C’è un gran mercato dietro l’etichetta “rivista scientifica”. Come è possibile immaginare. Tanto che vi sono cosiddette “riviste scientifiche” (Open Access) in cui non pubblichi per merito, ma perché paghi. Ma anche qui non si può generalizzare: vi sono Open Access più serie e meno serie. In ogni caso, le pubblicazioni scientifiche più serie vanno su riviste i cui lavori vengono sottoposti a “revisione paritaria” (peer review). Ma pure qui non mancano gli interessi economici e le frodi. Non dimentichiamo che curriculum accademici, carriere universitarie, finanziamenti e premi per il punteggio ottenuto (impact factor) sono in funzione di dove pubblichi i tuoi articoli scientifici. Ma per alcuni, anche quanto pubblichi. Un elenco di pubblicazioni scientifiche in inglese, considerevolmente lungo, fa sempre impressione. E non tutti vanno a verificare la qualità di quanto e dove hai pubblicato. Soprattutto con il proliferare delle pubblicazioni scientifiche in rete. Non ci sono solo le “fake news”, in definitiva facili da sgamare e neutralizzare. Ben più gravi sono le news e addirittura le pubblicazioni della “fake science”. Specie se in campo medico o, in generale, in tutti quei settori che hanno ricadute sulla vita e sulla salute pubbliche.
Sul tema delle pubblicazioni scientifiche farlocche (ma è capitato, in anni passati, anche in campo letterario) è tornata di recente “Nature” richiamando la definizione critica, già adottata nel settore, di “riviste predatorie”. Le pseudoriviste scientifiche che vanno a caccia di autori paganti. Un po’ come una prostituta a caccia di clienti. Forse si potrebbe pure calcare la mano definendole “riviste prostitute”. Fregandosene della qualità e attendibilità di quanto pubblicano. E pure degli autori. Una dimostrazione? Nel 2015 “Nature” ha creato un profilo scientifico fasullo, con tanto di curriculum, appartenenza universitaria e foto carina di una professoressa universitaria in storia della scienza. Ebbene, ha ricevuto un nutrito numero di inviti ad entrare in comitati editoriali di riviste “scientifiche”. Oltre ad essere citata. Il nome? Anna O. Szust. In polacco “Oszust” significa “una truffa”. Ma c’è chi è andato oltre. C’è chi ha aggiunto il nome del suo cane tra gli autori della pubblicazione, vedendoselo citato nel corso degli anni. E chi, per ripicca, si è firmò “Stronzo Bestiale” perché un suo lavoro sulla dinamica molecolare venne respinto, finendo poi pubblicato in un’altra rivista di fisica. E, ovviamente, Stronzo Bestiale è stato citato anche distanza di anni. A dimostrazione che a essere stronzo, qualcosa ci si guadagna sempre. Specie se bestiale.
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