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Psilocibina e cervello sulla rivista “Nature”


È in atto un vero e proprio “rinascimento” non solo di interesse per l’uso terapeutico degli psichedelici, e in particolare della psilocibina, ma anche della ricerca di queste sostanze conosciute dall’uomo dal remoto passato, tanto che se ne è occupata “Nature” sul numero di metà luglio, una delle riviste scientifiche più importanti al mondo, dedicandogli persino la copertina.

Gli sciamani degli antichi popoli di natura ci avevano visto giusto: le sostanze psichedeliche, nelle mani appropriate e competenti, dell’uomo-medicina del passato come di quello contemporaneo, possono essere uno strumento terapeutico potente, in grado di agire sulle connessioni neuronali e sulla plasticità cerebrale. 

Così come si conferma la necessità di accedere ad esperienze mistiche, spirituali, interiori, ma anche di ritagliarci degli spazi per la meditazione, al fine di non essere gravitati continuamente, e alla fine soffocati e compressi, dalla realtà quotidiana.  La “dissoluzione dell’ego” indicata da sempre dai mistici, dalla tradizione iniziatica e dai ricercatori interiori come condicio sine qua non per accedere ad altri livelli di coscienza, viene ora confermata anche dalle ricerche in corso attraverso l’impiego della psilocibina.

È come se la psilocibina interrompesse quel logorante flusso continuo di rimestii, di chiacchiericci e di ruminazioni del cervello, concedendogli invece l’accesso a dimensioni più vaste e più significative di consapevolezza.

Citiamo a questo proposito un aspetto poco noto della vita del grande fisico e divulgatore scientifico Carlo Rovelli: «Un breve periodo di sperimentazione con LSD, da studente, aveva contribuito a convincerlo che la realtà è molto diversa da come viene percepita: “Le droghe psichedeliche, secondo me, hanno un impatto notevole perché sono una specie di versione moderna dell’esperienza meditativa. Si vede il mondo in un modo completamente diverso, ci si rende conto che la nostra percezione è limitata”» (Jim Baggott, Quanti di spazio, Adelphi, 2022).

Qui ci limiteremo a sintetizzare i risultati e le possibili implicazioni di questa ricerca di portata storica pubblicata da “Nature” (tra l’altro con l’inequivocabile titolo La psilocibina desincronizza il cervello umano), ma va comunque sottolineato che con l’impiego di questa molecola psicoattiva nel cervello accadono un sacco di cose, documentate dalle tecniche oggettive del neuroimaging, persino a livello della corteccia visiva. Il che ci porterebbe a inferire che forse è possibile impiegare la psilocibina anche per quei traumi a forte evocazione immaginativa, come ad esempio avviene nelle sessioni di “desensibilizzazione al trauma” dell’EMDR (Eye movement desensitization and reprocessing, Terapia di desensibilizzazione e rielaborazione tramite movimenti oculari).

Queste ricerche dimostrano, come nel passato avevano fatto i percorsi iniziatici, mistici e meditativi, che c’è un vasto territorio interiore che se lasciato a sé stesso avvizzisce, lasciandoci in balia degli eventi contingenti. Privati così di quelle esperienze “superiori” della coscienza che lo psicologo americano Abraham Maslow, tra i principali fondatori della psicologia transpersonale, definì efficacemente come “peak experiences” (esperienze di picco).

Ma iniziamo dalla ricerca più recente sull’uso terapeutico di una delle sostante psichedeliche più studiate negli ultimi anni, in grado di modificare le funzionalità del nostro cervello: la psilocibina. Questa ricerca indica l’esistenza di una vera e propria “dimensione psichedelica” nonché di una singolare e particolare “esperienza psichedelica” avulse, anche se assimilabili ad altri stati modificati e alterati di coscienza, dal comune vissuto esperenziale umano.  

Lo scienziato degli psichedelici: Joshua S. Siegel

Il primo autore dello studio pubblicato da “Nature” è Joshua S. Siegel del Department of Psychiatry, Washington University School of Medicine, St Louis, USA, che da alcuni anni dirige un programma di ricerca sugli psichedelici. La sua ricerca si concentra sull’uso delle tecniche di neuroimaging per comprendere come la ketamina, la psilocibina e simili molecole psicoattive possano  stimolare rapidamente la plasticità cerebrale.

Tutto ciò in funzione del fatto che, per passare dal dato empirico, noto come dicevamo dal remoto passato umano, a quello della rilevanza e oggettività scientifiche, comprendere gli effetti degli psichedelici sulle reti cerebrali umane è fondamentale per rendere davvero efficaci e soprattutto mirati i loro meccanismi terapeutici.

Nella sperimentazione condotta da Siegel e collaboratori pubblicata da “Nature” un gruppo di giovani adulti sani ha ricevuto 25 mg di psilocibina e gli stessi sono stati sottoposti a regolari sessioni di risonanza magnetica cerebrale (RM, circa 18 ore complessive per partecipante) prima, durante e dopo le due dosi della sostanza. I ricercatori hanno analizzato le modificazioni nei cervelli di sette adulti con un’età compresa tra i 18 e i 45 anni, utilizzando scansioni RM prima, durante e tre settimane dopo l’assunzione di psilocibina. I risultati evidenziano come la psilocibina  provochi una desincronizzazione di diverse aree cerebrali, alterando la connettività tra queste regioni.

Da tali rilevazioni di visualizzazione dell’attività cerebrale è emerso che  la psilocibina ha interrotto massicciamente la connettività funzionale (FC) nella corteccia e nelle strutture sottostanti, il che si è tradotto in distorsioni acute nella percezione spazio-temporale e nella dissoluzione dell’ego.

Con questo tipo di risultati i ricercatori ne argomentano che la psilocibina dimostra benefici terapeutici rapidi e duraturi negli studi clinici sull’uomo, così come attraverso altre ricerche la stessa ha dimostrato di promuovere la neuroplasticità nella corteccia e nell’ippocampo, di cui quest’ultimo, ricordiamo, strettamente implicato nei processi cognitivi e in particolare della memoria (nella malattia di Alzheimer l’ippocampo è una delle prime regioni del cervello a presentare dei danni strutturali e funzionali). Una evidenza significativa è emersa in relazione all’ippocampo anteriore associata alla nostra percezione di spazio, tempo e sé.

Cosa significa nella pratica terapeutica, ad esempio riguardo ai comportamenti compulsivi, ai disturbi dell’umore, alla depressione? Rispondendo a una intervista fattagli da “Newsweek” Siegel ha detto: “Ciò ha implicazioni cliniche significative perché suggerisce che la psilocibina potrebbe rendere il cervello più malleabile, il che potrebbe rivelarsi utile per le persone che soffrono di rigidi schemi di pensiero e comportamenti disadattivi”.

Siegel, J.S., Subramanian, S., Perry, D. et al. Psilocybin desynchronizes the human brain. Nature 632, 131–138 (2024).

Terapie psichedeliche e neuroplasticità


Giorgio Samorini

L’etnobotanico Giorgio Samorini, grande studioso di sostanze psicoattive, ha pubblicato tre anni fa, con Adriana D’Arienzo, medico anestesista e rianimatore, due documentatissimi volumi sulle “Terapie psichedeliche” (Shake Edizioni). E non passa giorno che non si aggiunga qualche nuova ricerca, qualche nuovo studio clinico sugli effetti terapeutici delle sostanze psichedeliche. Ne era consapevole anche Albert Hofmann, scopritore dell’LSD, che incontrai e intervistai molti anni fa durante un convegno a Rovereto, quando diceva che queste sostanze, messe al bando per il loro uso ludico di massa, sarebbero state riscoperte in seguito per i loro potenti effetti terapeutici. E così è stato, tanto che oggi si parla di “rinascimento psichedelico”, ovviamente riferito al loro uso in ambito terapeutico controllato. Ma magari lo stesso Samorini non sarà completamente d’accordo su questo.

Fatto ne sia, che una delle più recenti ricerche cliniche, pubblicata da  JAMA Psychiatry (mica un giornalucolo qualunque), ha evidenziato che la psilocibina (composto psichedelico contenuto nei funghi allucinogeni) può aiutare le persone con dipendenza da alcol ad astenersi dal bere. Secondo i risultati del più ampio studio condotto fino ad oggi su psilocibina e dipendenze, quasi la metà 95 adulti a cui era stata diagnosticata la dipendenza da alcol che hanno assunto il farmaco a base di psilocibina come parte di un programma terapeutico di 12 settimane, non ha toccato alcol più di otto mesi dopo. Come si spiega? In base alle ricerche di laboratorio,  David Yaden del Center for Psychedelic & Consciousness Research della Johns Hopkins University nel Maryland, reputa che le sostanze psichedeliche possono aumentare la neuroplasticità, la capacità del cervello di cambiare e adattarsi. E questo potrebbe spiegare perché le sostanze psichedeliche possono aiutare le persone a cambiare i loro comportamenti. Tutti temi di cui stiamo discutendo ormai da anni anche con Enzo Soresi, e chissà che non ne nasca qualche nuova pubblicazione, a quattro mani e due cervelli.

Percentage of Heavy Drinking Days Following Psilocybin-Assisted Psychotherapy vs Placebo in the Treatment of Adult Patients With Alcohol Use Disorder. A Randomized Clinical Trial. Michael P. Bogenschutz, MD; Stephen Ross, MD; Snehal Bhatt, MD; et al. JAMA Psychiatry. Published online August 24, 2022.

Default mode network e psilocibina


Poco tempo fa su questo blog avevo postato un pezzo sul marcatore somatico e su come si costituisce attraverso la costruzione del default mode network (DMN). DMN.jpg

Per meglio chiarire questo scoperta di un hub cerebrale in cui è costruita la “identità del sé”  riporto una parte di quello scritto “la psilocibina potenzia la funzione cognitiva e promuove stati di coscienza superiore, aumentando la circolazione cerebrale. Partendo da questo presupposto Carhart-Harris studiò le immagini di risonanza magnetica sul cervello dopo la somministrazione di psilocibina ed i risultati che emersero furono sconcertanti in quanto si evidenziò una riduzione del flusso ematico cerebrale nella zona della corteccia del cingolo posteriore  . Ciò che fu messo a fuoco negli studi successivi , fu che la riduzione del flusso vascolare è concentrata in una particolare rete cerebrale, scoperta da poco tempo e nota come DMN (default mode network)”.

Il DMN costituisce per l’attività cerebrale l’equivalente di un hub localizzato centralmente al cervello , di importanza fondamentale , che connette alcune  regioni corticali a strutture più profonde e più antiche implicate nella memoria e nelle emozioni. Queste aree cerebrali mostravano , alle immagini RMN un aumento della loro attività e quindi della vascolarizzazione, proprio quando i soggetti non stavano facendo nulla. In altre parole , queste aree cerebrali , sono il luogo in cui la mente si ritira a vagabondare a sognare ad occhi aperti, a riflettere su noi stessi, a preoccuparsi. È possibile quindi che il flusso della coscienza si trovi proprio in queste zone. Si può pertanto dedurre che la DMN eserciti come una specie di controllo sulle altre parti del cervello, gerarchicamente inferiori .

La funzione di questo hub è sostanzialmente quella  di evitare che il cervello , per un eccesso di stimoli , possa precipitare in un’ anarchia che indurrebbe malattia mentale. Alcuni scienziati chiamano la DMN “ la rete del sé “ in quanto all’interno di questa struttura sono contenuti gli elementi della nostra memoria autobiografica. A conferma di queste deduzioni emerge il dato che questa rete si costruisce tardivamente , nello sviluppo del cervello , in un periodo fra i 10 e i 30 anni. Recenti studi , in ambito psicologico , hanno messo a fuoco che noi ci ricordiamo in prevalenza gli eventi accaduti in queste due decadi che occupano , di conseguenza , la maggior parte della memoria autobiografica. Fino a quasi il 50% dei ricordi di vita di un adulto è collocabile in questo periodo. Tanto che si parla di “bump della memoria autobiografica” che in italiano si potrebbe tradurre come bozza o protuberanza . Andando avanti con le sue ricerche , Harris ed altri neuroscienziati hanno elaborato una teoria  unificata delle malattie mentali in grado appunto di spiegare la maggior parte di queste malattie.

Secondo Robin Carhart – Harris, un cervello felice è un cervello flessibile ed elastico ; la depressione, l’ansia, e il fortissimo desiderio tipico delle dipendenze sono ciò che si prova ad avere un cervello troppo rigido o fissato nelle sue vie e nei suoi collegamenti : un cervello con più ordine del giusto sullo spettro da lui tracciato parlando del cervello entropico.

connessioni

La depressione, la dipendenza ed i disturbi ossessivi coincidono tutti con l’estremo del troppo ordine.

La psicosi invece si troverebbe all’estremo opposto ed è questo il motivo per cui non risponderebbe alla terapia con gli psichedelici.

Nella Visione di Carhart-Harrys il valore terapeutico di queste sostanze è insito nella loro capacità di aumentare temporaneamente le entropia di un cervello troppo rigido cancellando transitoriamente il suo DMN  di controllo. I ricercatori della Hopkins University sostengono che la terapia psichedelica crea un intervallo di massima plasticità in cui con una guida appropriata è possibile apprendere nuovi schemi di pensiero e comportamento riprogrammando sostanzialmente il DMN. Studi con la risonanza magnetica eseguiti all’Imperial college hanno confermato che modificazioni della DMN  sotto psichedelici consentono di osservare alterazioni in quest’area correlabili alla sofferenza del soggetto. Un intervento terapeutico per tanto che sia in grado di rimodulare quell’area potrebbe portare a notevoli vantaggi nel campo delle terapie per le malattie mentali. Sulla base di questi presupposti è  in corso al John Hopkins Hospital di Londra uno studio randomizzato sulle depressioni gravi e farmaco resistenti che mettono a confronto escitalopran e psilocibina.  Alla New York University invece la psilocibina dal 2016 viene somministrata a pazienti oncologici  , in una unica dose di 10 mgr,  con la finalità di eliminare l’angoscia di morte . Fra i vari casi clinici riportati da Michael Pollan nel libro edito da Adelphi “ Come cambiare la tua mente” il più singolare è quello di una donna che dopo l’assunzione della psilocibina ebbe la sensazione di essere ridotta in polvere  e che le sue ceneri venissero  sparse in mezzo alle piante , riportando lei da questa visione , quasi mistica ,  una profonda serenità.