
Neil Lawrence è professore di Deep Mind e di Machine Learning (apprendimento profondo e automatico) presso l’Università di Cambridge. Lavora su modelli di machine learning da oltre 20 anni. Di recente è tornato al mondo accademico dopo tre anni come direttore di Machine Learning presso Amazon. Il suo interesse principale è l’interazione del machine learning con il mondo fisico.
Dovrebbe essere uno dei grandi sostenitori e paladini dell’intelligenza artificiale. Invece nel suo nuovo libro The Atomic Human: Understanding ourselves in the age of AI , argomenta quanto siano differenti non solo l’intelligenza umana, ma pure quella diffusa in natura, persino in una pianta o in un insetto, da quella che definiamo artificiale. E che dovremmo prima comprendere, come stanno sostenendo altri (ad esempio Max S. Bennett nel suo Breve storia dell’intelligenza. Dai primi organismi all’AI: le cinque svolte evolutive del cervello, Apogeo 2024) cosa si debba davvero intendere per intelligenza.
In una intervista sul numero della scorsa settimana di “New Scientist” Lawrence sostiene che solo comprendendo meglio la nostra intelligenza, e quanto sia incredibilmente diversa dalla sua controparte artificiale, possiamo trarre il massimo da entrambe.
Lawrence a questo punto preferisce parlare di “elaborazione delle informazioni” piuttosto che di un termine così vago ed esteso come “intelligenza”.
Ma soprattutto ci tiene a sottolineare la differenza tra noi umani e le macchine: «Il fatto che moriremo, il fatto che chi ci è vicino possa morire, che possiamo essere traditi da altri esseri umani, che possiamo perdere la nostra reputazione: sono queste cose che un computer non può sperimentare che ci rendono speciali. Sono queste cose che rendono unica l’intelligenza umana».
Alex Wilkins, The AI expert who says artificial general intelligence is nonsense, New Scientist, 16 September 2024.
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Questa critica alle “aspettative messianiche che dilagano sui media” in merito alla IA – così come le avevo definite nel mio commento al precedente Tuo articolo (AI Scientist, l’era dello scienziato IA) prendendo spunto dal genio antesignano e caustico di Duglas Adams – non è la prima e non è l’unica, per fortuna.
Ma qui siamo di nuovo di fronte a un problema di fondo del web, che secondo la nostra generazione avrebbe dovuto, tramite la libertà nella circolazione dell’informazione, garantire il progresso. Mentre ha trasformato il web, come diceva Umberto Eco, in un bar, che nella versione fisica consente di isolare e limitare i danni dell’idiota, del disonesto e del disinformato, che molte volte diventa la macchietta di turno della pausa caffè, mentre nella versione digitale massmediatica fornisce a questi la possibilità di diffondere idiozie e falsità in modo epidemico e incontrollabile (e questo soprattutto in un sistema democratico). Questo è dovuto al fatto che “credere”, impiegando le riposte fornite dalla rete neurale ancestrale cablata nel cervello dalle spinte selettive della savana del pleistocene nella quale ci siamo evoluti, è molto più immediato e più facile che “ragionare”. Schopenhauer l’aveva mirabilmente sintetizzato dicendo che possiamo fare quello che vogliamo, però non possiamo anche volere quello che vogliamo, mentre Giorgio Vallortigara ci ricorda che “… se Kant fosse vivo oggi sarebbe senza dubbio un nostro collega, un neuroscienziato, e sicuramente sarebbe deliziato nell’apprendere come gli studi empirici suggeriscano che lo spazio, così come il numero, il tempo, la causalità e la conoscenza degli oggetti fisici e sociali, siano predisposti nel nostro cervello e configurino di conseguenza la nostra psiche” (Giorgio Vallortigara. Da Euclide ai neuroni: La geometria nel cervello (p. 39). Castelvecchi. Edizione del Kindle).
A causa di questo difetto di progettazione della mente umana i memi delle “aspettative messianiche” sono fortemente favoriti rispetto a quelli della riflessione critica. E sui media dilaga il tema della “Intelligenza Artificiale” senza che ancor oggi nessuno sappia esattamente cosa sia l’intelligenza.
Aggiungo che Luciano Floridi, il guru della filosofia ed etica dell’informazione, affrontando la questione della AI da un altro punto di vista, ha pubblicato in questi giorni su Academia un articolo da titolo “Why the AI Hype is another Tech Bubble“: cioè perché la montatura pubblicitaria (Hype) della AI è un’altra bolla Tech. Meditate, gente, meditate…