News: i media internazionali hanno ripreso i risultati della ricerca su esposizione a cibi virtuali e risposte emotive. Abbiamo intervistato Giuseppe Riva, ricercatore capo del progetto su disturbi del comportamento alimentare e Realtà Virtuale (RV), tra i massimi esperti mondiali di applicazioni cliniche della RV.
Quali effetti possono avere gli ambienti creati dalla Realtà Virtuale (VR) sul nostro cervello? In particolare sui nostri vissuti emotivi? Chi abbia sperimentato su di sé le tecnologie RV, ma pure la proiezione di un film in 3D, sa quanto questa tecnologia possa essere emotivamente coinvolgente tanto, e in certi casi più, di una esperienza “reale” .
Per quanto il confine tra reale e virtuale, dal punto di vista neuropsicologico (e non solo filosofico), vada ormai considerato fittizio, se non inesistente. Tanto che ho proposto di definire cervello virtuale la nostra predisposizione neurobiologica a fruire da sempre di immagini (si pensi soltanto ai dipinti paleolitici di Lascaux), fino a sviluppare arte, tv, cinema, fotografia, internet, videogiochi, fumetti, ma pure teatro, letteratura – tutto ciò che ci fa “immaginare” o fantasticare al di fuori e al di là dell’ordinario. Del resto il 20% del nostro sonno è occupato dal sogno, una realtà virtuale “endogena”, creata dal nostro stesso cervello.
E la psicoterapia si avvale da sempre di immaginazione, di immagini mentali, per trattare i pazienti (“si immagini di essere in un ambiente chiuso e stretto come un ascensore, con altra gente, cosa prova?”). Oggi tutto ciò può non essere semplicemente suggerito dal terapeuta, ma pure fatto sperimentare in ambienti immersivi di RV.
La più recente sperimentazione a cura del gruppo italiano maggiormente attivo e riconosciuto a livello internazionale, quello degli psicologi Giuseppe Riva e Alessandra Gorini, pubblica ora un lavoro su Annals of General Psychiatry in cui emerge, per la prima volta dal punto di vista sperimentale, che gli stimoli virtuali sono efficaci quanto quelli reali. E, aggiungiamo, lo saranno sempre più con lo sviluppo di tecnologie e software dedicati (o addirittura “personalizzati”).
Di seguito le risposte di Giuseppe Riva, ricercatore e docente di psicologia e nuove tecnologie della comunicazione all’Università Cattolica di Milano.
Quali sono i presupposti teorici di questo studio?
Era nota da tempo la capacità della realtà virtuale di indurre emozioni simili a quelle ottenibili mediante l’esposizione a oggetti reali. L’obiettivo dello studio era duplice:
– verificare se i soggetti con disturbi alimentari avessero risposte emotive davanti al cibo diverse dai soggetti reali: lo studio ha dimostrato che è vero.
– verificare se l’esposizione a cibi reali, virtuali e immagini di cibi avessero lo stesso effetto con soggetti normali e con disturbi alimentari. Lo studio ha dimostrato che solo nei pazienti, vedere cibi reali e virtuali produce la stessa risposta emotiva (misurata con questionari e biosensori). Non si ha la stesso effetto vedendo le foto di cibi.
Che tecnologie e software avete utilizzato?
Abbiamo utilizzato il software freeware creato da noi NeuroVR insieme al casco immersivo Vuzix Iwear VR920. Per misurare la risposta emotiva abbiamo utilizzato il sistema Biograph Infiniti (Thought Technology Ltd, New York, USA) con tre sensori: heart rate (HR), respiration rate (RESP), and skin conductance (SCR).
Perché la ricerca ha avuto questa eco internazionale?
Perché mostra che i soggetti con disturbi alimentari diventano ansiosi solo guardando del cibo e sottolinea la capacità della realtà virtuale di identificare in maniera oggettiva questo effetto, superando le resistenze tipiche di questi pazienti.
Quali possono essere le ricadute pratiche? Ad esempio potremmo dire che l’inflazione di trasmissioni tv e pubblicità su cibi e manicaretti hanno un impatto “reale” sul nostro cervello?
Le ricadute pratiche sono due. Da una parte sottolinea come per un soggetto con questi disturbi essere inserito in un contesto in cui sono presenti cibi – ristoranti, cucine, ecc. – produce un disagio emotivo molto forte. In pratica non è solo una “fisima” del soggetto non voler mangiare e andare via dai contesti di pranzo/cena ma una vera e propria risposta di forte ansia. La seconda ricaduta riguarda l’assessment. Uno dei problemi dei disturbi alimentari è che i pazienti non vogliono essere curati e quindi tendono a mentire sui loro comportamenti alimentari. L’uso della realtà virtuale consente di verificare in maniera oggettiva e senza che il soggetto possa mentire la presenza di disturbi alimentari.
Nella foto in alto: Giuseppe Riva e Brenda K. Wiederhold, tra i massimi esperti mondiali di applicazioni cliniche della RV, nel corso della conferenza stampa di presentazione della International CyberTherapy and CyberPsychology Conference svoltasi per la prima volta in Italia (Istituto Auxologico, Verbania, 21-23 giugno 2009).
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