Dalla rivista “Internazionale” (8-14 aprile 2016) ho tratto questo interessante articolo per una nuova terapia contro il cancro a cui avevo già accennato nel libro “Mitocondrio mon amour” scritto con il coblogger Pierangelo Garzia. Si tratta di una nuova generazione di farmaci anticancro chiamati inibitori dei chekpoint immunitari che stanno ottenendo risultati, in alcuni casi così spettacolari, per cui gli scienziati la considerano una svolta epocale nella lotta contro i tumori.
La storia di questa cura è iniziata negli anni ’60 quando il medico giapponese Tasuku Honjo seppe che un suo compagno di studi era morto per un tumore allo stomaco. Da quel momento, come immunologo, si è impegnato nella ricerca e nel ’92 studiando i T-linfociti ha scoperto una proteina, la PD-1, che impediva al sistema immunitario di andare fuori controllo, in altre parole come se fungesse da freno di sicurezza. La sua riflessione quindi fu quella di bloccare la PD-1 e permettere al sistema immunitario di aggredire a ruota libera il tumore.
Il sistema immunitario in teoria ci dovrebbe difendere ogni giorno dalla crescita di cellule tumorali ma uno dei motivi per cui il tumore si sviluppa è prprio quello che riesce a silenziare il sistema immunitario. Honjo ebbe l’intuizione di cercare qualcosa che attivava il recettore PD-1 e sintetizzò una proteina che si legava al recettore e lo attivava nota come PD-L1 .
Altri ricercatori hanno poi scoperto che le cellule tumorali producono PD-L1 in modo da attivare il freno recettoriale noto come PD-1 e quindi autopromuoversi e permettere al tumore di proliferare. A questo punto Honjo ha prodotto un anticorpo monoclonale in grado di bloccare la PD-1 e consentire al sistema immunitario di attivarsi il più possibile. Dopo parecchi anni di perplessità le case farmaceutiche si sono finalmente impegnate nella produzione di questi nuovi farmaci noti come inibitori della PD-1 ed in testa a tutti ci sono il Nivolumab ed il pembrolizumab. Questi farmaci hanno pochi effetti collaterali con alte probabilità di essere attivi per anni ed hanno il vantaggio di aggredire la cellula tumorale anche se continua a mutare antigenicità. Sono inoltre già allo studio nuovi farmaci in grado di bloccare la proteina che consente al tumore di svilupparsi e cioè la PD-L1. Finora il farmaco più interessante si è rivelato l’ atezolizumab prodotto dalla Roche che ha allungato la vita dei pazienti di 8 mesi.
In sostanza questa nuove terapie aprono prospettive terapeutiche che finalmente impostano una alleanza con il nostro organismo sfruttando il sistema immunitario e senza aggredire oltre alla cellule tumorali anche le cellule sane come a tutt’oggi è avvenuto con la chemioterapia. Un caso clinico paradigmatico , in relazione a questo nuovo tipo di terapie, lo sto seguendo da qualche tempo in collaborazione con l’oncologo ospedaliero a cui l’ho affidato. Si tratta di una donna di circa 60 anni portatrice di tumore polmonare, recidivato dopo tre anni dall’intervento. Il trattamento con nivolumab è in corso da circa 6 mesi e la risposta è ancora difficile da valutare in quanto sembra che in parte il tumore sia in regressione ed in parte in progressione. Si tratterà, nel tempo, di valutare come integrare con altre terapia (radio, chemio, terapie integrate?) questo nuovo tipo di terapia tenendo conto che le condizioni generali della paziente sono assolutamente normali e che nessuna tossicità si è osservata fino ad oggi.
Si apre, con tutta probabilità, un nuovo scenario per i trattamenti oncologici che finalmente vedrà l’abbandono dei protocolli e lascerà alla esperienza del singolo terapeuta la decisione verso il miglior percorso terapeutico idoneo a quel tipo di paziente per quel tipo di malattia tumorale.
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