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“Siamo tutti di fronte a tempi difficili”: la corrispondenza Freud-Ossipov


JapaCoverUn bell’articolo di Galina Hristeva (Lecturer in German Literature, University of Stuttgart; Research Associate, American Psychoanalytic Association) sul numero di giugno del Journal of the American Psychoanalytic Association analizza la corrispondenza tra Sigmund Freud e Nikolay Y. Ossipov, lo psicoanalista russo fuggito dal bolscevismo sovietico e rifugiatosi a Praga.

La corrispondenza Freud-Ossipov venne pubblicata per la prima volta in Germania nel 2009. Anche in questo caso Freud sorprende per la potenza creativa dei suoi scritti, per l’impegno profuso anche nello scrivere lettere non solo ai colleghi, ma a tutti gli uomini e le donne di pensiero che si accostavano alla psicoanalisi. In questa corrispondenza i temi forti sono la libertà della scienza e il ruolo dell’individuo rispetto alle masse e ai fatti storici tendenti ad annullare il ruolo e la libertà – ideativa, creativa, espressiva – del singolo.

Questa corrispondenza ha un grosso valore storico, sia per come giunse la psicoanalisi in Russia, sia per la figura di Nikolay Y. Ossipov. Prima di dedicarsi alla psicoanalisi, Ossipov studiò medicina, fu allievo e venne fortemente influenzato dalle idee sulla dignità da restituire ai malati di follia del celebre neurologo e psichiatra Sergej Sergeevič Korsakov (suo l’inquadramento clinico, da cui l’eponimo, della Sindrome di Korsakov).

“La vita di Ossipov come emigrato russo a Praga è uno dei temi centrali nella sua corrispondenza con Freud. Nonostante le difficoltà dell’esilio, Ossipov esercitò una forte influenza sullo sviluppo non solo della psicoanalisi in Russia, ma anche nella Repubblica Ceca”.A DREAM OF FREEDOM_Freud_06_13_OK

Uno dei punti cardine di Ossipov, fuggendo dall’esperienza totalitarista, è il rapporto tra l’individuo, l’ego e le masse (da qui il suo concetto di “cooperative complexity”). Tema ancora oggi fondamentale, se analizziamo quanto accade in Europa e in Occidente in generale. Ma tutta questa corrispondenza Freud-Ossipov è permeata delle caratteristiche umane profonde che ritornano, pur cambiando i tempi, i mezzi e le circostanze. La consapevolezza e saggezza tutte freudiane secondo cui le spinte profonde che muovono l’uomo sono e rimangono tali attraverso lo scorrere dei secoli. Occorre prenderne atto e far crescere la conoscenza vera, profonda, scevra da illusioni e ipocrisie, di se stessi e dei nostri simili.

“Nel punto di intersezione tra scienza, politica e l’integrità morale e personale, come rivelato nella corrispondenza, Freud incoraggia Ossipov: «Siamo tutti di fronte a tempi difficili. Bisogna essere più forti di quello che siamo»”.

Fonti

Hristeva G.,  A dream of freedom: the correspondence of sigmund freud and nikolay y. Ossipov 1921-1929,J Am Psychoanal Assoc. 2013 Jun;61(3):511-25.  

Serve ancora la psicoanalisi? Ovvero: l’inconscio costa


Ho conosciuto, frequentato e intervistato grandi psicoanalisti, addirittura “padri” della disciplina nel nostro paese, come Cesare Musatti ed Emilio Servadio. Ed altri della generazione successiva, come Mauro Mancia, e pure critici nei confronti dell’establishment psicoanalitico, come Elvio Fachinelli. L’impressione che ne ho ricavato è stata di trovarmi di fronte a personaggi di grande intelligenza, sensibilità, preparazione, apertura mentale. Intenzionati ad esplorare non soltanto il disagio metale, ma pure le infinite variazioni che cultura, creatività, espressione artistica, offrono alla comprensione della psiche umana. Ma tuttavia consapevoli di rappresentare una disciplina che si propone come chiave di intepretazione della psiche, della personalità e dell’agire umano, costantemente in divenire.

Ho conosciuto persino demolitori della psicoanalisi, come Hans Eysenck, uno dei fondatori della psicologia comportamentale che, ai gloriosi lunedì letterari che un tempo si svolgevano al Piccolo Teatro di via Rovello a Milano, tenne una conferenza dal titolo fin troppo esplicito: “declino e caduta dell’impero freudiano”. Eysenck che era tra l’altro dotato di fine umorismo british, negava totalmente l’esistenza di ciò che viene  definito “inconscio”. Quando gli chiesi: “E allora i sogni?”. Mi rispose con un sorriso tra l’ironico e il sarcastico: “Non hanno alcun significato”.

Ho incontrato pure James Hillman e concordo in parte con lui: cento anni di psicoanalisi e il mondo va sempre peggio. In parte, perché forse, senza psicoanalisi, sarebbe andato ulteriormente peggio.

La psicologia comportamentale è stata una “deriva” necessaria del secolo scorso. Aveva necessità e urgenza di affrancarsi dall’influenza della filosofia (non dimetichiamo che in passato non vi era alcuna differenza tra psicologia e filosofia). Doveva diventare pienamente scientifica e sperimentale. Accantonando, per un certo periodo, tutto ciò che era reame “interiore”. Questa scissione schizoide – oggi possiamo storicamente affermarlo – è stata in parte compensata dalla psicoanalisi freudiana. Ma anch’essa si trovò nella necessità di affermarsi sul piano rigorosamente scientifico, per quanto fosse possibile e, soprattutto, plausibile. C’era, come ebbe più volte ad affermare Freud, sempre il rischio che gli psicoanalisti fossero scambiati per studiosi di fenomeni “occulti” (interessi che del resto spopolavano tra gruppi di accademici e scienziati di fine Ottocento, inizi Novecento).

Il rigore della psicoanalisi feudiana, tuttavia, generò una ulteriore messa al bando di tutti quei fenomeni psichici che le teorie di Freud non erano in grado di interprerare. Da qui la scissione con Jung e la nascita di una ulteriore disciplina: la psicologia del profondo (o analitica). Di scissione in scissione o, se preferiamo, di moltiplicazione in moltiplicazione, siamo oggi giunti a svariate centinaia di diversi indirizzi psicoterapici (ne erano stati censiti più di 300 nei soli Stati Uniti, che incrementano di giorno in giorno – vale dunque la pena di attenersi alla regola: esistono tanti indirizzi psicoterapici quanti sono gli psicoterapeuti). Una ulteriore necessità storica è stata quella di voler legare la psicoanalisi alle scoperte delle neuroscienze – molto mitigata, per difficoltà oggettive, in questi ultimi anni. Penso che ricercare l’inconscio nel cervello, per certi versi sia simile a volerci scovare l’anima.

Trovo ulteriore conferma di quanto dico – progressivo distanziamento dall’entusiasmo iniziale sui rapporti tra psicoanalisi e neuroscienze –  dal XV Congresso nazionale della Società psicoanalitica italiana (Spi) che si conclude oggi a Taormina (Esplorazioni dell’inconscio: prospettive cliniche). Dal programma si desume un interesse preminente per gli aspetti più clinici e culturali della psicoanalisi, che non per le presunte dimostrazioni nell’ambito delle neuroscienze. Questi ultimi percorsi, mi pare di capire, hanno rischiato una ulteriore deriva della psicoanalisi: nel tentare di rintracciare i correlati neurologici dell’inconscio, si finisce magari col trascurare le ramificate e cangianti dinamiche del medesimo.

Che l’inconscio non sia fisso e inamovibile come quello concepito da Freud, lo conferma anche Stefano Bolognini, psichiatra, psicoanalista e presidente della Spi. Nell’intervista che ha rilasciato a Egle Santolini (“Nell’era dell’uomo catamarano”, La Stampa, 28 maggio 2010) afferma riguardo i pazienti che giungono in analisi: «Sempre più spesso, invece che i classici sintomi nevrotici, con i tradizionali comportamenti ossessivi o ansiosi, ci troviamo a fare i conti con un dolore sordo, poco strutturato, indefinito. Il fatto è che è l’inconscio ad essere mutato».

Ma, mi domando: se l’inconscio muta, ha ancora senso chiamarlo inconscio? E l’inconscio cambia, sicuramente, anche a seguito della crisi economica e sociale che ci attanaglia. Non auspico certo una “psicoanalisi popolare”, per mettere in analisi e “curare” l’intera società, come capitò di sentir dire in passato (e comunque uno psichiatra come Ronald Laing può oggi essere considerato profetico, per come seppe intuire e descrivere i guai mentali che avrebbe prodotto un certo tipo di cultura sociale e industriale).

Un trattamento psicoanalitico, un tempo distribuito su cinque volte la settimana, oggi viene “ridotto” a tre o quattro. I costi? Dai 40 agli 80 euro, a seduta. Avere un inconscio, costa. In tutti i sensi. Non passerà molto e qualcuno proporrà che, in tempi di crisi e siccome muta, conviene abolirlo. Oppure applicare una pesante tassa sull’inconscio. Per legge.