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NDE, esperienze di premorte: Birk Engmann e Enrico Facco, due neurologi a confronto


2F617EEE5-B692-FB92-8D85EC21580B41E6Vita e morte. La curiosità, a volte l’angoscia di sapere se tutto finisca nei pochi decenni di questa esistenza terrena, oppure se l’esperienza cosciente, in qualche altra forma energetica, prosegua in qualche altra dimensione. E quei fenomeni che si collocano al “confine” tra vita e morte. Le esperienze di premorte (Near-death experiences, nella letteratura internazionale, in sigla Nde). Tolta la religione. Tolta la filosofia. Ci rimane la scienza ad indicare quel sottile confine tra la fine e l’inizio, se inizio c’è, di qualcosa di diverso dalla coscienza espressa dal cervello. E proprio perché il fenomeno delle Nde ha uno stretto legame con il cervello, non manca di interessare i neurologi. In questi mesi c’è un risveglio di interesse editoriale verso le Nde. Sono usciti diversi libri di larga diffusione, e ne abbiamo anche parlato di recente in un servizio del settimanale Oggi (In fin di vita comincia un’altra vita, post del 16 aprile 2014).

Esce ora in inglese, per i tipi delle edizioni mediche Springer (nel settore neuropsicologia), il libro Near-Death Experiences. Heavenly Insight or Human Illusion? del neurologo tedesco, nonché psichiatra e artista, Birk Engmann. Già ricercatore dell’Università di Lipsia e autore di alcuni articoli di neurologia, Engmann non è invece autore di alcuno studio specifico, né tantomeno ha pubblicato articoli sulle Nde, se si escludono due brevi comunicazioni in tedesco. Attualmente Engmann lavora come neurologo presso una clinica privata specializzata in riabilitazione ortopedica, psicosomatica e neurologica di Lipsia: la Fachklinikum Brandis.

Nel suo libro sulle Nde, Birk Engmann torna a sostenere la tesi di queste esperienze come frutto di disfunzioni cerebrali associate alle personali credenze culturali e religiose. A riprova, citando la famosa e la più amata opera dagli studiosi di Nde, vale a dire di l’Ascesa dei beati di Hieronymus Bosh (conservato a Palazzo Ducale di Venezia), Engmann ricorda che la medesima fa parte di un polittico di quattro pannelli comprendenti non soltanto il “tunnel di luce”, ma anche le altre “visioni dell’aldilà” (Paradiso Terrestre, Caduta dei dannati e Inferno). Di conseguenza, dice Engmann, non va analizzato solo il tunnel di luce, ma anche le altre rappresentazioni di Bosh, che riflettono le credenze religiose dell’epoca.

Nel sul libro Engmann analizza le esperienze di Nde in varie culture. Notando come in paesi quali l’Uzbekistan, vi sia un intreccio di tradizione religiosa islamica, un lascito della religione tradizionale e settanta anni di ateismo di stato. Tali casi raccontavano di aver percepito luci, suoni, strane sensazioni ed esperienze fuori dal corpo. Ma erano del tutto assenti il tunnel di luce e la visione retrospettiva della vita (vedere i passaggi salienti della propria vita in un attimo, o visione panoramica della propria vita). Nel contempo, Engmann ammette che il campione di tali casi è troppo esiguo per poterne trarre conclusioni generali.

A questi casi, Engmann prende in esame uno studio del 2006 svolto nel suo paese, la Germania, che supporta maggiormente le sue tesi. Si tratta di uno studio che mette a confronto casi di Nde avvenuti nella Germania occidentale e in quella orientale. Nella Germania occidentale erano più frequenti i resoconti di esperienze fuori dal corpo, di visione della luce, e viaggi verso l’aldilà. Nella Germania orientale veniva riferita più spesso l’esperienza del tunnel. Così come le esperienze ed emozioni negative erano maggiormente riferite dalla popolazione orientale che da quella occidentale (e maggiormente comuni tra gli uomini rispetto alle donne). Ma anche qui, tutto ciò appare controverso, se analizzato alle luce delle tesi neuro-antropologiche di Engmann. Possiamo però convenire con Engmann che allo stato attuale non esista una comprensione di quanto avvenga agli estremi limiti delle coscienza cerebrale, né tantomeno esista una definizione coerente del significato di “quasi morte”.

“La moltitudine di punti di vista – scrive Engmann – e dei modelli che pretendono di fornire spiegazioni, già indica che la ricerca sulla premorte è qualcosa di simile a una passeggiata sul filo del rasoio tra teorie razionalmente spiegabili e la sfera della fede. Vi è urgente bisogno di una revisione critica, anzi, l’esame di quanto le scienze naturali possono gettare luce  su questa materia. Questo è l’obbiettivo principale del mio libro”.

Infine, un dato riferito da Engmann non è per nulla corretto, specialmente da quando i medici hanno preso conoscenza e coscienza delle Nde. Il fatto, sostiene Engmann, che i casi di Nde vengano riferiti molto tempo dopo, con una ricostruzione erronea della memoria. Non è vero, e chi studia abitualmente le Nde come Enrico Facco (neurologo, anestesiologo e ipnologo, professore dell’Università di Padova), lo sa bene. Rispetto al valore generale da attribuire ai vissuti delle Nde, perché di vere e proprie esperienze si tratta, e non di allucinazioni, ecco quanto scrive Enrico Facco nel suo trattato Esperienze di premorte. Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica (Edizioni Altravista).

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“Le ipotesi neurobiologiche dell’origine delle NDE sono di notevole interesse, ma allo stato attuale rimangono solo ipotesi senza alcuna dimostrazione, né possono spiegare in modo soddisfacente il loro impatto psicologico ed esistenziale, che si traduce spesso nell’elaborazione positiva di una nuova visione del mondo e dello stile di vita”.

Il trattato di Facco, frutto di conoscenze che spaziano in campo medico, religioso, filosofico e arrivano alle nuove acquisizioni della fisica quantistica, è a mio parere il miglior testo al mondo in grado di far riflettere in modo serio e profondo sulle esperienze Nde nel contesto di tutto ciò che ci è dato conoscere in questa dimensione esperenziale. Senza facili scorciatoie né conclusioni affrettate.

 Vedi anche: Hereafter. Sulla morte e il dopo

I peptidi come nuovi farmaci


PeptideSciencePS96N6 Nel libro Guarire con la nuova medicina integrata edito da Sperling & Kupfer nel dicembre 2012 e scritto in collaborazione con Pierangelo Garzia ed Edoardo Rosati  avevamo  affrontato in un capitolo la terapia con i peptidi spiegando come, con questi prodotti biologici, commercializzati in fiale  da eseguirsi  per via intramuscolare ogni tre settimane,  il nostro Ulisse,  ammalato di tumore della pleura, avesse ricevuto una impennata di salute ed assieme alla chemioembolizzazione,  eseguita all’Istituto di radiologia dell’Ospedale Universitario di Francoforte, dal prof. Vogl, la malattia fosse andata in remissione quasi completa.

Successivamente, nello stesso capitolo,  si riportava  il caso di una ragazza, affetta da amenorrea primaria, conseguente ad una condizione clinica borderline di anoressia–bulimia  ed  intollerante alla terapia ormonale sostitutiva  che, grazie ad una terapia personalizzata con peptidi, aveva, alla fine della cura peptidica, tollerato le terapie ormonali sviluppando  anche flussi mestruali spontanei. Negli anni ’70 la frequenza media di articoli scientifici su queste sostanze era di uno all’anno, negli ultimi anni gli articoli scientifici su questi argomenti sono arrivati a circa 20 all’anno ed i farmaco-peptidici attualmente approvati sono circa 60  con un fatturato annuo di circa 13 miliardi di dollari.  I peptidi stanno entrando in tutti i campi della medicina essendo molto duttili e attivi nella comunicazione cellulare.

Nessun altro tipo di molecola biologica offre uno spettro più ampio di quello dei peptidi + proteine. Queste sostanze inoltre non sono tossiche per l’organismo e non interferiscono negativamente con il sistema immunitario. Per molto tempo i peptidi sono stati relegati al trattamento dei tumori ormono dipendenti (tipico esempio è la sandostatina) , essendo inoltre molto costosi, con emivita molto breve e con nessuna possibilità di un trattamento orale. Già negli anni ’80 l’introduzione di rilascio a lunga durata di azione (LAR ) di peptidi come l’ormone della crescita e la somatostatina , incapsulati in polimeri biodegradabili che vengono somministrati in iniezioni  mensili, ha permesso a queste sostanze di essere sfruttate maggiormente in clinica.

Con le nuove tecnologie inoltre si stanno abbassando i costi di produzione con l’immissione sul mercato di farmaci sempre più mirati ed a costi contenuti, anche se sempre molto elevati. Il costo è correlato al numero di aminoacidi collegati fra loro da un legame peptidico per cui farmaci con 30 aminoacidi risultano molto costosi anche se, essendo molto potenti, ne bastano dosi minime. Le prospettive sull’uso di questi farmaci in futuro  allargheranno le  indicazioni a molte malattie,  in particolare  per la cura di patologie come l’obesità  e le sindromi metaboliche di tipo 2 ( diabete ) diventate quasi una pandemia nel mondo occidentale.

Ma che cosa sono esattamente i peptidi?  Si tratta di molecole contenenti fra 2 e 50 aminoacidi legati fra di loro con legame peptidico. I due più importanti peptidi in commercio da oltre 50 anni sono il cortisone e l’insulina. Personalmente continuerò ad affidare alcuni miei pazienti alle cure del dr. Jan Sula  con una procedura che prevede dapprima un esame di biologia molecolare e successivamente, sulla base dei risultati di questo esame,  una terapia a base di peptidi  prodotta specificatamente per la cura di quella determinata malattia.

L’ultimo caso, per cui ho inviato il sangue centrifugato al centro per le analisi di biologia molecolare della città di Praga, si riferisce ad  una paziente di 93,  anni affetta da PSAD, ossia sindrome orgasmica continua, nota anche come sindrome di Richardson. Sulla base della funzionalità dei  recettori ormonali evidenziati dall’esame, verrà successivamente preparata una terapia specifica in grado di riattivare i recettori mal funzionanti e spegnere la sindrome da eccitazione sessuale continua (Estratto da: Industria Farmaceutica Internazionale, primavera 2012,  Volume 4, edizione 2).