
Paleogenomica. La nuova, affascinante scienza che non si limita a reperire e descrivere morfologicamente i reperti ossei del nostro antenati, ma ne ricostruisce la storia evolutiva, in particolare dall’analisi del DNA mitocondriale. E il pioniere assoluto di questa disciplina è lo svedese Svante Pääbo a cui è stato assegnato il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina di quest’anno. Vincitore totale, unico, a differenza di anni precedenti il cui il più ambito premio per la carriera scientifica era diviso tra più vincitori.
Pääbo è descritto come una mente geniale, un entusiasta e un grande motivatore per chi lavora con lui. Se volete avere percezione di queste sue qualità, vi consiglio la lettura di L’uomo di Neanderthal. Alla ricerca dei genomi perduti (Einaudi). Ma cosa c’entra la paleogenomica con la medicina? C’entra eccome, conoscere la storia evolutiva di noi umani, sotto il profilo biologico, del nostro DNA antico, serve a capire non soltanto da dove arriviamo, ma anche da dove hanno avuto origine le patologie sotto il profilo genetico. E, perché no, in futuro tutto ciò contribuirà anche a individuare nuove terapie. Una volta sulle sale anatomiche delle università campeggiava la scritta in latino: “Qui i morti aiutano i vivi”. Oggi potremmo sostituirla con: “Qui i Neanderthal e gli altri ominidi estinti aiutano l’uomo moderno”.
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