Poco tempo fa su questo blog avevo postato un pezzo sul marcatore somatico e su come si costituisce attraverso la costruzione del default mode network (DMN). 
Per meglio chiarire questo scoperta di un hub cerebrale in cui è costruita la “identità del sé” riporto una parte di quello scritto “la psilocibina potenzia la funzione cognitiva e promuove stati di coscienza superiore, aumentando la circolazione cerebrale. Partendo da questo presupposto Carhart-Harris studiò le immagini di risonanza magnetica sul cervello dopo la somministrazione di psilocibina ed i risultati che emersero furono sconcertanti in quanto si evidenziò una riduzione del flusso ematico cerebrale nella zona della corteccia del cingolo posteriore . Ciò che fu messo a fuoco negli studi successivi , fu che la riduzione del flusso vascolare è concentrata in una particolare rete cerebrale, scoperta da poco tempo e nota come DMN (default mode network)”.
Il DMN costituisce per l’attività cerebrale l’equivalente di un hub localizzato centralmente al cervello , di importanza fondamentale , che connette alcune regioni corticali a strutture più profonde e più antiche implicate nella memoria e nelle emozioni. Queste aree cerebrali mostravano , alle immagini RMN un aumento della loro attività e quindi della vascolarizzazione, proprio quando i soggetti non stavano facendo nulla. In altre parole , queste aree cerebrali , sono il luogo in cui la mente si ritira a vagabondare a sognare ad occhi aperti, a riflettere su noi stessi, a preoccuparsi. È possibile quindi che il flusso della coscienza si trovi proprio in queste zone. Si può pertanto dedurre che la DMN eserciti come una specie di controllo sulle altre parti del cervello, gerarchicamente inferiori .
La funzione di questo hub è sostanzialmente quella di evitare che il cervello , per un eccesso di stimoli , possa precipitare in un’ anarchia che indurrebbe malattia mentale. Alcuni scienziati chiamano la DMN “ la rete del sé “ in quanto all’interno di questa struttura sono contenuti gli elementi della nostra memoria autobiografica. A conferma di queste deduzioni emerge il dato che questa rete si costruisce tardivamente , nello sviluppo del cervello , in un periodo fra i 10 e i 30 anni. Recenti studi , in ambito psicologico , hanno messo a fuoco che noi ci ricordiamo in prevalenza gli eventi accaduti in queste due decadi che occupano , di conseguenza , la maggior parte della memoria autobiografica. Fino a quasi il 50% dei ricordi di vita di un adulto è collocabile in questo periodo. Tanto che si parla di “bump della memoria autobiografica” che in italiano si potrebbe tradurre come bozza o protuberanza . Andando avanti con le sue ricerche , Harris ed altri neuroscienziati hanno elaborato una teoria unificata delle malattie mentali in grado appunto di spiegare la maggior parte di queste malattie.
Secondo Robin Carhart – Harris, un cervello felice è un cervello flessibile ed elastico ; la depressione, l’ansia, e il fortissimo desiderio tipico delle dipendenze sono ciò che si prova ad avere un cervello troppo rigido o fissato nelle sue vie e nei suoi collegamenti : un cervello con più ordine del giusto sullo spettro da lui tracciato parlando del cervello entropico.

La depressione, la dipendenza ed i disturbi ossessivi coincidono tutti con l’estremo del troppo ordine.
La psicosi invece si troverebbe all’estremo opposto ed è questo il motivo per cui non risponderebbe alla terapia con gli psichedelici.
Nella Visione di Carhart-Harrys il valore terapeutico di queste sostanze è insito nella loro capacità di aumentare temporaneamente le entropia di un cervello troppo rigido cancellando transitoriamente il suo DMN di controllo. I ricercatori della Hopkins University sostengono che la terapia psichedelica crea un intervallo di massima plasticità in cui con una guida appropriata è possibile apprendere nuovi schemi di pensiero e comportamento riprogrammando sostanzialmente il DMN. Studi con la risonanza magnetica eseguiti all’Imperial college hanno confermato che modificazioni della DMN sotto psichedelici consentono di osservare alterazioni in quest’area correlabili alla sofferenza del soggetto. Un intervento terapeutico per tanto che sia in grado di rimodulare quell’area potrebbe portare a notevoli vantaggi nel campo delle terapie per le malattie mentali. Sulla base di questi presupposti è in corso al John Hopkins Hospital di Londra uno studio randomizzato sulle depressioni gravi e farmaco resistenti che mettono a confronto escitalopran e psilocibina. Alla New York University invece la psilocibina dal 2016 viene somministrata a pazienti oncologici , in una unica dose di 10 mgr, con la finalità di eliminare l’angoscia di morte . Fra i vari casi clinici riportati da Michael Pollan nel libro edito da Adelphi “ Come cambiare la tua mente” il più singolare è quello di una donna che dopo l’assunzione della psilocibina ebbe la sensazione di essere ridotta in polvere e che le sue ceneri venissero sparse in mezzo alle piante , riportando lei da questa visione , quasi mistica , una profonda serenità.
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