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Le IA come “supporto cognitivo” in un mondo complesso


Chi si occupa di scienza, anche soltanto sotto il profilo della divulgazione, si trova di fronte al problema della vastità delle informazioni. Quali sono rilevanti e quali no? Quali scegliere e quali scartare? Tale problema è ancora maggiore per chi si occupa di scienza da ricercatore e prova la frustrazione di non poterne dominare l’intero scibile a oggi noto. Ad esempio, quanti possono dire, anche tra gli specialisti del settore, di conoscere tutto ciò che c’è di rilevante sul cervello o sulla cellula?

Come si andava dicendo da anni, nella vastità del sapere occorre chi sia in grado di fare delle sintesi. Però accurate. Ed ecco arrivare le intelligenze artificiali. Un po’ come quando si sostiene che la coscienza umana è una capacità “emergente” del cervello in risposta a un mondo sempre più complesso, le IA arrivano proprio quando non solo non mancano le informazioni, ma sono addirittura in eccesso. Quello che necessita oggi è appunto la sintesi per trarre spunti da utilizzare per nuove ricerche.

Le IA lo sanno fare, possono passare in rassegna migliaia e migliaia di articoli scientifici in un tempo abbreviato, e soprattutto lo possono fare mentre tu ricercatore ti stai occupando d’altro. Le IA si trasformano nel tuo “supporto cognitivo” in una letteratura scientifica che si fa ogni giorno più sterminata.  Le IA leggono per te i lavori scientifici e ne fanno delle sintesi.

Il problema sta nel fatto che tali sintesi della letteratura scientifica siano poi davvero affidabili. E per ora non lo sono ancora del tutto. Ma in quanto strumenti, sono perfezionabili. Siamo già, del resto, ai motori di ricerca IA specializzati in letteratura scientifica. Una notizia confortante al riguardo è ad esempio quella che il Regno Unito investirà più di 70 milioni di dollari in sistemi di sintesi delle prove in ambito scientifico. Sistemi IA che dovranno essere affidabili per produrre sintesi delle prove da cui partire per ulteriori ricerche nei vari campi.

Helen Pearson, Can AI review the scientific literature — and figure out what it all means?Artificial intelligence could help speedily summarize research. But it comes with risks, News Feature (Nature), 13 November 2024.

La pigrizia e la IA


La fretta è cattiva consigliera. E vale anche per l’uso sconsiderato delle intelligenze artificiali nella valutazione e selezione degli articoli scientifici da pubblicare su riviste indicizzate, ma pure di progetti di ricerca suscettibili di ricevere finanziamenti.

Si tratta del processo che tra gli addetti ai lavori è chiamato di “peer review” (revisione tra pari), vale a dire che tale valutazione e selezione viene fatta da specialisti di quel determinato settore scientifico.

Ebbene, come lamenta sull’ultimo numero della rivista “Nature” James Zou professore associato di biomedical data science alla californiana Stanford University, almeno il 17% di tali valutazioni e selezioni sono scritte dall’intelligenza artificiale. Questa tendenza si rileva soprattutto in coloro che mandano le loro recensioni all’ultimo momento prima della scadenza. Come dire: “mi sono ridotto all’ultimo, ormai non ho più tempo, la valutazione me la faccio scrivere dalla IA”.

Tuttavia tali recensioni sono generalizzate, superficiali e tendono a ripetere vocaboli come “encomiabile” e “meticoloso” che sono ora dieci volte più comuni nelle revisioni paritarie rispetto a prima del 2022, cioè prima del lancio di ChatGPT. Ma si stanno già perfezionando IA che sgamano i testi generati dalle IA, cioè IA che risolvono i problemi generati dalle IA.

Come scrive James Zou: “È essenziale riconoscere che l’attuale generazione di LLM (large language model, grandi modelli linguistici) non può sostituire i revisori umani esperti. Nonostante le loro capacità, gli LLM non possono esibire un ragionamento scientifico approfondito. A volte generano anche risposte senza senso, note come allucinazioni”.

James Zou, ChatGPT is transforming peer review — how can we use it responsibly?, Nature, 05 November 2024.

L’intelligenza umana e quella delle macchine


Neil Lawrence è professore di Deep Mind e di Machine Learning (apprendimento profondo e automatico) presso l’Università di Cambridge. Lavora su modelli di machine learning da oltre 20 anni. Di recente è tornato al mondo accademico dopo tre anni come direttore di Machine Learning presso Amazon. Il suo interesse principale è l’interazione del machine learning con il mondo fisico. 

Dovrebbe essere uno dei grandi sostenitori e paladini dell’intelligenza artificiale. Invece nel suo nuovo libro The Atomic Human: Understanding ourselves in the age of AI , argomenta quanto siano differenti non solo l’intelligenza umana, ma pure quella diffusa in natura, persino in una pianta o in un insetto, da quella che definiamo artificiale. E che dovremmo prima comprendere, come stanno sostenendo altri (ad esempio Max S. Bennett nel suo Breve storia dell’intelligenza. Dai primi organismi all’AI: le cinque svolte evolutive del cervello, Apogeo 2024) cosa si debba davvero intendere per intelligenza.

In una intervista sul numero della scorsa settimana di “New Scientist” Lawrence sostiene che solo comprendendo meglio la nostra intelligenza, e quanto sia incredibilmente diversa dalla sua controparte artificiale, possiamo trarre il massimo da entrambe.

Lawrence a questo punto preferisce parlare di “elaborazione delle informazioni” piuttosto che di un termine così vago ed esteso come “intelligenza”.

Ma soprattutto ci tiene a sottolineare la differenza tra noi umani e le macchine: «Il fatto che moriremo, il fatto che chi ci è vicino possa morire, che possiamo essere traditi da altri esseri umani, che possiamo perdere la nostra reputazione: sono queste cose che un computer non può sperimentare che ci rendono speciali. Sono queste cose che rendono unica l’intelligenza umana».

Alex Wilkins, The AI expert who says artificial general intelligence is nonsense, New Scientist, 16 September 2024.

La reincarnazione IA: si inizia con Alan Turing


Possiamo avere dei dubbi se la reincarnazione, cioè la credenza che si possa rinascere più volte in corpi in più tempi e luoghi differenti, magari su altri pianeti, per fare esperienze che vadano ad esaurire il fardello del karma, sia davvero reale. Ma non possiamo nutrire alcun dubbio sul fatto che grazie alle IA sia ormai possibile attuare quella che da qui in poi, in forma sempre più complessa e articolata, è già stata definita la “reincarnazione digitale”.

Vale a dire nutrire le IA con quanto più materiale disponibile di una persona defunta (foto, video, registrazioni audio, interviste, scritti) per ricreare o rigenerare il defunto in forma digitale al punto tale di potere essere anche interattivo rispetto ai suoi interlocutori.

E chi se non quello che universalmente viene definito il “padre dell’intelligenza artificiale”, Alan Turing, poteva venire in mente tra i primi da reincarnare? Tra l’altro proprio per essere sottoposto da reincarnato digitale al suo test, erroneamente definito “test di Turing”, più correttamente seguendo la sua linea concettuale “imitation game”.

Se una macchina intelligente imita l’interazione umana, in sperimentazione “cieca” cioè senza sapere se abbiamo a che fare con una macchina o con un umano, non risultando distinguibile dalla conversazione umana, il test è superato. Facciamolo subito, hanno pensato: reincarniamo in IA Alan Turing e facciamogli delle domande!

Ebbene, 70 anni dopo la sua morte, si sta effettivamente lavorando a un progetto museale in forma di chatbot. La reincarnazione digitale di Alan Turing racconterà la sua storia e risponderà alle domande del pubblico.

Ma l’interrogativo cruciale a monte, siccome la biografia di Turing è complessa e sfaccettata, è se il medesimo sarebbe stato d’accordo riguardo a un progetto simile.

Ci sono non pochi aspetti etici e morali in progetti del genere. Qualcuno potrebbe sostenere che certe problematiche sussistono anche per le biografie “non autorizzate”. Ma non è esattamente la stessa cosa, tanto che  da certi fronti arrivano già proposte legislative che la reincarnazione digitale non sia attuabile senza l’espressa volontà, una liberatoria all’uso non solo della propria immagine ma pure di tutti i materiali disponibili, da parte dell’interessato ancora in vita.

E del resto esistono ormai da anni fondazioni, istituzioni e società che gestiscono l’immagine e le opere di personaggi celebri defunti. Ad esempio, l’americana Authentic Brands Group con giro d’affari di miliardi di dollari, che detiene i diritti di immagine pubblica di diverse celebrità defunte, ha consentito una ricreazione IA di Marilyn Monroe.

Ma tornato ad Alan Turing, il nipote Dermot Turing ha sostenuto il progetto, per cui la reincarnazione digitale del padre dell’intelligenza artificiale ha il via libera. Preparate le domande.

Bletchley Park to present ‘AI’ Alan Turing in interactive display