Non è un problema di definizioni. Sette, psicosette, nuovi culti, nuovi movimenti religiosi, chiamiamoli come vogliamo. Il problema è un altro. Da decenni ormai si studiano i nuovi culti settari. Esistono autorevoli gruppi di studio, ricercatori di tutto rispetto, sia sul versante psicologico che psicosociale. Esistono guppi di sostegno, aiuto e autoaiuto. Specialisti, manuali e filmati di “deprogrammazione” della mente di chi aderisce alle sette. Internet mette a disposizione tonnellate di materiali, persino testimonianze di ex-adepti, per comprendere i rischi cui si va incontro nell’accostarsi a certi culti. E allora?
Ciò che manca è un approfondito e vasto studio sulla personalità e sulle motivazioni dei soggetti che aderiscono ai nuovi culti. Se casi come quello della cosiddetta “setta della porta accanto” del bresciano (definizione che tra l’altro presuppone che tutti in zona ne fossero a conoscenza e, nonostante ciò, è trascorso parecchio tempo prima che ne venisse segnalata la pericolosità) ancora si verificano, e hanno presa psicologica su centinaia di persone di ogni età, istruzione e ceto sociale, significa che conosciamo quasi nulla della psicologia degli adepti e, quindi, su come prevenire che si verifichino nuovamente casi come questi.
Non sappiamo quasi nulla della capacità di leadership dei capi carismatici di questi nuovi movimenti. Conosciamo le tecniche attraverso cui arrivano a reclutare e cancellare le capacità di autonomia decisionale dei propri adepti (quasi fossero in grado di creare un cortocircuito nei lobi frontali dei seguaci – questa area del cervello è quella che ci consente di avere una nostra capacità di scegliere e condurre la nostra vita), e io stesso ne scrissi diversi anni fa, parlando di seduttività che hanno i culti distruttivi sulla mente di certi soggetti. Ma la conoscenza di queste tecniche e la loro divulgazione (anche attraverso trasmissioni tv molto popolari e seguite come Striscia), non sono sufficienti a tenere alla larga le persone da simili trappole psichiche.
Evidentemente, il desiderio di trovare scorciatoie ai propri problemi e dilemmi, è molto più forte, ed agisce maggiormente in profondità, nella sfera psicoemotiva delle persone vittime dei nuovi culti, che non l’informazione e la prevenzione che si può attuare a livello razionale. Nel mio suddetto scritto, essendo concepito negli anni dell’esplosione del fenomeno Aids, facevo l’esempio di coloro – ed erano molti – che non prendevano le dovute cautele nei confronti del virus Hiv. Pur sapendo di avere comportamenti, o di frequentare partner, a rischio. Oggi si potrebbero fare molti altri esempi di scelte e comportamenti autolesivi o autodistruttivi.
Nell’adesione ad un nuovo culto, in cui la premessa sia la cancellazione della personalità e dell’autonomia dell’adepto, vi sono da valutare e considerare aspetti diversi, ma sicuramente quelli autolesivi e autodistruttivi sono presenti. Altrimenti non si lascerebbero sottrarre soldi, averi, né si sottoporrebbero a sevizie, maltrattamenti, vessazioni, umiliazioni.
Molte delle tecniche adottate da “santoni” e “santone” di sette e nuovi culti, soprattutto per far aderire nuovi adepti ed estorcere loro denari ed averi (una caretteristica diffusa è che non si accontentano mai, partono dai soldi ed arrivano ad arrogarsi proprietà di qualsiasi genere e natura), sono del resto comuni a quelle dei truffatori: far leva su paure e debolezze della gente (malattie, problemi di coppia, dissesti finanziari, lavoro), per offirre loro apparente sostegno, aiuto o, addirittura, soluzione dei problemi. Invece sono come il ragno che tesse una bella tela per farci finire in mezzo la preda: una volta dentro, finisci divorato. Ce n’è abbastanza per psicologi e psichiatri. Ma pure per educatori.
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