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L’Italia all’avanguardia nelle nuove tecnologie terapeutiche. Intervista a Giuseppe Riva

Inizia oggi il convegno mondiale sull’impiego delle nuove tecnologie (realtà virtuale, realtà aumentata, robotica) in ambito terapeutico che si sarebbe dovuto tenere a Milano l’anno scorso e rimandato per la pandemia. Tre giorni, da oggi a mercoledì 15,durante i quali i maggiori scienziati e ricercatori a livello internazionale si confronteranno sugli sviluppi presenti e futuri delle tecnologie terapeutiche. Lo faranno online, ma mantenendo la sede ideale a Milano.

Il futuro delle cure attraverso le nuove tecnologie sbarca in Italia. Inizia oggi in forma virtuale a Milano, nella sede di Piazzale Brescia dell’Istituto Auxologico Italiano, la 25esima edizione del congresso internazionale dell’ associazione internazionale di CyberPsicologia e Cyberterapia (I-Actor).

Il convegno mondiale, previsto inizialmente in presenza, si tiene da oggi a mercoledì 15 dopo essere stato rimandato di un anno a causa della pandemia. E, date le circostanze, è il periodo giusto per capire come le nuove tecnologie informatiche possono essere utili per prevenire e curare in presenza ma anche in remoto. Non solo, ma date le esperienze recenti, si parlerà anche delle conseguenze psicologiche e sociali, ad esempio, della didattica a distanza (Dad) e dello smart working.

Oltre 200 ricercatori da 30 paesi partecipano al congresso, che ogni anno presenta i risultati della ricerca internazionale. Ad aprire il convegno saranno il prof. Giuseppe Riva, professore ordinario di Psicologia Generale all’Università Cattolica di Milano, presidente dell’associazione di CyberPsicologia e Cyberterapia e direttore presso l’Istituto Auxologico dell’Applied Technology for Neuro-Psychology Lab con la prof. Brenda K. Wiederhold, editor della rivista scientifica “CyberPsychology, Behavior and Social Networking”.

La “cyberpsicologia” è un’area emergente delle scienze cognitive che studia l’impatto dell’uso delle tecnologie, in particolare quelle associate all’acquisizione e alla condivisione della conoscenza (psicotecnologie), sulla nostra mente. Parliamo di psicotecnologie per indicare tutte le tecnologie – l’alfabeto e la scrittura, la carta stampata, il telefono, la radio, la televisione, Internet e i social media e così via – che emulano, estendono o amplificano la capacità della nostra mente di acquisire, organizzare e comunicare nuove conoscenze.

In generale, ogni tecnologia quando viene appresa e usata efficacemente, struttura in modo nuovo i nostri processi cognitivi. Tuttavia, le psicotecnologie si differenziano dalle altre tecnologie perché a lungo termine sviluppano un nuovo “stato mentale”, che produce cambiamenti significativi sul modo di pensare e di comunicare delle persone. In altre parole, quando impariamo ad usare le psicotecnologie, e queste diventano parte della nostra esperienza quotidiana, il loro utilizzo ci cambia il modo di pensare, la percezione del mondo, e il modo di agire. Durante il convegno saranno presentati gli ultimi studi relativi all’impatto dei social media sui processi identitari e sociali.

Come sottolineato da un recente studio pubblicato dalla rivista scientifica dell’associazione (Surviving COVID-19: The Neuroscience of Smart Working and Distance Learning) l’uso della Dad influisce sul funzionamento dei neuroni GPS, dei neuroni specchio, dei neuroni di Von Economo e sulle oscillazioni neurali intercerebrali con un impatto significativo su molti processi identitari e cognitivi. In primo luogo, l’uso dei sistemi di videoconferenza genera la sensazione di essere “senza luogo” (placelessness) che ha un impatto diretto sulla nostra memoria episodica, sulla nostra identità personale e professionale e aumenta il rischio di burn-out. Inoltre, la mancanza di sintonizzazione intenzionale e la difficoltà nel prendere decisioni intuitive hanno un forte impatto anche sulla leadership e su tutte le attività di supporto e tutoraggio. Infine, l’impossibilità di utilizzare il contatto visivo e lo scambio di sguardi, i principali strumenti utilizzati per generare attenzione congiunta, riduce il coinvolgimento del gruppo, la performance collettiva e la creatività.

Con il termine “cyberterapia” (cybertherapy) ci si riferisce alle diverse forme di valutazione clinica e terapia che hanno nell’uso esperienziale dei nuovi media il principale strumento di intervento. La cyberterapia nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 grazie all’interesse e ai finanziamenti del Dipartimento della difesa USA. Sotto il coordinamento del DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, numerosi centri di ricerca hanno iniziato ad utilizzare la tecnologia per far apprendere al medico abilità motorie complesse come quelle richieste dalle operazioni chirurgiche o delle situazioni di emergenza.

Rispetto alla telemedicina, che usa le nuove tecnologie per fornire servizi sanitari a distanza, la cyberterapia impiega la tecnologia – in particolare realtà virtuale e realtà aumentata – per sostituire o aumentare l’esperienza del paziente. E quindi possibile, per esempio, permettere al paziente di vedere, sopra un tavolo reale del cibo virtuale in modo da aiutarlo a gestirne il desiderio (aumentazione dell’esperienza – realtà aumentata) o creare ambienti simulati in cui aiutare il paziente ad affrontare le proprie paure (sostituzione dell’esperienza – realtà virtuale) o stimolare i propri processi motori e cognitivi (riabilitazione).

La maggior parte delle ultime applicazioni della cyberterapia sono basate sulla realtà virtuale (RV), un ambiente tridimensionale generato dal computer in cui il soggetto o i soggetti interagiscono tra loro e con l’ambiente come se fossero realmente al suo interno.

Ma quali sono i vantaggi della realtà virtuale?

«In primo luogo, terapeuta, sia esso psicologo o medico, e paziente interagiscono tra loro», spiega il prof. Giuseppe Riva, «e con i diversi oggetti virtuali come se questi fossero davvero insieme a loro. Ciò consente di imparare attraverso l’esperienza diretta e in tempo reale dai risultati delle proprie azioni. In secondo luogo, è possibile ricreare ambienti complessi e situazioni specifiche. Questo permette non solo di imparare una tecnica ma anche di sperimentare emozioni, come paura e vergogna, e di imparare a controllarle grazie all’aiuto di un clinico».

Grazie al lavoro clinico portato avanti da alcuni Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) – Istituto Auxologico Italiano, Fondazione Santa Lucia, Fondazione Don Gnocchi – e al lavoro di ricerca svolto da alcune università – Università Cattolica, Università di Genova e Università di Padova – l’Italia gioca un ruolo centrale a livello europeo nel settore della cyberterapia. Gli ambiti applicativi riguardano prevalentemente la psicologia clinica – disturbi d’ansia, dipendenze, obesità e disturbi alimentari – e la riabilitazione, cognitiva e motoria. Durante il convegno saranno presentati gli ultimi trial clinici che mostrano l’efficacia della realtà virtuale come strumento di trattamento clinico.

Il Coronavirus non è solo un’emergenza sanitaria globale ma anche un forte stress psicologico che mette a dura prova la nostra identità e le nostre relazioni. Tuttavia, la realtà virtuale può darci una mano attraverso COVID Feel Good  (www.covidfeelgood.com) un’esperienza virtuale gratuita fruibile sul proprio cellulare, della durata di una settimana, realizzata dai ricercatori dell’Istituto Auxologico italiano in collaborazione con l’Università Cattolica, la società Become-Hub e una serie di università internazionali. La fruizione di una esperienza virtuale – Il Giardino Segreto, che simula la visita di un giardino Zen di cui l’utente è l’unico visitatore – è associata ad una serie di esercizi che consentono di riflettere sulla propria identità e sulle relazioni interpersonali. Come dimostrato da un recente studio scientifico (A Virtual Reality-Based Self-Help Intervention for Dealing with the Psychological Distress Associated with the COVID-19 Lockdown: An Effectiveness Study with a Two-Week Follow-Up) questa esperienza è in grado di ridurre significativamente i livelli di ansia e depressione generati dalla situazione di incertezza generata dalla pandemia.

«Fino ad oggi uno dei principali problemi per la diffusione della cyberterapia erano i costi», precisa il prof. Giuseppe Riva. «Oggi invece, grazie alla diffusione dei caschi di realtà virtuale per videogiochi – come l’Oculus Quest (500 euro, sistema stand-alone) o l’Oculus Rift (600 euro più 2500 per il computer dedicato) – l’acquisto di un sistema di realtà virtuale immersiva è alla portata di tutti. In conclusione, oggi la tecnologia è già parte integrante dell’attività professionale del medico e dello psicologo: la utilizziamo per scrivere, comunicare, memorizzare e valutare. Grazie alla realtà virtuale potrebbe diventare anche lo strumento per offrire una modalità migliore di valutazione e trattamento».

Prof. Giusepper Riva, quali sono le principali novità di questa conferenza mondiale? 

Il 2021 è stato l’anno di diffusione di massa dei digital therapeutics (terapie digitali). Definiamo terapia digitale delle App o dei software che, da soli o in associazione con altri strumenti o con farmaci tradizionali, sono in grado di apportare un reale beneficio, clinicamente misurabile e scientificamente validato, su specifiche necessità di salute dei pazienti. Modificare il comportamento del paziente è la base su cui poggiano le terapie digitali: lo stress e comportamenti inadeguati incidono sulla nostra qualità della vita. Andando ad agire sul comportamento, la terapia digitale si comporta come un farmaco vero e proprio. Altre tipologie di intervento riguardano l’apprendimento o lo sviluppo di alcune funzionalità. Rispetto alle comuni app dedicate al fitness e al mondo della salute in generale, in questo caso si tratta di veri e propri interventi medici e, come tali, sono sottoposti a rigidi controlli e sono tenuti a rispettare standard di sicurezza e di efficacia e a rispondere ai requisiti normativi richiesti dagli enti regolatori. Nel 2021, una serie di aziende presenti al convegno sia italiane (https://become-hub.com/) che straniere (https://www.appliedvr.io/) hanno finalmente completato la validazione clinica delle loro applicazioni per la riduzione dell’ansia sociale (Become) e del dolore cronico e acuto (Applied VR), che nel caso della società americana hanno portato ad ottenere la designazione di Breakthrough Device dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento della fibromialgia resistente al trattamento e della lombalgia cronica intrattabile. Purtroppo l’Italia nonostante gli investimenti in ricerca,  ha ancora un “ritardo” digitale è molto marcato. Manca una normativa dedicata che consenta la rimborsabilità di queste terapie. Obiettivo del convegno è mostrare i positivi risultati ottenuti dalla ricerca a livello mondiale, per spingere gli enti decisori a sostenere la diffusione di queste nuove terapie.

L’interazione uomo-robot ci aiuterà nelle cure? In che modo?

L’altra grande novità del convegno è l’elevato numero di relazioni che discutono il potenziale della robotica nell’ambito del supporto all’anziano. Un robot antropomorfo è un automa capace di riprodurre alcune caratteristiche dell’uomo, di imitarne tratti distintivi come l’aspetto, i movimenti, persino le abilità comunicative e sociali. I robot antropomorfi di nuova generazione, infatti, non si limitano ad eseguire compiti, ma sono in grado di attivare interazioni e relazioni sociali con altri robot e con soggetti umani.  

Dai dati presentati dai relatori, la robotica per gli anziani (robotica assistenziale) è in grado di fornire una risposta al bisogno di assistenza prevalentemente in tre ambiti: gestione della vita quotidiana (movimenti, nutrizioni, igiene etc.), come supporto alle attività sociali e relazionali (comunicazione, compagnia, gestione dell’emotività); e come strumento di stimolazione e supporto alla salute mentale nel caso di problemi cognitivi o di demenza. In generale le ricerche sottolineano il potenziale clinico e relazionale di questi strumenti, anche se emerge come principale limite della robotica assistenziale la limitata personalizzazionedell’assistenza che il robot è in grado di fornire. Ogni persona anziana ha esigenze specifiche in merito al tipo e all’intensità di supporto che richiede e in quest’ottica il potenziamento della componente di comprensione del linguaggio naturale e dei meccanismi di intelligenza artificiale potranno facilitare la diffusione di queste tecnologie.

CYPSY25 Annual International CyberPsychology, CyberTherapy & Social Networking Conference

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