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Il piacere di raccontare: intervista a Leonardo Patrignani

Ci sono ancora ragazzi che leggono. Ci sono ancora ragazzi che amano leggere. E questa è una buona, un’ottima notizia. Finché ci saranno ragazzi a leggere, esisterà gente che vorrà scrivere per loro. Ci saranno scrittori che cercheranno di indirizzare la propria mente e la propria creatività verso qualcosa che possa appassionare, coinvolgere ed emozionare i ragazzi. Uno di questi narratori in grado di fare tutto ciò è Leonardo Patrignani. Uno dei rari scrittori italiani, soprattutto giovani, che hanno una vasta platea anche all’estero.

Leonardo Patrignani è comunque uno scrittore “totale”: le sue storie appassionano tanto i ragazzi che gli adulti. Ma intanto i ragazzi lo hanno premiato con i loro voti, facendo vincere a Patrignani il Bancarellino per il suo romanzo “Darkness” (DeA). Gli abbiamo fatto qualche domanda. Il fatto che la sua intervista compaia qui è anche motivata dal fatto che il suo prossimo romanzo avrà parecchio a che fare col cervello, la ricerca scientifica e le neuroscienze. Ma ovviamene non anticipiamo nulla per non rovinare la sorpresa. Anzi, per essere in sintonia coi tempi, per non “spoilerare”.

Darkness vince il Bancarellino: che ne dici?

Dico che è una splendida prima volta! Adoro questo premio perché la giuria è composta da centinaia di ragazzi delle scuole. Se sono riuscito a tenere loro compagnia, specie in questo matto 2020, trascinandoli altrove con la fantasia, be’, già quello dà senso all’intero lavoro. Poi arriva anche il riconoscimento, e allora… bingo!

Che tipo di romanzo è Darkness? Mi pare si discosti dai tuoi precedenti.

Sì, i precedenti erano catalogati come “young adult” e le dinamiche psicologiche si avvicinavano a quella linea di demarcazione con la prima età adulta. Qui abbiamo a che fare con protagonisti sui 13 anni, di conseguenza i processi cambiano. È il romanzo più “kinghiano” dei miei, con un presupposto narrativo all’apparenza paranormale, in verità metaforico. La mia Little Crow deve molto a Derry.

So bene che sei sempre “abbottonato” riguardo i tuoi lavori in corso, ma puoi dirci qualcosa sul tuo prossimo romanzo?

Dopo tanta narrativa per ragazzi più o meno grandi, sono alle prese con la partita adulta. Il mio prossimo romanzo sarà sempre di genere (fantascienza/fantamedicina/presente aumentato) ma non nasce come progetto per giovani lettori. Ho firmato con Mondadori, per la collana Oscar Fantastica. Ne vedremo delle belle… ma tu in realtà sai già tutto o quasi, e il pubblico scoprirà perché tra qualche tempo.

I tuoi romanzi sono molto “visuali”, anzi “filmici”: è un caso?

Direi di no, è un approccio alla narrazione che ho da sempre, forse innato. Negli ultimi anni poi mi sono buttato nello studio del linguaggio cinematografico, seguendo corsi di sceneggiatura, leggendo saggi imprescindibili e arrivando a mia volta a pubblicare insieme all’amico Francesco Trento un manualino per ragazzi sui meccanismi della narrativa (dal titolo “No Spoiler”). Quindi, se prima mi veniva naturale immaginare in prima battuta la scena, adesso una parte di me ragiona secondo schemi e modelli più tipici dello sceneggiatore che del romanziere, e non lo fa più per predisposizione ma per ovvia conseguenza delle diottrie perse nello studio di questi temi. È la curiosità che mi frega, ci posso fare poco!

Ci dici che anno è stato per te scrittore il 2020 con il Covid? Ti ha condizionato?

Nel 2020 credo di aver lavorato il triplo rispetto agli anni precedenti. Da alcuni anni mi occupo anche di scouting e sviluppo di progetti per l’agenzia letteraria PNLA, e da questo punto di vista l’anno in corso è stato il più impegnativo di tutti. Con grandi soddisfazioni, però. Una su tutte: la “mia” Emanuela Valentini, che ho seguito sin dalla prima scintilla creativa in affiancamento ed editing, ha esordito nel thriller con “Le Segnatrici” (Piemme), conquistando subito una serie di Paesi all’estero, un audiolibro Storytel tra i più ascoltati dell’estate, e un consenso unanime da parte di critica e pubblico. Certo, mi mancano (tantissimo!) le fiere del libro. Sono un’occasione ideale per incontrare i lettori, i colleghi, per uscire dal bunker casalingo della scrittura (che è una versione auto-imposta di lockdown in cui albergo da tempo)… insomma, mi auguro che il mondo torni normale quanto prima, perché c’è una gran vita sociale e culturale da vivere, là fuori!

Una Risposta

  1. CONTIAMOLI E METTIAMOLI IN CASSAFORTE!!!!

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