Ciò che stupisce di Gillo Dorfles è la sua lucidità nonostante l’età raggiunta di 101 anni! Già nel 2005 mentre scrivevo il mio libro “Il cervello anarchico” Dorfles fece un intervento sulla terza pagina del Corriere della Sera in cui ipotizzava che l’atto creativo dell’artista potesse nascere da una pulsione della memoria implicita, intendendosi per questa il periodo comprendente gli ultimi 6 mesi di vita fetale ed i primi due anni di vita neonatale. E’ questa la fase della nostra vita in cui il cervello si costruisce, e tutta la costruzione è interattiva con l’ambiente esterno.
Se la migrazione neuronale o la mielinizzazone, o la costruzione delle sinapsi, avviene in modo scorretto possono nascere i primi guai nel senso di malattie congenite o pensieri ossessivi che ci accompagneranno per tutta la vita. E’ recente, a questo proposito, la scoperta di una proteina definita JAB1 che istruisce le cellule di Schwann sul come e quando debbano proliferare maturare e formare la guaina mielinica stessa. JAB1 agisce regolando i livelli di un’altra molecola chiamata p27. L’eccessivo aumento della p27 impedisce alle cellule di Schwann di proliferare e maturare in modo adeguato. Le neuropatie ereditarie con difetti di mielinizzazione associate a distrofia muscolare congenita possono essere conseguenza di questa cattiva interazione fra JAB1 e p27. E’ questo un piccolo esempio di ciò che può avvenire durante la costruzione del nostro sistema nervoso centrale e periferico.
Il 20 dicembre 2012 Gillo Dorfles ha pubblicato un articolo che riprende il tema della memoria implicita con il titolo “Se l’artista è tentato dall’albero della follia”. L’articolo recensisce un libro di Louis A. Sass dal titolo “Follia e modernità”. L’autore è un medico psichiatra che si occupa di malati schizofrenici o psicotici borderline. Secondo Dorfles la nostra può essere considerata una età storica dissociata non solo per la presenza di casi patologici ma in un certo senso come testimonianza della “psicosi” di cui spesso la nostra società è affetta.
Il critico prende lo spunto da questo libro di Sass che costituisce una messa a punto dei rapporti effettivi apparenti tra schizofrenia e alcune forme creative come la letteratura o la pittura quando si realizzano da parte di letterati come Musil, Sartre, Breton, o di artisti come De Chirico, Modigliani, Klee, sia per la particolare personalità di questi autori che per i personaggi o le opere da loro concepiti.
L’opera di Sass è un ampio tentativo di tracciare una analogia tra la vera e propria follia e le varie forme impersonate o citate dagli artisti considerati. Scrive Dorfles “è fin troppo semplicistico individuare nelle diverse opere pittoriche e letterarie una ‘vena di pazzia’ senza che questa abbia nulla a che fare con una autentica schizofrenia ma è assai facile individuare in ogni creazione artistica quella anomalia della norma che può essere classificata come patologica da chi non possiede le dovute conoscenze scientifiche.
L’autore in fondo giustifica con la sua analisi il problema di alcune esperienze psicotiche come inerenti alla condizione normale dell’uomo e per svelare alcuni rapporti tra linguaggio letterario e artistico e linguaggio schizofrenico. Quello che risulta importante, secondo Dorfles, è distinguere fra il livello di anomalia psichica e la carica creativa di un artista, in maniera da non creare quegli spiacevoli compromessi che portano a dare un giudizio estetico ad una effettiva anomalia, mentre quelle che sono le sollecitazioni fantastiche di una mente creativa presentano quasi sempre un elemento simbolico e metaforico che ha la meglio sulla nuda realtà esistentiva.
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