La voglia di alieni, di conoscere e comunicare con intelligenze extraterrestri è evidente nella continua produzione di letteratura, fumetti, videogiochi, serie televisive e soprattutto film di fantascienza come il recente “Arrival”. Non ci rassegniamo a saperci soli nel cosmo, almeno in quello conosciuto e raggiunto dai nostri mezzi di esplorazione tecnologica e astrofisica. Non ci rassegniamo a non ricevere segni di vita intelligente là fuori, oltre i confini del nostro pianeta e della nostra galassia. Possibile che nessun segnale, neppure quello di un pianeta evoluto, ormai estinto, non sia partito millenni fa dalle profondità dello spazio per essere alla fine captato dai noi terrestri? Già, ma se gli alieni avessero altri modi, altri sistemi di comunicazione, a noi ancora ignoti? Ad esempio.
Tutti gli appassionati di fantascienza, Ufo e vita aliena, fremono ogni volta che c’è un annuncio relativo a un possibile segnale intelligente dallo spazio profondo. Ogni volta che pare individuarsi nel cosmo una anomalia che non sembri naturale. Poi ogni volta gli entusiasmi si placano, ricordando gli spazi siderali che ci separano da sistemi extrasolari e relativi pianeti. Con possibili vite intelligenti.
E mandare segnali nel cosmo? Lo abbiamo fatto in vari modi. Gli scienziati, tra l’altro, si dividono in due categorie. Vale la pena di tentare: sarebbe un salto evolutivo per l’umanità confrontarsi con civiltà aliene più evolute. Lasciamo perdere: non sappiamo con chi ci mettiamo in contatto, potrebbero volerci colonizzare e sottomettere. Tra questi ultimi vi sono il genio della fisica Stephen Hawking (in parte ricreduto) e il fisico Mark Buchanan che dice (e scrive): bravi, andiamo alla ricerca, ma chi ci dice che non siano guai? (Searching for trouble? Nature Physics 12, 720 2016).
Infine, magnati come il fisico e filantropo russo Yuri Milner che finanzia la possibilità di lanciare messaggi nello spazio, in grado di raggiungere in tempi umani destinazioni interessanti per le possibilità di vita extraterrestre.
Con il progetto Breakthrough Starshot, presentato da Yuri Milner, si legge nel sito, l’umanità non fa che proseguire nella sua lunga storia fatta di esplorazioni in terre ignote, di salti in avanti. Fuori dai confini. Aldilà dei continenti e delle terre note.
Se, com’è vero, «con la tecnologia di propulsione a razzo attuale, ci vorrebbero decine o centinaia di millenni per raggiungere la stella più vicina, Alpha Centauri. Le stelle, a quanto pare, hanno fissato limiti severi sul destino umano. Fino ad ora». Ma se non possiamo mandare razzi ed equipaggi umani verso Alpha Centauri, perché non inviare e raccogliere informazioni attraverso sonde miniaturizzate che aprirebbero altrettante vele spaziali, lanciate da una astronave madre e sospinte da potenti e precisi raggi laser alla velocità di 50 mila chilometri al secondo, pari a circa un quinto rispetto alla velocità della luce? Tale sistema, si legge sempre nel sito di Breakthrough Starshot, permetterebbe alla missione di raggiungere Alpha Centauri in poco più di 20 anni dal lancio. Un tempo ragionevole per togliersi qualche sfizio sulle possibilità di vita aliena. Certo, costicchia un poco: tra 5 e 10 miliardi di dollari. Yuri Milner ne butta subito sul piatto 100 milioni. Qualcun altro è pronto a rilanciare?
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