileno di nome Simon Glodstein. Dopo avermi chiesto la disponibilità di almeno un’ora del mio tempo , mi disse che lui , da anni , si era impegnato nel sostegno dei malati neoplastici , lavorando sul loro supporto psicologico , analogamente alle esperienze dei coniugi Simonton. Il motivo della richiesta di consulenza era legato alla mia esperienza sulle neoplasie polmonari ed al fatto che lui , da circa due anni , stava tenendo in vita , a suo dire , con questo tipo di supporto terapeutico , il suocero , portatore di un cancro del polmone inoperabile.  Con estrema accuratezza ricostruii il caso clinico , con tutte le radiografie che Goldstein mi aveva portato. In quegli anni non esistevaancora kla TAC polmonare  e quindi la valutazione radiologica della rispostaai trattamenti terapeutici era più complessa . Effettivamente il paziente in oggetto aveva un tempo di sopravvivenza , riferito ai pazienti affetti da tumore polmonare inoperabile  ed  in trattamento chemioterapico , superiore alla media di almeno tre volte. Le “ cas de cases “  dicono i francesi , nel senso che un caso clinico da solo , non può essere preso in considerazione quando si affronta una verità scientifica.”

Fu in questo modo che venni a conoscenza del metodo elaborato da Carl Simonton e sua moglie per potenziare gli effetti della radio e chemioterapia nei malati neoplastici educandoli in fondo al potenziamento dell’effetto placebo ed a  motivarsi ad una migliore e maggiore sopravvivenza , anche di fronte ad una difficile o impossibile guarigione. Dagli anni ’80 grazie a Simon Goldstein, ho potuto ottenere con alcuni pazienti a lui affidati,  risultati insperati e comunque sempre un aiuto concreto a fare  convivere  meglio i pazienti a lui affidati  con la propria malattia,  indipendentemente dalla sua evoluzione. In anni recenti poi ho conosciuto una persona altrettanto valida , Elena Canavese ,  formatasi alla scuola di Cornelia Kaspar , allieva e collaboratrice dei Simonton . In fondo per un medico oncologo avere la possibilità di aiutare pazienti  critici in senso psicologico o semplicemente più fragili nell’affrontare le terapie ,  rappresenta un notevole aiuto a livello professionale che purtroppo a tutt’oggi non è possibile fornire a livello istituzionale se non in alcune strutture. Il libro , come scrive il dr. Laffranchi nellasua introduzione “offre utili spunti per affrontare il rapporto con altre persone e con le difficoltà della vita , indipendentemente dalle malattie “.